Altruismo

Era proprio bruttina. I capelli, troppo fini e ribelli, di una sfumatura indefinita tra il castano e il biondo cenere, erano malamente trattenuti da un elastico nero strettamente attorcigliato che strozzava un codino corto alla base della nuca. La pelle del viso, magro e anemico, sfumava verso il grigio, tendendosi sulle tempie fino a lasciar trasparire l’azzurro incerto di qualche vena. Teneva lo sguardo basso sul suo lavoro di cassiera, seguendo, con moto ripetitivo e innaturale, gli articoli che passava ad uno ad uno sul lettore del codice a barre. Esaurita la merce di un cliente, alzava su di lui due occhi inespressivi di color marrone, comunicando la somma dovuta con voce scialba e monotona. Il sorriso stentato con cui ringraziava scopriva una fila di denti corti e opachi che scomparivano quasi immediatamente dietro due labbra sottili, strettamente incollate tra loro.
Massimiliano, muovendosi con lentezza esasperante insieme alla fila di coloro che attendevano il proprio turno, cercò di leggere il nome sul cartellino che la ragazza portava spillato al camice azzurro: si chiamava Cinzia, beh almeno il nome era abbastanza carino, pretenzioso ma carino. Allungò il collo, sbirciando oltre il banco, cercando di vedere se la ragazza avesse almeno un bel paio di tette: niente da fare, era piatta come un ragazzo. Eppure queste bruttine di solito avevano almeno un particolare degno di attenzione, particolare sul quale puntavano tutto per far dimenticare un insieme insignificante o addirittura sgradevole. Ecco, ora toccava a lui, aspettò di catturare il suo sguardo e le indirizzò uno dei suoi sorrisi più collaudati: aperto, amabile, con una sfumatura di lieve ammirazione, cercando di non uscire dai limiti del credibile. Lei lo guardò perplessa, non era abituata a ricevere l’attenzione da parte di un maschio. Massimiliano andò in cerca di una frase non troppo banale:
“Ci vuole una bella pazienza eh? Tutta questa gente… ore e ore di gesti ripetitivi… altro che catena di montaggio!”
La ragazza sprofondò ancora di più la testa nell’esame della merce sul nastro trasportatore. Era evidentemente imbarazzata.
“Secondo me non è un lavoro da ragazza, nonostante le cassiere siano praticamente tutte donne” proseguì lui, fissandola con insistenza. “Io le donne le vedo più libere, impegnate in lavori fantasiosi, dove possono mettere in luce la loro sensibilità…”
Stavolta aveva fatto centro. La ragazza drizzò vivamente il capo e lo guardò per un attimo dritto negli occhi, arrossendo violentemente. Gli comunicò con voce incolore il totale del conto e si sforzò di sorridere mentre mormorava un impersonale “Grazie e arrivederci”.
Massimiliano portò in macchina il sacchetto della spesa e tornò quindi sui suoi passi, confondendosi tra la gente che affollava il supermercato e appostandosi in un punto da cui poteva facilmente seguire i movimenti della cassiera: erano ormai le due e, se ben ricordava, gli era sembrato che a quell’ora avvenisse un cambio del personale. Il suo sguardo brillava di evidente soddisfazione, mentre aspettava pazientemente che Cinzia terminasse il suo turno. Ripensò a tutte le ragazze che erano venute prima. Non sapeva come e quando era iniziato quel gioco, ricordava però di avere sempre considerato con partecipe commiserazione la sorte delle donne brutte. Doveva essere terribile sentirsi emarginate, confrontarsi continuamente con modelli piacenti e appetibili, spiare lo sguardo degli uomini che accarezzava voglioso le morbide curve delle altre, che si perdeva estasiato in due occhi ammaliatori… Per queste donne, certamente traboccanti di sentimenti come e più delle altre, niente amore, niente attese struggenti per un incontro a lungo fantasticato, niente sfioramenti e magici contatti che facevano rabbrividire. Cos’era la decantata, sospirata, fantasticata passione che nasce da un rapporto fisico? Il rancore per qualcosa che è toccato ad altri, più rabbia che rimpianto, più nevrosi che sogno. Massimiliano s’era sorpreso spesso ad indagare con dolorosa partecipazione alcuni sguardi persi nel vuoto, a chiedersi cosa poteva fare, fino a quell’ormai lontano giorno, fino a quell’incontro con quella ragazza sgraziata e leggermente repellente che aveva due occhi bellissimi. Era stato facile conoscerla, conquistarla… di sicuro non aspettava altro. E da quel giorno, come in una specie di missione, si era lanciato alla conquista delle bruttine, ubriacandosi della felicità che donava, esaltandosi come un eroe antico che riscattava popoli, che donava la libertà a intere nazioni.
Un movimento alle casse lo distolse dai suoi pensieri: Cinzia si era alzata, sostituita da una collega, e si avviava verso il fondo del vasto magazzino. Massimiliano si concesse per un attimo un sorriso compiaciuto: anche questa volta aveva visto giusto, anche questa ragazza aveva almeno un particolare gradevole cui aggrapparsi per sentire un minimo di attrazione. Camminava infatti, con un singolare ancheggiamento dinoccolato, su due gambe lunghe e magre piacevoli a vedersi. E lei lo sapeva: portava una minigonna che su due cosce ben tornite sarebbe stata un invito allo stupro. Su di lei ispirava una penosa tenerezza.



Massimiliano, informatosi con una scusa sull’ubicazione dell’uscita riservata al personale, attese l’inevitabile apparizione della cassiera, nascosto dietro una colonna, fingendo di studiare attentamente un opuscolo pubblicitario a beneficio di eventuali ficcanaso. Ed eccola infatti. Ora doveva provocare un incontro casuale, possibilmente credibile. Ma anche se lei avesse sospettato una manovra, la cosa non guastava… anzi.
“Ah, salve!” disse col suo più sfacciato sorriso, andando quasi a sbatterle addosso. “Ci siamo appena visti alla cassa! Che combinazione!”
Di nuovo quel rossore immediato e incontrollato. Buon segno, sotto sotto la ragazza doveva avere un bel temperamento. Si arrestò un attimo incerta e Massimiliano ne approfittò.
“Anche lei ha parcheggiato qua? Deve essere pesante arrivare fino alle due senza mangiare! Scommetto che ha una bella fame! Abita lontano?”
Lei subì senza reagire questo flusso di parole, ma all’ultima domanda dovette rispondere:
“No… non molto… e poi ho il motorino, faccio presto…” E si scostò educatamente, ma senza cordialità, proseguendo il suo cammino. Massimiliano le si accostò, facendo ancora qualche passo al suo fianco e cercando di catturarle lo sguardo: sapeva di non dover esagerare ma voleva comunque lasciarle qualche sensazione da rimuginare.
“Beh, allora buon pranzo! Spero di capitare ancora alla sua cassa la prossima volta che faccio la spesa!”
Finalmente lei si girò a guardarlo e lui poté esibirsi in una delle sue più collaudate performance: la fissò dritto negli occhi con un misto di piacevole sorpresa e ammirazione poi, come se non ce la facesse a trattenere lo sguardo, occhieggiò golosamente le due coscette slanciate che uscivano dalla minigonna, poi alzò di nuovo, a malincuore, il viso.
“Arrivederci” disse ancora.
“Arrivederci” rispose lei, sentendosi finalmente tenuta a fare almeno un mezzo dei suoi sbiaditi sorrisi.

Cinzia percorse la strada fino a casa senza vedere nulla e mangiò distrattamente, rispondendo a monosillabi a sua madre.
Com’era possibile che quell’uomo si fosse interessato a lei? Beh, certo non era bellissimo, non aveva uno di quei visi dai tratti virili, come gli attori che le piacevano, però era gentile, ordinato, vestito con eleganza. E poi era simpatico, intraprendente… ma sicuramente non si sarebbe più fatto vivo. Eppure le aveva sbirciato con interesse la minigonna, forse era uno che aveva un debole per le gambe… e le sue non erano poi tanto male. Il solo pensiero fece affiorare nel suo intimo un delizioso inizio di eccitazione, che subito represse: meglio non farsi illusioni.
Il ricordo di quel breve incontro non le diede tregua per tutto il pomeriggio. Dormì in maniera discontinua e agitata e si alzò presto: una volta tanto non vedeva l’ora di andare al lavoro.
Dovette far ricorso a tutta la sua capacità di autocontrollo per svolgere normalmente le sue funzioni: che diavolo stava combinando? Come poteva dare importanza a un episodio così banale? Sicuramente quell’uomo non si sarebbe più rivisto…
E invece eccolo lì, in fila proprio alla sua cassa. Gli lanciò un rapidissimo sguardo e, accidenti!, lui agitò la mano per salutarla, come se fossero già vecchi amici! Cercò di concentrarsi sul lavoro, ma le mani avevano un tremito incontrollabile: sperò vivamente che da fuori non si vedesse nulla. Poi toccò a lui.
“Salve!” gli sentì dire col solito tono esageratamente cordiale. “Glielo avevo detto che ci saremmo rivisti presto! E’ che io vivo da solo, compro qualcosa da mangiare così, alla giornata… Mi scusi, forse la distraggo… Beh, arrivederci!  Chissà che non ci rincontriamo all’uscita, come ieri!”

 

Cinzia gemette di piacere. Massimiliano strava percorrendo con piccoli morbidi baci una delle sue gambe: risalendo dalla caviglia senza fretta era già oltre la metà della coscia e si stava avvicinando pericolosamente a quello che lei avvertiva come il centro caldo e pulsante di un godimento intenso, mai provato prima.
Lui era stato abilissimo a condurre il gioco. Ancora lei non si rendeva ben conto della rapidità con cui gli eventi si erano succeduti, di come era stato facile accettare un primo incontro, e poi un altro, e poi finire a casa di quello sconosciuto così simpatico, che aveva saputo con determinata gentilezza vincere le sue resistenze fino a riempirla di un senso di esultanza che correva per tutto il suo corpo, una felicità che le faceva dimenticare ogni cautela e ogni ragionevole tentativo di autocritica.
Ricambiò con passione il bacio che le stava regalando, forse stanco dei mille giochini che già avevano fatto, e sentì inequivocabilmente la mano di lui esplorare con decisione i peli del suo pube, districarsi con autorevolezza tra di essi e penetrare nella sua cosina con dita decise ma gentile e leggere. Si lasciò sfuggire un altro gemito e cominciò a respirare più velocemente. Sapeva cosa sarebbe successo ora e desiderava con tutte le sue forze che accadesse, presto, il più presto possibile, meravigliandosi in un angolo della mente che tutto questo stesse accadendo proprio a lei, e che nessun imbarazzo, nessuna paura, turbassero quell’intenso godimento.

 

Massimiliano si svegliò di malumore, armeggiando per spegnere la suoneria dell’orologio, il cui sibilo acuto sembrava provenire direttamente dal centro del cervello. Si alzò pesantemente, barcollando, con l’incongrua sensazione di essersi appena coricato. Gli succedeva sempre, quando il suo lavoro ripetitivo e insulso di mediocre impiegato dello stato raggiungeva il livello di saturazione. Ma questa mattina c’era anche qualcos’altro. La sua storia con Cinzia, come tutte le storie precedenti, aveva compiuto il suo percorso naturale ed era giunta al termine. Questo comportava, ovviamente, il problema dell’eliminazione.
All’inizio non era stato facile: aveva dovuto mettere a tacere non pochi scrupoli morali, superare l’innata repulsione che provoca anche il solo pensiero di porre fine ad una vita umana, aveva sperimentato l’opprimente impossibilità di sfuggire all’insopportabile malessere che ti corrode dentro dopo aver compiuto l’innominabile atto, frutto di un cieco momento di disperata determinazione. Poi, col tempo, aveva capito che non c’era altro modo di dare un’impeccabile conclusione alle sue singolari storie d’amore. La donna era felice, aveva vissuto nella maniera più realistica una vicenda amorosa che non concepiva nemmeno nelle sue fantasticherie più azzardate e, dopo aver messo a tacere inevitabili dubbi e il sospetto della propria dabbenaggine, attendeva fiduciosa e incuriosita l’immediato futuro. Perché deluderla, o, peggio, sprofondarla nella disperazione con la banale notizia di un abbandono, perdersi negli snervanti e inutili discorsi con cui si tenta di dare una versione ragionevole del fatto che tutto è finito. No, meglio la morte. Parola grossa, ma che conclusione perfetta! Nessuna sofferenza, l’annullamento, la scomparsa sorprendente ma non dolorosa come quella della partner di in prestigiatore. Un essere umano che l’attimo prima esiste ed è felice, l’attimo successivo è il nulla, quindi non prova alcun tipo di emozione e la sua felicità resta in sospeso nell’aria, galleggia per un attimo come una bolla di sapone per poi esplodere delicatamente e ricongiungersi al tutto.
Il problema era naturalmente di carattere tecnico. Ma la personalità meticolosa di Massimiliano, unitamente alla sua vivace fantasia, era stata finora in grado di partorire diverse idee brillanti e, soprattutto, rispondenti a imprescindibili parametri: naturalezza, insospettabilità, nessuna sofferenza da parte della vittima, nessun rischio per lui.
Certo ogni volta era sempre più difficile. Per quanto la città fosse grande e popolosa, non poteva creare una sequenza innaturale di incidenti e misteriose scomparse riguardanti ragazze più o meno della stessa età: prima o poi qualche poliziotto più attento degli altri avrebbe colto la stranezza.
Beh, qualche idea, in un modo o nell’altro, gli sarebbe venuta.
Passò mentalmente in rassegna le sue avventure amorose e le drammatiche circostanze in cui si erano concluse. La prima, “occhi belli”, era finita sotto un treno. Che orrore! D’accordo… era la prima volta… però era stato maldestro e grossolano. In seguito divenne sempre più soddisfatto dei suoi lavori geniali ed accurati. Come nel caso di Lucia, l’handicappata, molto dolce e affamata di sesso: scivolò in un dirupo, durante un’escursione in montagna, a causa di una suola degli scarponcini da trekking, scollatasi “accidentalmente”. Poi fu la volta di Marisa, la strabica. Aveva una guida esageratamente veloce e scoordinata: purtroppo la sua macchina perdeva il liquido dei freni e questo le fu fatale. E quella… quella magra e sciancata… come si chiamava? Giovanna, sì Giovanna… aveva due tette fuori dell’ordinario: fu quasi dispiaciuto di vederla annegare a causa di una cima che le si era impigliata a una caviglia…
Era seduto alla scrivania del suo squallido ufficetto e, insieme al pensiero, lasciava vagare lo sguardo oltre l’antiquato finestrone. Aveva aperto una grossa pratica davanti a sé e teneva una penna in mano: alibi classico e difficilmente controllabile qualora un seccatore avesse aperto la porta. In cielo grosse nuvole scure si accavallavano e si sospingevano saturando l’aria con un gradevole sapore umido e fresco. La sfolgorante ragnatela di un fulmine si disegnò per un attimo nel lembo di cielo delimitato dalla finestra, seguita quasi subito dal fragore secco del tuono. Fu questo che gli diede l’idea: anche la vicenda di Cinzia poteva dirsi ormai conclusa.

L’acqua della vasca gorgogliava allegra e profumata, solleticandole la pelle in più punti e procurandole una deliziosa sensazione di totale benessere. Massimiliano era stato più premuroso del solito: aveva organizzato una cenetta per due preparata da lui stesso e aveva insistito perché lei facesse prima un bagno rilassante.
“Guarda, ho una sorpresa per te!” aveva detto con entusiasmo, posandole un braccio sopra le spalle e guidandola fino alla vasca già colma di un’irresistibile acqua fumante e piena di bollicine. “L’ho comprato pensando a quanto ti piacciono le terme e i centri benessere, è un apparecchio che si adatta facilmente a qualsiasi vecchia vasca e la trasforma in una vasca idromassaggio. Beh, non è una Jacuzzi, ma più o meno l’effetto è lo stesso! A te l’onore di immergerti per prima in questa spuma profumata, uscirai come Venere dalle onde del mare!”
Cinzia si era lasciata docilmente spogliare, aveva lasciato che lui le spalmasse il corpo con una morbida lozione dall’aroma esotico e ora lasciava che il corpo fluttuasse leggero sotto la spinta dei getti d’aria che animavano l’acqua. Teneva gli occhi chiusi ed era abbandonata totalmente alla carezza dei mille polpastrelli invisibili che la massaggiavano delicatamente: lo spaventoso sussulto che investì il suo corpo arrivò talmente inatteso che forse il suo cervello fece appena in tempo a registrarne la violenza per rifugiarsi subito dopo nel buio assoluto, rifiutando ogni altra sensazione. La testa dai capelli fluttuanti e le povere membra lunghe e ossute furono scosse disordinatamente nell’acqua impazzita per alcuni lunghi attimi, poi tutto si acquietò di colpo in un silenzio sospeso. Da qualche parte, il ritmo lento e umido di una goccia.

 

Massimiliano si affacciò cauto dallo stipite della porta del bagno, attese prudentemente per essere certo che tutto fosse finito, poi si chinò verso la presa di corrente e staccò la spina che aveva predisposto nel pomeriggio. Le piccole riparazioni elettriche o idrauliche erano la sua passione, fin da quando era un ragazzo: era stato facile lasciare due fili scoperti nella rudimentale apparecchiatura per l’idromassaggio, scovata in un negozio di hobbistica, e collegarli a una presa di corrente mentre Cinzia era completamente sommersa nell’acqua, abbandonata a chissà quali sogni.
Ora veniva la parte più odiosa del lavoro: doveva bruciacchiare gli abiti e i capelli della ragazza, procurarle delle gravi ustioni, rivestirla, chiuderla in un sacco grande dei rifiuti, portarla in collina e abbandonarla vicino a un albero semicarbonizzato che aveva già adocchiato nel pomeriggio, durante un’accurata ispezione alla ricerca di un luogo adatto alla sua semplice ma efficace messa in scena. Un esame del corpo, che sarebbe stato presumibilmente superficiale, e i temporali, abbattutisi recentemente nei dintorni, non potevano portare che ad una conclusione: la sventurata era stata colpita da un fulmine durante un’incauta passeggiata sotto la pioggia. Il medico eventualmente incaricato di confermare l’ipotesi non avrebbe potuto far altro che constatare le evidenti tracce di una folgorazione. Il motorino di Cinzia, che lui avrebbe abbandonato poco distante sul ciglio della strada, sarebbe stato un utile indizio per il ritrovamento del cadavere e avrebbe inoltre completato la ricostruzione delle ultime ore di vita trascorse dalla vittima. Ripassò mentalmente, ancora una volta, tutti i particolari, si accertò con meticolosità che non gli fosse sfuggito qualche dettaglio, anche insignificante, che lo collegasse alla ragazza, poi, soddisfatto, si mise al lavoro.

 

Il piccolo e grazioso bar che dava sulla piazzetta alberata era divenuto un irrinunciabile punto di aggregazione per una moltitudine di giovani che, nell’ora dell’aperitivo serale, formavano un variopinto e chiassoso brulichio intorno ai tavolini all’aperto. Merito dell’intraprendente barman e dei fantasiosi cocktail che sapeva creare, o delle sculettanti cameriere che volteggiavano tra la folla tenendo alti i vassoi stracarichi di bicchieri e ciotole con impensabili stuzzicherie. O, più semplicemente, uno dei tanti fenomeni inspiegabili che il mercato crea e distrugge continuamente.
Massimiliano assaporava con parsimonia il suo daiquiri ben ghiacciato, guardandosi intorno come un gatto sornione: era tanto che non gli capitava la ragazza giusta e cominciava a soffrire un po’ di crisi d’astinenza. Anche quella sera purtroppo vedeva solo coppie spensierate oppure gruppi di amiche, una più graziosa dell’altra, che scoppiavano a ridere ad ogni istante, occhieggiando maliziosamente i ragazzi, tutti belli e vigorosi, dal sorriso aperto e con lo sguardo brillante: o almeno così sembrava a lui, che in pubblico si sentiva sempre un po’ grigio e impacciato, con la sua modesta giacchettina da contabile.
A un certo punto però il movimento spontaneo di un gruppo che si stava diradando lasciò intravedere un tavolo a cui sedevano tre ragazze, una delle quali catturava subito lo sguardo per la sua notevole obesità. Dio! Lui aveva un debole per le ciccione! Avevano tutto, però in maniera esagerata… culo, cosce, e quelle tettone gigantesche in cui si poteva sprofondare! Spesso il loro viso era grazioso, rotondo come una luna piena ma con i lineamenti regolari, la pelle liscia e luminosa. Ed erano quasi sempre di buon umore. Ma lui sapeva che nascondevano un’infelicità profonda, schiacciate dal peso di tutto quel ben di dio che nessuno voleva assaggiare, consapevoli che non rientravano nei modelli correnti e che non potevano reggere il confronto con la donna giustamente prosperosa né tanto meno con la magra, per gli amanti del genere. Tutte offrivano al maschio goloso una deliziosa pasta al cioccolato, o un croccante biscottino: loro, le ciccione, li seppellivano sotto una torta enorme e indigesta.
Sicuramente questa non faceva eccezione. Cominciò a studiarla attentamente, per capire se faceva al caso suo. Sì… non era male: era vestita in maniera goffa e nascondeva il viso paffuto sotto un caschetto chiaro. Però gli occhi erano azzurri, almeno per quel che si poteva intuire, visto che erano semisprofondati dietro due guanciotte straripanti. E poi, come previsto, il seno appariva veramente enorme, strizzato com’era da un vestitino rosa del tutto insufficiente ad arginare quella natura esorbitante. Ma sì… tutta quell’abbondanza aspettava lui, ne era certo. E questa volta sarebbe stato non solo un gesto altruistico e generoso ma sicuramente anche un’esperienza piacevole, molto piacevole. Ora bisognava passare alla fase due: l’aggancio e la successiva conoscenza erano passaggi delicati. Si guardò intorno come per predisporsi all’azione e … fu allora che vide l’altra.


 


Accidenti che pezzo di cosa!, fu la prima frase inespressa che gli salì alle labbra. Non aveva mai visto una ragazza così attraente: con una sola occhiata si poteva immediatamente percepire l’impressione di una bellezza completa ed eccitante. La guardò più attentamente e fu costretto a prendere atto di una circostanza inequivocabile che gli fece contrarre i muscoli: la donna lo fissava, fissava proprio lui con un incredibile atteggiamento curioso e sorridente. Dio, non era possibile! Distolse un attimo lo sguardo, si agitò imbarazzato sulla sedia, poi tornò a posare gli occhi sulla bella sconosciuta: guardava proprio lui, non c’era dubbio, e sorrideva leggermente, forse più con un particolare ammiccamento degli occhi che con la piega delle labbra. La studiò meglio. Se ne stava abbandonata su una sedia del bar, con un bicchiere in mano, adagiata all’indietro in una posa indolente. Le gambe accavallate, dalla linea agile e perfetta, erano protese in avanti come la prua di una barca elegante, sgusciando dallo spacco di una gonna scura. La giacca corta dell’abito era buttata negligentemente sulle spalle e lasciava intravedere un petto orgoglioso, dai seni appuntiti, che la posa rilassata non riusciva a domare. Massimiliano si accorse di avere la bocca aperta e la richiuse di colpo, seccato di fare la figura dello scemo. Cosa doveva fare? Era possibile che quella ragazza si interessasse a lui? Possibile che si conoscessero? No… era semplicemente assurdo che avesse potuto dimenticare un tipo simile… La ragazza risolse di colpo ogni incertezza, alzandosi e venendo verso di lui. Sì, accidenti, veniva proprio da lui, accentuando il sorriso e ondeggiando come un’indossatrice.
“Un altro fanatico del daiquiri…” disse indicando il bicchiere che lui aveva sul tavolo, ancora pieno a metà. “Non ce ne sono tanti… Possiamo finire di bere insieme?”
“Certo! Prego!” rispose Massimiliano, sperando che la sua voce fosse abbastanza ferma. Scostò macchinalmente la sedia vuota che era al suo tavolo e tentò di sfoggiare uno dei sorrisi ammazzafemmine in cui era tanto esperto.
“Io vado matta per questo sapore fresco e forte” disse lei sedendosi, continuando a tenere il bicchiere in una mano e appoggiando il mento sull’altra, con il gomito sul tavolino. Stava leggermente protesa verso di lui e lo guardava fisso, senza ritegno, con due fantastici occhi verdi, smitizzati da un luccichio arguto. “Naturalmente c’entra qualcosa anche la sua fama, la predilezione di Hemingway… le piace Hemingway? A me moltissimo! Quei suoi eroi forti e disperati… Ha letto Fiesta?”
“Ma… veramente… no. Leggo soprattutto libri di spionaggio.” Tagliò corto Massimiliano, sperando che si uscisse subito da un dialogo colto: non era proprio il suo forte. E non solo questo lo metteva a disagio, era tutta la situazione che non quadrava: di solito era lui a condurre il gioco mentre ora quella splendida ragazza lo faceva sentire oppresso da un penoso senso di inferiorità. Eppure lo guardava con interesse, sembrava lo trovasse simpatico… Vide con la coda dell’occhio la cicciona che si alzava e se ne andava con le amiche. Accidenti! Possibile che le sue amate bruttine lo avessero condizionato a quel modo? Possibile che al di fuori di quel terreno sicuro si sentisse così impacciato? Doveva reagire: dove stava scritto che una volta tanto non poteva darsi da fare con una carina…Forza, ci vuole una battuta simpatica… “Il fatto è che io leggo soprattutto di sera, quando vado a letto: se alla prima pagina non ci sono almeno due morti ammazzati e uno stupro… mi addormento come un sasso!”
Lei rise e con un grazioso movimento del capo buttò indietro da un lato la fluente massa dei capelli scuri. Massimiliano restò un attimo smarrito: com’era possibile che un semplice gesto fosse così seducente… Deglutì e si sforzò di nuovo di essere brillante:
“Senti, visto che abbiamo tante cose in comune… beh solo il daiquiri per il momento, ma ci conosciamo da poco: dammi tempo! Intanto smettila di darmi del lei: mi ricordi i postulanti che bussano alla porta del mio ufficio con le loro traversie burocratiche. E poi concedimi la possibilità di conoscerti meglio: con Hemingway mi è andata male ma forse… se mi fai qualche altro nome…”
Cercava disperatamente di essere simpatico. E forse ci stava riuscendo: lei sembrava divertita e lo lasciava dire. Così andava bene, si sentiva di nuovo su un terreno conosciuto. Forse non sarebbe stato sbagliato osare il tutto per tutto.
“Mi viene un’idea! Perché non festeggiamo questo incontro fortunato davanti a una pizza?” Incrociò mentalmente le dita: speriamo che le piaccia la pizza… speriamo che sia libera… speriamo che dica di sì…
Lei portò il bicchiere alle labbra e finì di bere il suo daiquiri. Mentre beveva continuava a fissarlo, sembrava che i suoi occhi avessero intensificato la loro naturale lucentezza, che splendeva nell’aria ormai scura della sera inoltrata mettendo addosso a Massimiliano una leggera inquietudine. 
“Perché no…” rispose poi, più con cortesia che con entusiasmo, lasciando galleggiare le parole nell’aria.
“Ah, a proposito: non so neanche come ti chiami! Io sono Massimiliano, piacere!” disse lui allegramente, tendendole la mano.
“Io mi chiamo… Carmen”.

 

Massimiliano cadde esausto sul proprio lato del letto, ansimando vistosamente ma col viso atteggiato a un’espressione di intenso e appagato piacere. Quella donna lo costringeva ai lavori forzati, ma non era stato mai tanto felice in vita sua. Si girò per contemplare il sinuoso profilo del corpo che si stagliava ombreggiato contro la luce crepuscolare della finestra. Un capezzolo ardito e ancora in fiamme per i baci ricevuti catturava un ultimo raggio di luce, facendolo danzare al ritmo tumultuoso della respirazione. I capelli sul cuscino, sparsi disordinatamente in scure volute, lasciavano affiorare il viso perfetto, che risaltava come una ninfea in uno stagno. Più in basso il corpo voluttuoso sfumava nell’ombra e appena una macchia scura lasciava intuire, tra le cosce statuarie, il vortice bollente dove lui aveva appena terminato di consumare le sue ultime energie.
Fissò di nuovo il soffitto e sorrise. Mai avrebbe potuto immaginare uno sviluppo così favorevole di quell’incontro fortuito, dal quale erano ormai trascorse parecchie giornate di totale felicità. Davanti a quella prima pizza aveva rispolverato tutto il suo repertorio di conquistatore, solitamente dedicato a donne brutte e sgraziate, e si era accorto di far breccia nel cuore della bella sconosciuta. Che ora però non era più tanto sconosciuta: aveva scoperto nientemeno che era una specie di scienziata, una neolaureata in chimica che lavorava presso un noto istituto di ricerche farmacologiche. Aveva soprattutto scoperto che era allegra e imprevedibile, che amava la musica jazz e i libri di ogni genere, che si abbuffava a tavola e che era un tantino erotomane. Cosa desiderare di più? In alcuni momenti non credeva alla propria buona sorte, si sentiva assillato dai dubbi, si sforzava di esaminarsi obiettivamente e si trovava miserevolmente inferiore a quella donna magnifica. Poi l’autostima aveva il sopravvento e si lasciava trascinare in una folle sequenza di cenette a lume di candela, serate in locali chiassosi, concerti, fine settimana in luoghi magici e, soprattutto, nottate di sesso frenetico e annientatore. Al lavoro sembrava uno zombi, ma i colleghi e i superiori lo guardavano con rispetto da quando qualcuno lo aveva incontrato al fianco di quella vistosa bellezza.
Colse un movimento di fianco a sé e si girò nuovamente a guardarla. Si stava stirando come una gatta, emettendo un gorgoglio soddisfatto. Poi si drizzò su un gomito e dichiarò:
“Ho fame.”
“Beh, sarà meglio che anch’io mangi qualcosa di nutriente, se voglio sopravvivere!”
“E dài, per così poco… Quando comincerò a fare sul serio cosa dirai…”
“Ti prego Carmen, non infierire!”
“Alzati, pigrone! Avevi promesso che preparavi tu la cena stasera. Non avevi comprato uno speciale pesce surgelato che viene da non so dove?”
“Viene da Taiwan. Ed è rana pescatrice. Te la farò con un sughetto di mia invenzione.”
“Bravo, allora datti da fare. Io intanto mi faccio una doccia. E metti su un bel CD per favore!”, la sentì gridare mentre scompariva dietro la porta del bagno. Il suo culetto bianco, contro le pareti blu, sembrò una splendente luna piena inghiottita all’improvviso da una nuvola scura.

 

Cominciò con un fastidioso formicolio e un intorpidimento della lingua. Massimiliano pensò che fosse colpa del peperoncino e bevve un sorso di Jack Daniels. Non voleva disturbare Carmen che, dopo la cena giudicata da entrambi gustosissima, stava assaporando, abbandonata sul divano, una rara incisione della sua amata Billie Holiday. Poi l’intorpidimento si estese alla superficie interna della bocca e al resto della faccia. Si alzò di colpo, rovesciando il bicchiere.
“Porca puttana, che cazzo mi sta succedendo?!”
Fu colto da una nausea insopportabile, feroci crampi addominali e corse in bagno a vomitare. Ritornò poco dopo e si abbatté sul divano pallido e completamente stravolto. Provava una spaventosa difficoltà a respirare e ad articolare le parole e avvertiva distintamente il ritmo cardiaco alterato in modo impressionante. Per qualche minuto fu scosso da tremiti e convulsioni, poi restò completamente paralizzato, con le pupille dilatate e fisse di fronte a sé.
Carmen aveva osservato tutto senza apprensione, con un interesse distaccato, come seguendo lo svolgersi di un banale esperimento su un insetto o una cavia. Poi si avvicinò al suo viso e gli sorrise.
“So che, nonostante la paralisi, sei perfettamente cosciente e quindi puoi sentirmi. Non temere: entro poche ore sarai morto e tutto sarà finito. Forse però, in questo breve spazio di tempo che ci rimane, sarai curioso di sapere che cosa ti è accaduto. E’ una lunga storia…” si fermò un attimo per bere un sorso di whisky e cominciò a percorrere avanti e indietro i pochi metri della stanza. Billie Holiday, in sottofondo, cantava una struggente Solitude. “Tutto è cominciato anni fa: io ero molto bella e tutti i ragazzi mi ronzavano intorno, tranne quelli brutti, naturalmente, che non avevano alcuna speranza. Cominciai a impietosirmi, a guardarli con simpatia, mentre i belli, arroganti e sicuri di sé, mi annoiavano. Decisi di premiare un magrolino ingobbito e brufoloso con una fantastica storia di sesso e di amore. E fu solo il primo di una lunga serie, volevo far provare a più uomini che potevo un momento di felicità. C’era ovviamente il problema di come chiudere tutte queste storie… ma, come sai, studiavo farmacologia, ed ero anche brava. Divenni un’esperta di ogni genere di veleno e il gioco, a quel punto, era fatto.”
Lanciò un’occhiata distratta a Massimiliano, le cui pupille, sempre più fisse e dilatate, sembravano quasi avere un’espressione di tragicomica incredulità.
“Naturalmente vorrai conoscere il sistema usato con te. L’idea mi è venuta quando mi hai parlato di quel surgelato proveniente da Taiwan e mi sono ricordata del Pesce palla. Lo sapevi che in Giappone si chiama fogu ed è una vera prelibatezza da oltre millecinquecento anni? Purtroppo nelle sue interiora è contenuto un veleno più potente del cianuro, la tetrodotossina, scusa il termine tecnico, e i cuochi giapponesi devono diplomarsi in scuole speciali per imparare a pulire il pesce e servirlo. In Italia importare il fogu è vietato, ma nel nostro istituto usiamo quel veleno per importanti studi sulla trasmissione degli impulsi nervosi e sul suo eventuale impiego come analgesico e anestetico. Come puoi immaginare per me è molto facile procurarmene e questa sera ne è finito un po’ nel tuo piatto: sai, un milligrammo è più che sufficiente ad uccidere una persona.
Beh, ti devo lasciare…” disse mentre sciacquava il suo bicchiere e lo riponeva nello scolapiatti. Poi si guardò intorno: non doveva dimenticare in giro qualcosa di suo. Quella era la cena di uno scapolo solo, talmente sfortunato da aver trovato, tra le migliaia di confezioni di pesce surgelato provenienti dall’oriente, quella contaminata da una minima traccia di tetrodotossina. Come avrebbe confermato l’autopsia.
Si diede un’ultima occhiata allo specchio prima di uscire: sistemò i capelli sulle spalle, slacciò un altro bottone della camicetta per scoprire meglio il bagliore candido del seno aggressivo, drizzò la gonna in modo che dallo spacco si affacciasse la pienezza di una coscia perfetta.
“Dio, quanto sei bona!” pensò, “anche per una sola scopata con te vale la pena di morire! A chi regalerò tutto questo ben di dio la prossima volta…”
Massimiliano, irrigidito contro la spalliera del banale divanetto da single, sembrava un incongruo, sconvolgente pupazzo.
Dall’impianto stereo l’ultima nota di Billie Holiday si spense lentamente, lasciando nell’aria solo un ricordo triste.

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