Un nido d'amore per Gioachino e Isabella


LA MADONNA DEL PILAR


Allontanandosi da Castenaso, nei pressi di Bologna, e dirigendosi verso la via Emilia lungo il rettifilo della via Montanara, dopo pochi chilometri sivede svettare sui campi ordinati della pianura il campanile del Santuario della Madonna del Pilar.
Questa chiesa, di proprietà del Collegio di Spagna, istituito nel 1363 dal Cardinale Albornoz per gli studenti iberici che frequentavano nel medio evo l’Università di Bologna, assunse l’attuale denominazione nel 1672, quando venne collocata sull’altare maggiore un’immagine dipinta da Giambattista Bolognini. In essa la Vergine è rappresentata sopra una colonna (in spagnolo “pilar”) così come apparve vicino a Saragozza all’apostolo Giacomo Maggiore, che in questo dipinto è appunto inginocchiato alla destra della Madonna, nella tipica tenuta del pellegrino, con la conchiglia per chiedere l’acqua cucita su di una spalla. La chiesa divenne poi santuario in seguito alla visione della giovane Maria Maddalena Azzaroni, residente con la famiglia in quei paraggi, che raccontò di aver visto la figura della Vergine staccarsi dal quadro, stringerle le mani e raccomandarle di essere sempre devota. L’edificio ha un magnifico interno barocco e mostra pregevoli stucchi che nulla hanno da invidiare alle più ricche chiese cittadine del periodo. Qui, il 16 marzo 1822, con dispensa del Vescovo perché si era in periodo quaresimale, si celebrò in gran segreto il matrimonio tra Gioachino Rossini e Isabella Colbran, coronamento di un grande amore e di una fortunata intesa artistica, ma anche primo atto di quello che si rivelerà un rapporto sempre più tormentato.

 

LA DONNA DEL DESTINO
Ysabel Colbran era nata a Madrid il 28 febbraio 1784, sotto il regno di quello stesso Carlo di Borbone che aveva edificato a Napoli, prima di lasciare questa città per salire al trono di Spagna, il teatro che porta il suo nome (1737).
Fin da piccola aveva dato prova del suo talento musicale e, tra i vari maestri, aveva avuto la fortuna di conoscere uno dei più famosi castrati dell’epoca, Girolamo Crescentini. Suo padre, Juan, che era violinista, intuite le eccezionali possibilità della figlia, interruppe la carriera e lasciò la famiglia per dedicarsi esclusivamente all’educazione di Ysabel, che accompagnò prima a Parigi e poi in Italia: era abilissimo a intrecciare rapporti con l’aristocrazia e i più grandi musicisti del tempo, fino ad imporre la figlia sui maggiori palcoscenici come prima donna e a dare inizio a quella che sarebbe divenuta una ragguardevole posizione economica.
1806, 21 novembre: Ysabel è nominata membro dell’Accademia filarmonica di Bologna prima ancora di giungervi!
Scrive il Redattore del Reno, uno dei settimanali più autorevoli del tempo: “L’organo della sua voce è veramente un incanto per soavità, robustezza, prodigiosa estensione, poiché dal sol basso al mi sopracuto, cioè per quasi tre ottave si fa sentire con una progressione sempre uguale in morbidezza ed energia.”
Nello stesso giorno, curiosi intrecci del caso che non mancano mai di strapparci un sorriso, viene aggregato all’Accademia anche il giovanissimo Rossini, che cantava come soprano in città, si esibiva al cembalo e aveva già prodotto alcune composizioni strumentali: era talmente apprezzato da ottenere la nomina presso la prestigiosa Accademia senza sostenere esami. Gioachino era di otto anni più giovane della Colbran e sicuramente la conosceva di fama e l’ammirava: difficilmente però avrebbe potuto immaginare che dopo sedici anni l’avrebbe sposata.
Ma Bologna va troppo stretta a Ysabel e a suo padre Juan, essi puntano al massimo e il fascino esercitato da Napoli e dal S.Carlo è irresistibile. La Colbran vi arriva grazie alla protezione della famiglia Bonaparte e l’11 maggio 1811 vi debutterà con Nina pazza per amore di Paisiello, anche se il repertorio nel quale è destinata a primeggiare è di tutt’altro genere: per vocalità e temperamento darà il meglio di sé come attrice drammatica.
Nel 1812 Juan acquista a Castenaso una magnifica villa e l’attigua tenuta agricola, a fianco del Santuario della Madonna del Pilar. Anche la villa, grande ed elegante, cinta da fitti e rigogliosi alberi, era di proprietà del Collegio di Spagna, ma poté essere vantaggiosamente acquistata dai Colbran in seguito all’invasione francese. Ormai Ysabel è al vertice dell’olimpo canoro e retribuita con somme senza precedenti nei teatri, ma sicuramente non immagina che la gloria è ancora tutta da conquistare, grazie a Rossini.


Il caso vuole che la Colbran stessa sia l’intermediaria tra Ricordi e l’impresario Barbaja perchè Rossini, divenuto di colpo famoso con La pietra del paragone e consacrato definitivamente nel 1813 a Venezia con il Tancredi e l’Italiana in Algeri, accetti una scrittura nei Teatri napoletani.

ROSSINI A NAPOLI
Siamo nel periodo della restaurazione successiva alla caduta di Napoleone: sul trono di Napoli, viene ristabilito Ferdinando IV di Borbone col titolo di re delle Due Sicilie, mentre Gioachino Murat, cognato di Napoleone, che lo aveva destinato a reggere quel regno, tenta di conservarsi il trono ma viene prima sconfitto a Tolentino, poi, dopo uno sbarco in Calabria, viene arrestato e giustiziato. La restaurazione borbonica è però indolore: Ferdinando e suo figlio Leopoldo sono moderati e concilianti e inoltre le trasformazioni economiche e sociali avvenute durante il dominio francese sono tali che un ritorno al passato è impensabile.
Gioachino Murat, in particolare, aveva introdotto spettacoli di gusto francese, aveva promosso la riorganizzazione dei Reali teatri, delle compagnie artistiche e fortunatamente, nella suo manovra di ammodernamento, aveva trovato un importante punto di forza: l’audacia e l’intuito imprenditoriale di Domenico Barbaja. Milanese, di umile estrazione sociale, incolto ma con grande fiuto per gli affari, aveva saputo ribaltare nel giro di un anno o due le sue condizioni di garzone di caffè, introducendo in Italia il gioco della roulette e creando un impero del gioco d’azzardo.
Trasferitosi a Napoli, aveva ottenuto prima l’appalto dei giochi che si tenevano nei ridotti dei teatri, poi la gestione dei teatri stessi.
Bisogna rammentare che l’edificio teatrale era a quel tempo contenitore variegato di qualsiasi tipo di divertimento e di intrattenimento. Oltre le accademie di ballo, canto e strumento, c’erano la caffetteria e la ristorazione, si tenevano feste e lotterie, trovavano posto giochi da luna park. Nei ridotti si succedevano esibizioni di vario genere, dalla magia alla scherma alle declamazioni poetiche. Fondamentale importanza aveva poi il gioco d’azzardo, anche se i Borboni tenteranno gradualmente di eliminarlo.
Rossini arriva a Napoli alla fine del 1815. Il Giornale delle due Sicilie, in data 25 settembre, scrive che è arrivato “ un tal signor Rossini, maestro di cappella, che si dice venuto per dare una sua Elisabetta d’Inghilterra”. Il tono quindi non è dei più entusiasti. Ma sei anni dopo, quando Rossini lascia Napoli, lo stesso Giornale, elencando le opere scritte durante quel soggiorno, afferma che una sola di esse “sarebbe bastata per consacrare nel tempio dell’immortalità il suo nome.”
Rossini si trova benissimo a Napoli. Gli piacciono la cucina, le donne, il clima, il cosmopolitismo. Fa musica nei salotti dei nobili, fraternizza con scrittori come Dumas e Balzac, che racconteranno aneddoti su di lui. Insomma Rossini è entusiasta: in una lettera definisce Napoli il più bel paese d’Europa.
Anche il clima culturale è estremamente vivace. La classe intellettuale precorre i tempi e l’ambiente teatrale è ben predisposto ai tentativi di riformare lo spettacolo.
Il San Carlo poi offre un cast vocale di grandissimo rilievo (Isabella Colbran, Andrea Nozzari, Manuel Garcia), un’orchestra considerata tra le migliori nel panorama europeo e uno scenografo prestigioso, Antonio Niccolini: Rossini non potrebbe desiderare di meglio.
Anche con Barbaja l’accordo è perfetto: vive nel suo palazzo, in via Toledo 210, è socio dell’impresario in vari campi, si occupa della direzione artistica del teatro, gode inoltre di una parte degli utili del gioco d’azzardo.
Durante i primi incontri con la Colbran, Rossini è in una situazione di inferiorità, anche perché la cantante, come noto, è l’amante di Barbaja. Ma è molto bella, altera, i suoi riccioli nerissimi e ribelli sprigionano tutto l’ardore della natia Spagna. Così la descrive Stendhal:
“Era una bellezza del tipo più imponente: lineamenti marcati che, sulla scena, risultavano magnifici, una figura splendida, occhi di fuoco alla circassa, una foresta di capelli del più bel nero corvino e finalmente, l’istinto della tragedia.”
Rossini, sensibile com’è al fascino femminile, se ne invaghisce e trova in lei profondi motivi di ispirazione. Si realizza un felice connubio che permette a Rossini di portare avanti la sua ricerca drammaturgica nell’ambito dell’opera seria. Tutte le opere composte per i Reali teatri napoletani sono imperniate sulla figura della protagonista femminile. Lo stesso Otello è da leggere in chiave femminile. Gioachino valorizza al massimo le prerogative vocali e sceniche della cantante, che gli permettono di sperimentare i vari generi dell’opera seria: il fantastico di Armida, il preromanticismo della Donna del lago, il lirismo di Ermione, la religiosità nel Mosè (dove la Colbran interpreta l’ebrea Elcia, di cui è innamorato Osiride, figlio del faraone).
Eco vivissima di queste interpretazioni della Colbran si trova nella “Vita di Rossini” scritta da Stendhal, anch’egli soggiogato, come abbiamo visto, sia dalla bellezza della donna che dalla perfezione della sua tecnica interpretativa.
Possiamo far cominciare la storia d’amore di Rossini e di Ysabel nel 1817: c’è un particolare che naturalmente non ci dice niente di preciso ma che è molto indicativo: Ysabel appone la sua firma sotto quella di Rossini in una pagina del manoscritto dell’Armida.
Non dimentichiamo che nel frattempo Rossini viaggia e scrive anche per altri teatri, come gli consentiva il contratto con Barbaja: da ricordare l’infelice prima del Barbiere al teatro Argentina di Roma nel 1816, la Cenerentola al Valle di Roma e la Gazza ladra alla Scala di Milano nel 1817.
Nel 1821 il soggiorno di Rossini a Napoli volge al termine. Barbaja è chiamato a Vienna per assumere l’incarico di impresario del Kartnertortheater e lascia libero Rossini. Si rassegna anche a perdere la Colbran, della quale forse comincia a intravedere il declino. Dopo l’addio al San Carlo di Napoli con la Zelmira, Rossini, il 16 marzo 1822, come abbiamo visto, sposa Isabella Colbran a Castenaso. Sono presenti i genitori di Gioachino, ma non il padre di Isabella che era morto due anni prima. Il contratto nuziale assicurò a Rossini metà dei diritti delle proprietà di Isabella e il loro intero usufrutto.

LA CASA DI BOLOGNA

La villa di Castenaso sarà la residenza di campagna dei Rossini, mentre in città abiteranno il vasto e nobile edificio che si trova tutt’oggi in Strada Maggiore (esattamente al n. civico 26) e che Rossini acquista dal dottor Carlo Zanardi con rogito del 7 novembre 1822, per scudi romani 4.150, a fianco del palazzo dell’amico marchese Francesco Sampieri.
La casa è tuttora agibile e facilmente individuabile: chi, trovandosi a Bologna, si allontana dalle Due Torri e percorre Strada Maggiore in direzione della Porta omonima, non può fare a meno di notare, sulla sinistra, all’angolo con la Piazzetta S.Michele, un dignitoso palazzo con un arioso porticato antistante il piano terreno e con un balconcino centrale al primo piano. Guardando con più attenzione ci si accorgerà che la decorazione architettonica è molto accurata e, tra abbellimenti inusuali, si potrà individuare una piccola lapide recante la scritta:

QUESTA CASA EDIFICO’ ED ABITO’
GIOACHINO ROSSINI.

Delle originali stanze rossiniane restano un fumoir, una sala da musica rivestita in legno e alcuni affreschi a grottesche, la nota decorazione parietale caratterizzata da motivi floreali, animali, figure fantastiche, arabeschi, disposti in ordine simmetrico. Tali ornamenti, come risaputo, devono il loro nome a quelli scoperti nella Domus aurea di Nerone a Roma, i cui resti, essendo sepolti sotto le rovine delle terme di Tito e di Traiano, venivano chiamati grotte.

Rossini, per il grande desiderio di poter ospitare i genitori, decise di ampliare l’edificio, chiudendo i portici laterali, che erano pericolanti e offrivano facile nascondiglio ai malviventi. Affidò la direzione della ristrutturazione al Prof. Francesco Santini (che dovrà armarsi di pazienza per assecondare i numerosi capricci del Maestro) e inoltrò apposita richiesta alla Magistratura, che rilasciò l’autorizzazione solo dopo una lunga vertenza durata due anni e mezzo! Le lungaggini, dovute in gran parte alle lamentele dell’amministrazione parrocchiale da cui dipendeva la confinante Chiesa di S.Michele dei Leprosetti e alle resistenze del proprietario confinante, cav. Francesco Tortorelli, convinsero Rossini a rivolgersi direttamente al Cardinale Legato Folicaldi, che forzò la Magistratura adducendo motivi di pubblica sicurezza. Il 22 luglio 1825 la pratica riguardante i cambiamenti da apportare al fabbricato fu finalmente approvata, con l’obbligo però di sottostare a diverse prescrizioni della Assunteria del Pubblico Ornato. Rossini però è già partito per Parigi, dove i suoi successi si moltiplicheranno, e il compito di portare avanti i lavori è delegato al padre, che si rivelerà un prezioso collaboratore.
La casa presenta ancora oggi tutte le caratteristiche e l’eccesso di ornamenti voluto da Rossini, che più di una volta espresse con abbozzi a matita i particolari architettonici desiderati.
Cornici, stipiti e fascie sono minutamente lavorati. In alcune nicchie sono riprodotti strumenti musicali avvolti da rami d’alloro: una cetra, una siringa, un sistro, un corno.
Nella facciata si legge il motto ciceroniano, in grandi lettere un tempo dorate,

NON DOMO DOMINUS SED DOMINO DOMUS
(non deve ricevere prestigio il padrone dalla casa ma la casa dal padrone).

Sul fianco sono riprodotti un verso e un emistichio tratti dal VI libro dell’Eneide di Virgilio (vv. 646 e 658):

OBLOQUITUR NUMERIS SEPTEM DISCRIMINA VOCUM
INTER ODORATUM LAURI NEMUS
(fa vibrare ritmicamente le sette corde che danno differente suono - nel bosco odoroso di lauri).

Superato l’ingresso, che si apre al riparo del classico porticato bolognese, si accede ad un atrio rotondo con archi, colonne, stucchi di teste muliebri sul soffitto e due statue di sapore greco in nicchie laterali.
Una scala a spirale, di grande effetto scenografico, consente di accedere ai piani superiori in un gioco di colonne corinzie, medaglioni e ancora stucchi. In un angolo una magnifica aquila ad ali spiegate, coronata di alloro. Sulle pareti possono intravedersi gli affreschi del Santini, con effetti “trompe l’oeil” di sipari e scene teatrali.
I lavori andarono molto per le lunghe. In alcune lettere del 1827 da Parigi, Rossini chiede ancora notizie dei lavori!

 

LA VILLA DI CASTENASO

 

Della villa di Castenaso invece resta pochissimo a causa di un incendio che la distrusse nel corso della Seconda guerra mondiale: sono visibili solamente una parte della cancellata d’ingresso e un grazioso pozzo ricoperto da una cupola in pietra viva. Osservando bene la campagna si può anche riconoscere il viale d’accesso e individuare la posizione della casa, segnata da una modesta macchia d’alberi e cespugli.
C’è veramente da dispiacersi per questa perdita poiché la tenuta era piuttosto piacevole. Scrive Gaetano Rossi, il librettista della Semiramide che giunse a Castenaso all’inizio dell’ottobre 1822 e lavorò all’opera per tutto il mese assieme al compositore:
“Sabato venne Rossini: mi condusse alla di lui villa: Deliziosa, per vero: ne’ più ameni contorni, bei giardini, tempietto voluttuoso, lago, montuose, boschetti, e palazzo magnifico: elegante: - Combinammo l’ossatura: egli approvò le situazioni tutte ch’io aveva già destinato: - Cominciò a comporre ieri.”
Apprendiamo quindi da questo documento che la Semiramide fu composta per buona parte nella villa di Castenaso e la circostanza è confermata dallo stesso Rossini in una lettera di trent’anni dopo a Rinaldo Fagnoli, cui aveva venduto la villa dopo la morte della Colbran:
“Preg.mo sig. Rinaldo: Mi compiacio dichiararle che il pianoforte del fabbricante Johan Fritz di Vienna a Lei ceduto, esistente tuttora nella villa di Castenaso, è quello stesso di cui mi valsi allorquando composi il mio spartito che ha per titolo Semiramide.”

 LA SITUAZIONE PRECIPITA

Il soggiorno in campagna serviva anche a mitigare tutta quella serie di disturbi psicologici, fobie, manie di persecuzione, depressione, che avevano cominciato ad assillare il maestro e a rivelare il suo temperamento ciclotimico. Scrive all’amico Vanotti il 20 luglio 1834:
“La vita pastorale mi conviene, oh come sono belle le piante; quanto mi piace la luna, il cantar degli uccelletti, il mormorio dell’acqua! Tutto m’incanta!”
Anche per la Colbran ci sono purtroppo problemi di salute. Una prescrizione medica del 1828 ci attesta che Isabella soffriva della stessa malattia che affliggeva il marito, cioè la gonorrea, i cui metodi di cura nell’800 servivano a poco, anzi a volte peggioravano la situazione.
Da una relazione medica apprendiamo che al povero Rossini venivano prescritte terapie fastidiose e inconcludenti: instillazioni uretrali con olio di mandorle e malva, applicazione di sanguisughe, purganti, fiori di zolfo mescolati al cremor tartaro! Inoltre egli stesso, nel timore di un restringimento dell’uretra, si applicava da solo un catetere tutti i giorni per lunghi periodi: difficile immaginare tutto questo dietro l’immagine ridente e arguta che abbiamo di lui.
L’unione felice di due persone all’apice della fama e del successo stava assumendo dunque, lentamente, i contorni della sofferenza e del dramma.
Da qualche anno era iniziato anche il declino vocale della Colbran: nel ’23 a Venezia durante Maometto II la cantante era stata fischiata e aveva conosciuto il più clamoroso insuccesso della sua carriera. Il 1824 a Londra segnerà il suo ritiro definitivo dalle scene.
Abbandonato il palcoscenico Isabella si stabilisce col marito a Parigi (dove Rossini è stato chiamato a dirigere il Theatre des Italiens e dove comporrà Il viaggio a Reims e Le comte Ory). Qui conduce un tenore di vita ormai fuori controllo: la si vede spesso nei migliori negozi di mode e di profumi, raccoglie nel suo salotto la miglior società per il gioco delle carte che diviene un vero e proprio vizio e la sommerge in un abisso di debiti.
Tutto questo va bene finché Rossini è preso dai suoi impegni, ma quando il Guglielmo Tell (1829) segna la fine della sua carriera e la coppia rientra a Bologna le cose prendono una piega diversa. La vita troppo tranquilla di Bologna mal si addice ai due artisti abituati alla mondanità di Napoli o Parigi. E a poco servono le serate musicali che Isabella tenta di organizzare nella sua villa.
Quando deve tornare precipitosamente a Parigi per curare i propri interessi, Rossini parte solo e inizia da questo momento la sua definitiva separazione da Isabella.
Le lettere del padre di Gioachino, Giuseppe, indirizzate al figlio in quel periodo, non sono che una sequenza di lamentele per le spese folli della nuora in feste, ricevimenti, vestiti e servitori. La donna assume e cambia frequentemente cuochi, cocchieri, giardinieri, tappezzieri, compra e rivende cavalli, pappagalli, cani.
“...come si ha da amare e andare d’accordo con una donna superba ed infame, una scialacquona che non cerca che fare dispetti, e ciò perché non si vuole condiscendere alle sue grandezze e pazzie....” scrive amareggiato Giuseppe Rossini.

In realtà Isabella è ancora innamorata di Gioachino e tenta inconsciamente di attirare la sua attenzione per farlo tornare a sé, ma, purtroppo per lei, nel 1832 Rossini ha incontrato la donna che sarà l’amorevole compagna dei suoi anni successivi: Olympe Pellissier. La dedizione quasi infermieristica di Olympe, la sua giovinezza, la sua parsimonia conquisteranno il maestro e gli permetteranno di risalire la china di quella prostrazione fisica e mentale che sembrava insuperabile.
Nel ’37 Olympe incontrerà la Colbran a Bologna. Sembra che in un primo momento le due donne riescano a stabilire un rapporto cordiale, ma poi litigano: la Colbran accusa pubblicamente il marito di comportamento disumano e fa pesanti allusioni al passato della Pellissier (che era di fatto incoraggiata dalla madre ad accompagnarsi con signori facoltosi). Rossini inizia le pratiche per la separazione legale cui la Colbran finisce con l’acconsentire e che avverrà nel settembre dello stesso anno(1837): riceverà un contributo mensile di 150 scudi, l’uso della casa di Castenaso e un sussidio per l’affitto di un appartamentino in città (in via Zamboni 34, prima, e, dal maggio 1839, in via San Vitale 23, Palazzo Fantuzzi).
Nel 1845 Isabella Colbran si ammalò gravemente e morì: l’anno successivo Rossini sposò la Pellissier, in forma strettamente privata, nella cappella della villa del Marchese Banzi (oggi Via Murri 74), presa in affitto per l’estate.
Le vicende drammatiche del ’48-49, culminate con la fucilazione di Ugo Bassi da parte degli austriaci, allontanarono definitivamente da Bologna Rossini e la sua nuova compagna, che si trasferirono, con grande amarezza, prima a Firenze e poi a Parigi, dove il Maestro, riuscirà finalmente a rimettere in sesto il suo fragile sistema nervoso e ricomincerà a comporre. Purtroppo però non rivedrà più l’Italia.
Se vi capita di passare per Castenaso, imboccate la via Montanara e girate la prima stradina a destra dopo il Santuario, avviatevi lungo l’erba alta del prato, lasciatevi sommergere dall’emozione e dallo stormire delle fronde rigogliose degli alberi: non è escluso che riusciate a cogliere, con un piccolo sforzo della fantasia, qualche magica nota della Semiramide.

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Facciata del Santuario della Madonna del Pilar

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Interno del Santuario

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Isabella Colbran, Museo teatrale Alla Scala, Milano

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                                                                            Isabella Colbran: ritratto a olio,  Museo internazionale della musica di Bologna

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Gioachino Rossini, ritratto di P. Bettelli, Museo internazionale della musica di Bologna

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                            Domenico Barbaja: ritratto a olio (part.), Milano, Museo teatrale alla Scala

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Elisabetta d'Inghilterra: Figurino, per la prima dell'opera, di G. Pregliasco, Torino, Biblioteca civica

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                                           Casa di Rossini in Strada Maggiore a Bologna

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Particolare della facciata

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Particolare della decorazione

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Particolare della decorazione

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                                                                                L'atrio del palazzo

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La scenografica scala

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                                                                              Il soffitto dell'atrio

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La Villa di Castenaso, com'era prima della Seconda Guerra Mondiale

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Il viale d'accesso oggi

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Ciò che resta del cancello d'ingresso

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Il pozzo

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Olympe Pélissier, ritratto a olio attribuito a H. Vernet, Parigi, Fondation Rossini

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Letto di Isabella a Castenaso, Napoli, Collezione Ragni.