Il mistero della vita

La pioggia era una cascata densa e abbagliante che inondava l’auto, formando al di sopra dei tergicristalli minuscole onde che scorrevano rapidamente ai lati in veloci rivoli, scoprendo al di là del parabrezza una notte ostile.

«Porca puttana!» disse Gianluca tra i denti per la centesima volta, rallentando ancora l’andatura e sforzando lo sguardo a individuare il percorso della strada oltre il muro brillante che i fari dipingevano sulla cortina compatta di acqua. Maledisse in cuor suo l’estenuante lavoro che lo portava in giro per tutta la regione a fornire la sua preziosa assistenza ai numerosi clienti dell’Azienda: possibile che non sapessero trarsi d’impaccio da soli, che non imparassero mai a conoscere almeno le funzioni elementari del sistema installato nei loro computer, che lo mettessero  ogni volta, con un mezzo sorriso impacciato e colpevole, davanti a un monitor inceppato o, peggio, completamente nero.

Stava attraversando un agglomerato di case: probabilmente era già in periferia e quel viaggio estenuante avrebbe avuto finalmente termine. Già immaginava il suo salotto accogliente, un film in dvd e il tintinnio dei cubetti di ghiaccio in un bicchiere di Cardenal Mendoza. Ma dopo una curva apparve lei.

Era una visione talmente incongrua in quel deserto buio e turbinoso che per un attimo pensò a un’allucinazione. Rallentò e aguzzò la vista, poi la figura cominciò freneticamente ad agitarsi e lui non ebbe più dubbi: la ragazza si era messa sotto la luce di un lampione e si riparava con un soprabito inzuppato che teneva con una mano al di sopra della testa, mentre con l’altra gesticolava in direzione dell’auto. Accidenti, gli avrebbe bagnato tutta la macchina... però non poteva ignorarla e passare oltre: la poveretta si trovava davvero in un bel guaio, a quell’ora e con quel tempo da cani.  Si fermò accanto a lei e si sporse ad aprire lo sportello del passeggero.

«Salga, presto!» gridò per sovrastare lo scroscio ininterrotto della pioggia. Acqua e vento si insinuarono di colpo all’interno dell’auto insieme alla donna, che si lasciò cadere pesantemente sul sedile e restò per un attimo immobile. Gianluca dovette di nuovo sporgersi e chiudere lui lo sportello.

«Una brutta situazione eh? Per fortuna sono passato di qui.»

«Non so come ringraziarla... ero veramente impaurita... nessun riparo, il buio, quella pioggia così forte...»

«Ma come si è trovata in questo guaio?» chiese Gianluca ripartendo e concentrandosi di nuovo sulla guida.

«Una sciagurata serie di combinazioni: mi si è spenta la macchina e non è più ripartita. Forse per colpa di tutta quest’acqua... La batteria ha dato ancora qualche segno di vita, poi più nulla. Anche la batteria del cellulare ha pensato bene di abbandonarmi proprio adesso. Sono scesa in cerca di aiuto ma mi sono persa: per strada non c’era anima viva. Poi la pioggia si è intensificata, mi sono messa sotto il lampione per farmi vedere.... e finalmente è arrivato lei!»

Parlando stava un po’ riprendendosi, non era più leggermente sconvolta come quando si era seduta. Aveva una voce gradevole che assumeva un tono lievemente ironico man mano che raccontava la sua disavventura.

«Be’, le è andata bene. Mi dica dove devo accompagnarla.»

«Purtroppo sto dall’altra parte della città. Ma può lasciarmi alla prima fermata di autobus che incontriamo: le ho già causato abbastanza fastidi... guardi come ho ridotto il sedile...»

«Vuole scherzare? Come lo trova un mezzo a quest’ora? Non si preoccupi per me: l’accompagno volentieri».

E nel momento stesso in cui pronunciava questa frase, insultava silenziosamente sé stesso: come al solito doveva mostrasi gentile e disponibile, era nel suo carattere, non poteva farne a meno, anche se qualche volta si era venuto a trovare nei guai e si era pentito di questa sua arrendevolezza. Intanto la ragazza gli aveva dato l’indirizzo esatto e lui, con un cenno del capo, aveva confermato di sapere dov’era.

Stavano percorrendo un viale molto illuminato e questo gli consentì di darle una rapida occhiata: era completamente fradicia, lunghi capelli biondi si incollavano al capo e al viso luccicante, si stringeva addosso, rabbrividendo, il soprabito ormai inutile, ridotto ad uno straccio bagnato.

«Lei non può stare così», disse Gianluca rallentando e accostando al marciapiede. «Si prenderà un bel raffreddore. Guardi, qui dietro ho il borsone per la palestra. C’è dentro una felpa pulita. Può togliersi gli indumenti bagnati e metterla...»

«Ma no... lei è troppo gentile...». Gianluca intanto aveva preso la felpa dal borsone e gliela stava porgendo: la ragazza, nonostante il diniego, guardava molto tentata il capo caldo e asciutto.

«Su, la prenda. Non è il caso di fare complimenti. Io mi giro dall’altra parte, mentre lei si cambia».

Uno starnuto improvviso tolse la ragazza da ogni incertezza: cominciò a liberarsi dei suoi abiti, mentre Gianluca, dopo aver avviato premurosamente il riscaldamento, manteneva la promessa fatta e si girava ostentatamente verso il proprio finestrino.

L’intenzione era quella di ingannare l’attesa meditando, come accadeva spesso, sul proprio squallore quotidiano, ma quello che vide riflesso sul vetro attirò irresistibilmente la sua attenzione. L’immagine, per quanto debolmente illuminata, era perfettamente a fuoco: impossibile non distinguere le braccia che sfilavano un maglioncino scuro e i due grossi seni che ondeggiavano nell’oscurità come due globi luminosi nella notte. Gianluca avvertì un improvviso senso di oppressione alla gola e fece uno sforzo per non girarsi. Accidenti, l’aveva sottovalutata! Appena possibile l’avrebbe studiata meglio. Con rammarico vide la sua felpa nascondere tutto quel ben di dio e si girò: la ragazza stava strofinandosi il capo con la maglia e trasformando le ciocche bagnate in una arruffata ma splendida cascata di capelli chiari. Gianluca accese la luce dello specchietto, come per un automatico gesto di cortesia, ma in realtà per vederla meglio: la debole luce illuminò un viso dall’espressione grata e sorridente, una bocca aggraziata, due occhi grandi, probabilmente azzurri, che la luce incerta rendeva di un blu profondo e brillante.

«Adesso va molto meglio,» disse la ragazza. «Lei è il mio salvatore...»

«Non esageriamo... ma, almeno, questo mi autorizza a darti del tu?»

«Mi sembra il minimo. A proposito, io mi chiamo Daniela».

«Io sono Gianluca e sono un tecnico informatico. E tu invece cosa fai per vivere?»

«Per vivere, poco: se non avessi una piccola rendita morirei di fame. Sembra che traduttrici e interpreti non servano più. Oppure siamo in troppe.»

Gianluca era ripartito e si era di nuovo concentrato sulla guida. Non sapeva come portare avanti la conversazione: la fuggevole visione di poco prima, l’abbagliante bellezza della donna seminuda, continuava ad affacciarsi alla sua mente.

«Ecco: gira qui a destra», disse Daniela indicandogli una stretta via. «Puoi fermare dopo quella macchina  bianca. Io abito qui».

Pescò un attimo nella sua capiente borsa e gli porse un cartoncino:

«Questo è il biglietto da visita che uso per il lavoro. C’è il mio numero: chiamami, così ci mettiamo d’accordo per la felpa».

«Ah, è vero, già non ci pensavo più...», maledizione, dì qualcosa, non lasciarla andare via così... «In realtà sono un po’ frastornato... caricare in macchina un pulcino bagnato  e vederlo trasformare in una donna bellissima... be’, non è mica facile...».

La sua risata fu una sorpresa: un suono da palcoscenico, la risata limpida di una cantante d’opera. Scese dalla macchina, chiuse lo sportello e si chinò all’altezza del  finestrino:

«Ci sentiamo domani!»

Gli occhi brillarono un attimo nel buio, l’espressione era maliziosa... Ma certo!  Sapeva che lui l’aveva vista nuda e la cosa la divertiva!

La osservò allontanarsi. Gambe lunghe, figura flessuosa, un modo di camminare che colpiva per la sua fragile eleganza... Dio mio, ma che donna gli era capitata?

 

 

 

«Sei bellissima...» disse Gianluca allungando una mano sul tavolo del ristorante fino a prendere quella di Daniela e stringerla in un leggero gesto affettuoso.

L’atmosfera discreta e poco illuminata del locale incoraggiava il fluire dei sentimenti. Gianluca scacciò, con un gesto che gli era abituale, la ciocca scura di capelli che gli ricadeva sugli occhi e guardò fissamente la ragazza, che, ancora una volta, abbassò lo sguardo, come se volesse sfuggirgli.

Gianluca, quando voleva, ci sapeva fare con le donne. Le doti di  perseveranza e di intuito, che lo facilitavano nel lavoro, gli erano venute in aiuto anche nei pochi  corteggiamenti e nelle conseguenti storie di breve durata che avevano segnato fino a quel momento la sua vita sentimentale. Ma con Daniela era stato diverso. La ragazza gli era entrata dentro come nessun’altra e lui si era innamorato per davvero. Anche lei sembrava essere stata conquistata: Gianluca aveva un sorriso indefinibile che piaceva molto alle donne, così come il gusto per la battuta ricercata e l’aria seria e competente che gli davano gli occhiali dalla sottile montatura metallica.

Eppure Daniela aveva sempre avuto un’espressione reticente, come se nascondesse qualcosa, una malinconica durezza nello sguardo che si scioglieva solo dopo che Gianluca l’aveva frastornata con le sue chiacchiere. Quella sera poi sembrava più distante del solito.

«Cosa c’è?», chiese sforzandosi di essere gentile. «Sembra quasi che i miei complimenti ti diano fastidio...»

«No, non è vero.... mi fanno piacere...»

«Insomma, Daniela, io con questo tuo atteggiamento non ci capisco più niente. Sono ormai parecchi giorni che stiamo insieme, ci vediamo regolarmente, mi fai capire che sei contenta, che mi vuoi bene... eppure ti sento sfuggire. Quando ti bacio o ti abbraccio mi sembra addirittura di sentirti irrigidire...»

La ragazza, senza rispondere, teneva ostinatamente gli occhi fissi sul tavolo. Poi li alzò e Gianluca si sentì mancare: lo sguardo era profondamente addolorato, sopraffatto da un velo di lacrime.

«Mi dispiace...» disse Daniela scuotendo il capo e facendo ondeggiare lievemente la bella massa dei capelli biondi. «Avrei dovuto fermarti prima... parlarti... io non posso avere un rapporto normale... Possiamo essere amici, volerci bene, ma se vuoi andare oltre mi metti in imbarazzo. Sono costretta a respingerti». Aveva pronunciato le ultime parole con fermezza, riacquistando la padronanza di sé. Gianluca era sorpreso, disorientato:

«Ma... cosa dici? Com’è possibile? Dài, mi prendi in giro...»

«Non c’è niente da scherzare». Disse seccamente Daniela, con improvvisa freddezza.

«Ma io... ti amo, non faccio altro che pensare a te... mi devi una spiegazione.»

«Non posso spiegare niente. Devi accettare le cose così: solo un’affettuosa amicizia o niente».

Bene, la serata era irrimediabilmente compromessa. Gianluca mangiucchiò svogliatamente qualcosa che aveva nel piatto, senza neanche rendersi conto di cosa fosse. Ma che razza di storia era quella? Ripensò alle parole che Daniela gli aveva detto, si sforzò di trovare una spiegazione logica, ma non gli venne in mente niente. Eppure la ragazza sembrava estremamente seria, anzi era  addolorata. Forse era veramente vittima di una situazione che sfuggiva al suo controllo. Le lanciò un’occhiata: era immobile, impenetrabile. E, accidenti, questo la rendeva ancora più bella e desiderabile.

«Dio mio, Daniela! Non puoi pensare che io accetti così, passivamente, le tue parole!» Gianluca era esasperato, parlava in tono sommesso perché erano in pubblico ma avrebbe voluto urlare. «Devi farmi capire! Non posso rinunciare a te per un semplice no»

La ragazza si alzò lentamente, senza mutare la sua espressione distaccata.

«Ti aspetto alla macchina», disse in tono formale.

Gianluca restò un attimo sconcertato, si guardò intorno nel timore che qualcuno avesse notato il piccolo screzio, ma tutti sembravano presi dalla propria conversazione o dalla cena. Andò alla cassa a pagare e seguì la ragazza.

La riaccompagnò a casa in silenzio. Prima che lei scendesse dalla macchina fece un ultimo tentativo per avere almeno un indizio, una parola in più per tentare di capire il motivo di quell’inspiegabile, improvvisa svolta in quella che era sembrata fino a quel momento una perfetta storia d’amore. Niente da fare: una “buona notte” data in tono distaccato mise fine alla serata e ancora una volta Gianluca si sorprese ad ammirare affascinato l’armoniosa figura che si allontanava.

In cielo, una stretta falce di luna, splendente e inutile, bucava solitaria l’oscurità.

 

 

 

«Scusami… ma non ce l’ho fatta…». Il tono di Gianluca era basso e sconsolato. «Ho resistito tre giorni, come hai visto, ma poi ho dovuto chiamarti».

Daniela era solo un respiro all’altro capo del telefono.

«Ti prego, dì qualcosa… mi rendo conto di non essere molto originale ma io… ti amo,  non posso stare senza di te…»

«Anch’io sono stata molto male in questi giorni», rispose finalmente la ragazza. 

«Penso che dovremmo vederci e cercare di soffrire il meno possibile per questa situazione…» Parlava in tono quieto e rassegnato, come chi ha subito una circostanza avversa e ne è appena venuto fuori. Gianluca si sentì subito risollevato da queste poche parole. Avrebbe voluto correre da lei, stringerla, ma sapeva che l’oscuro dubbio che li aveva divisi era ancora lì. E bisognava assolutamente risolverlo. Nessuno dei due però si azzardò a dire altro per il momento e si limitarono a concordare un incontro per quella stessa sera.

 

 

 

L’atmosfera era molto diversa dall’ultima, infelice volta in cui si erano visti. Avevano mangiato con gusto, avevano riso, avevano bevuto molto e in fretta, quasi volessero separarsi alla svelta dai loro pensieri e raggiungere un livello di euforia che consentisse loro di accettarsi l’un l’altro serenamente, di vedere la vita attraverso il piacevole vetro deformante dell’ebbrezza.

Daniela era più attraente che mai, lanciava lo squillo della sua forte risata contro il cielo mentre scuoteva all’indietro la fiorente massa dei capelli lucenti e protendeva il rilievo esuberante del seno come una polena.

Gianluca la strinse con un braccio alla vita e la trascinò:

«Vieni, andiamo a vedere il mare».

Camminarono fino in fondo al molo, ondeggiando e inciampando, ostacolati dall’intreccio delle loro braccia e dalla vicinanza dei loro corpi, fermandosi a tratti per un bacio o per ridere di una battuta.

Evitavano, quasi per un tacito accordo, ogni minimo riferimento agli interrogativi irrisolti che sotto sotto li dividevano.

Si ritrovarono in macchina, sotto casa di lei, per un ultimo abbraccio, una scena ripetuta ormai tante volte. Ma questa volta Gianluca, sforzandosi di dimenticare l’allegria estraniante della serata, o forse facendosi forte proprio con quella, era ben deciso ad andare fino in fondo.

«Ma dove credi di andare… vieni qua», disse senza liberarla dall’abbraccio, anzi stringendola ancora di più.

«Lasciami!», disse lei ridendo e divincolandosi, stando al gioco di una innocua lotta tra amanti. «Dài, domattina devo lavorare…»

«No che non ti lascio! Almeno fino a quando non mi dici perché il nostro rapporto non può andare oltre queste estenuanti moine da ragazzini».

Smise di lottare, ma il suo corpo si irrigidì.

«Ti ho detto di lasciarmi!» disse improvvisamente gelida. «Perché vuoi rovinare tutto?»

«Rovinare cosa?» gridò Gianluca perdendo improvvisamente il controllo. «Rovinare… cosa? Ma se non c’è niente di importante tra di noi?  Non mi lasci avvicinare… fai la misteriosa… Ma non lo capisci che io ti desidero? Non siamo due bambini: come puoi pensare, col corpo che hai… bella come sei… che io non voglia…»

Stava ansimando, non riusciva più a parlare, la bloccò sul sedile andandole sopra con tutto il suo peso. La baciò sul collo poi, tirando malamente l’apertura della camicetta e strappando alcuni bottoni, riuscì a mettere allo scoperto l’abbondante porzione di un seno: l’improvviso candore che risaltava nella penombra lo eccitò ancora di più. Appoggiò il viso ardente su quella pelle morbida e tentò di insinuare una mano sotto la gonna. A quel punto Daniela, che fino ad allora aveva opposto una resistenza passiva, cominciò a dibattersi come un animale in trappola.

«No! Gianluca, no!», gridò con una strana voce atterrita.

Ma lui era forte e inarrestabile, esperto: trovò senza difficoltà l’orlo degli slip, vi insinuò la mano pregustando la carezza di una soffice peluria…

Si arrestò interdetto. Anche lei smise di colpo di lottare. C’era qualcosa… di strano, di …impressionante. Gianluca cercò gli occhi della donna, in cerca di una spiegazione, di un aiuto, ma vide solo che brillavano nell’oscurità come quelli di una belva pericolosa. Mosse prudentemente la mano che aveva insinuato tra le sue gambe, fece qualche carezza più decisa… nulla! Là sotto era tutto liscio come una bambola.

«Allora? Posso andare?» chiese gelida la ragazza. Si liberò del peso dell’uomo, si tolse dalla scomoda posizione in cui si era venuta a trovare e scese dalla macchina. Tenne aperto lo sportello e si sporse verso Gianluca che era rimasto immobile e senza parole. Il suo volto, fino ad allora di incantevole bellezza, si era quasi deformato e appariva d’un tratto sgradevole e perfido.

«E’ fin da piccola che difendo il segreto di questa mia malformazione». Le sue parole erano un sibilo minaccioso. «Non lo conosce nessuno… chi è venuto a saperlo per caso …non può più raccontarlo. E tu farai la stessa fine».

Sbatté lo sportello della macchina e se ne andò senza voltarsi.

 

 

 

La lieve coltre di nebbia rendeva il paesaggio monotono e malinconico. Purtroppo i lunghi tratti di strada, che doveva percorrere quasi ogni giorno, formavano un irresistibile spazio per meditare: meglio le difficoltà che incontrava sul lavoro, più erano impegnative più tenevano la mente lontano dai recenti avvenimenti. Gianluca sorrise, suo malgrado. Ma che storia incredibile! Proprio a lui doveva capitare... Il viso di Daniela gli si presentava continuamente, con quegli occhi incredibilmente grandi e luminosi, la finezza dei lineamenti, per deformarsi quasi subito jn quell’espressione minacciosa che non avrebbe mai dimenticato. Che cosa aveva voluto dirgli con le sue ultime parole? Che aveva fatto fuori tutti quelli che erano venuti a conoscenza del suo segreto? E che sarebbe toccato anche a lui? Nooo, non era mica un film horror di serie B... Sicuramente la ragazza l’aveva detto in un momento di rabbia... e se invece... non sono pochi a celare abilmente una natura psicopatica che emerge improvvisamente con risultati drammatici. Mettiamo che per quella sciagurata il senso di vergogna, la necessità di doversi nascondere, siano più forti di ogni altra cosa...

Però... quant’era bella... Che beffe crudeli può giocare la natura. Dotare una donna di tutte le attrattive e privarla di quella che la rende veramente donna, farla nascere con un apparato genitale inesistente, o incompleto... non sapeva niente di più preciso. Gli restava solo come il ricordo di una scottatura sul palmo della mano, quella mano che voleva sfiorare il piacere e si era affacciata invece sull’orlo di un incubo.

Ma... i rapporti sessuali erano poi fondamentali nella vita? Chi l’ha detto che è obbligatorio procreare? Se ricordava bene i suoi studi liceali, c’erano addirittura delle correnti filosofiche che incoraggiavano il rifiuto della procreazione.

Perché non pensare a un tipo di rapporto diverso, più profondo? La compagnia di Daniela era la cosa più appagante che lui avesse mai provato: il suo modo di parlare e di ridere, lo straordinario accordo tra di loro in ogni momento, dalle cose più banali ai discorsi più profondi, quella buffa, tenera camminata che la faceva sembrare una ballerina troppo alta... quel seno prorompente che era sempre tra di loro, una continua provocazione... no, impossibile stare con lei senza pensare a... non avrebbe mai funzionato!

 

 

 

Lo squillo del campanello lo colse di sorpresa.

«Chi diavolo è a quest’ora? Scommetto che mi vogliono vendere qualcosa...». Abbassò il gas sotto la pentola dove aveva messo a bollire l’acqua per farsi due spaghetti e andò ad aprire.

La sorpresa non poteva essere più traumatica: Daniela era di fronte a lui, con un sorriso indecifrabile e uno sguardo provocante.

«Be’, non mi fai entrare?»

«Ah, sì.... scusami. Accomodati...» disse facendosi da parte e chiudendo la porta. «Stavo facendomi degli spaghetti... se vuoi ne aggiungo anche per te.»

«Non è una cattiva idea... ce n’hai del vino?»

«Certo. Ho quello che piace a te.»

Ma che stava succedendo? Cosa ci faceva lì? Com’era possibile che stesse parlando tranquillamente... e lui che le rispondeva con lo stesso tono!

Gianluca era veramente frastornato. Si concentrò sulla pesatura degli spaghetti, salò l’acqua, stette girato verso i fornelli per non vederla e avere il tempo di raccogliere le idee. Forse era venuta a proporre una riappacificazione... ma questo non risolveva il problema. E chi se ne frega!  L’importante era che lei fosse lì! Ripresosi dal disorientamento iniziale Gianluca si stava sentendo invadere da un’esultanza crescente, i suoi gesti si erano fatti nervosi, rovesciò in terra gli spaghetti, rise come uno stupido.

Si girò finalmente a guardarla e riprese contatto con quell’emozione brutalmente interrotta qualche settimana prima: era ancora più attraente di quanto la ricordasse, illuminava il suo monolocale come un’apparizione, semplicemente stando seduta al tavolo con il bicchiere in mano e seguendo le sue disavventure culinarie con un sorriso divertito.

In un modo o nell’altro, scottandosi, imprecando, riuscì a scolare gli spaghetti, farli saltare un po’ in padella con un condimento di sua invenzione, servirli in tavola.

«Mhh, hanno un bellissimo aspetto!» disse Daniela con entusiasmo. «E sono anche buoni. Bravo!» aggiunse dopo aver inghiottito un’enorme forchettata.

«Be’... a vivere da soli prima o poi si impara anche a cucinare. E poi, come tu sai, mi piace mangiare bene.»

E in effetti Gianluca mangiava di gusto, come non gli succedeva da tempo, senza togliere gli occhi di dosso a Daniela. Agli spaghetti seguì una degustazione di formaggi abbinati a miele e confetture di frutta varie, due coppette con un budino che non si sa come erano in frigorifero, il  tutto servito con brio e commenti comici che  sembrava divertissero molto l’ospite.

Alla fine Gianluca si fece di colpo serio. Si servì un ultimo sorso di vino, rigirò il bicchiere tra le dita osservando il mutevole riflesso color rubino.

«Questa tua visita improvvisa ha sbloccato una situazione estremamente fastidiosa», disse fissando il fondo del bicchiere. «Mi sono reso conto di quanto tu sia importante, anzi, irrinunciabile. Non immagini quanto io sia felice in questo momento... Sto per dirti una cosa importante... Mi sono tornate in mente le parole che pronuncia il protagonista alla fine di un film di Fellini, Otto e mezzo: “Ora ho capito” dice pressappoco, “devo accettarvi come siete, amarvi come siete”... Ecco, anch’io ti voglio così, come sei non come potresti essere...»

Alzò lo sguardo e restò esterrefatto: Daniela stringeva nella mano destra una piccola, minacciosa pistola, il suo sguardo era gelido, la sua bocca contratta. Gianluca si sentì morire, era incapace di muoversi, deglutì dolorosamente, con la gola improvvisamente asciutta. Poi accadde tutto con esasperante lentezza: la mano di Daniela cominciò a tremare, gli occhi si dilatarono e si riempirono di lacrime, lanciò lontano l’arma. Appoggiò il capo su un braccio, sopra il tavolo, e cominciò a singhiozzare.

Gianluca si riprese gradualmente, ricominciò a respirare con regolarità, scosse la testa per scacciare, ma senza esito,  un fastidioso sibilo che gli risuonava nelle orecchie. Vedeva le spalle della ragazza sussultare, scosse dal  pianto, e la paura di poco prima si trasformò lentamente in commozione. Provò una profonda pena per quella donna che sicuramente provava dei sentimenti di sofferenza più disperati dei suoi. Si alzò e le andò vicino, le posò una mano su una spalla e con l’altra le accarezzò leggermente il capo per confortarla. Daniela alzò il viso verso di lui, un viso dolente e inondato di lacrime.

«Non ce la faccio», disse con la voce spezzata dagli ultimi singhiozzi. «Non ce la faccio», ripeté. «Io… ti voglio troppo bene… Perdonami… Tu non sai cosa vuol dire scoprire di essere diversi, cercare negli occhi degli altri l’ombra della commiserazione, vivere nel dubbio: lo sanno o non lo sanno? E poi crescendo, acquistare maggior sicurezza, imparare a difendere il tuo segreto con le unghie e coi denti…»

«Daniela…»

«Vuoi sapere se c’è stato qualcuno prima di te? Qualcuno che ha …pagato con la vita?»

«Daniela… no. Ti prego, ora basta. Non voglio sapere niente. C’è solo il presente, ci siamo solo noi».

«Ma ti resterà sempre il dubbio. Sarai tormentato, dovrai reprimere continuamente il bisogno di sapere…»

«No, non me ne frega niente! Il sentimento che provo per te è talmente forte che supera ogni altra considerazione. In questi ultimi giorni non ho fatto altro che pensarci e prima ancora che tu venissi, questa sera, ero arrivato alla conclusione che pur di stare con te potevo facilmente rinunciare a… a una vita sessuale normale, ad avere figli…»

Si aspettava ancora qualche resistenza, altri argomenti contrari, ma Daniela si alzò, si asciugò gli occhi col dorso delle mani, si gettò indietro i capelli e si sedette sul divano. I suoi occhi erano stranamente luminosi, la bocca incurvata in un sorriso   inafferrabile:

«Hai qualcosa di forte da bere?»

Gianluca restò un attimo interdetto dalla rapida trasformazione ma si riprese subito. Andò al mobile dove teneva un paio di bottiglie e scelse, dalla sua collezione di rhum, quello più vecchio e forte. Si sentiva un po’ ubriaco, la testa era leggera e andava per i fatti suoi: pensò che dopo il vino che si erano scolati durante la cena e le emozioni contrastanti del dopo cena, il rhum gli avrebbe dato il colpo di grazia. Ma non importava, era felice! Fece tintinnare la bottiglia sull’orlo dei bicchieri e servì a tutti e due una dose generosa. Nessuno sentiva il desiderio di aggiungere altre parole, se ne stavano appiccicati sul divano a sorseggiare il liquore che bruciava in gola lasciando un inconsueto aroma di fumo e di erbe esotiche. Poi Daniela si alzò, lo trascinò in giro per la stanza a spegnere tutte le luci e, al debole chiarore che proveniva dalle finestre, si diresse verso l’angolo in cui si trovava il letto.

Gianluca dovette di nuovo sorprendersi, ma la leggera ebbrezza che  invadeva la sua testa come una piacevole foschia faceva ormai da antidoto a qualsiasi emozione.

Daniela si sfilò l’abito e aiutò lui anche lui a liberarsi dei suoi indumenti, quindi lo attirò sul letto sopra di sé.

 

 

 

Gianluca stava annegando nel calore della sua pelle, nel suo profumo, nel groviglio dei suoi capelli carezzevoli. Come in un sogno sentiva le sue mani muoversi sul suo corpo, stringersi sul suo sesso duro e disperato, guidarlo verso un’apertura morbida ed accogliente… ma, dio mio, com’era possibile… lui si era preparato a rinunciare a tutto questo… no, era troppo ubriaco per cercare delle risposte… meglio assecondare il movimento di lei, meglio lasciarsi sprofondare in questa beatitudine senza limiti.

 

 

 

Una lama di luce gli colpì gli occhi e lo costrinse a un brusco risveglio. In un attimo ricordò tutto. I momenti drammatici della sera prima annullati da una felicità sconfinata: avevano fatto l’amore tutta la notte... ma... dov’era Daniela? Si guardò intorno... probabilmente la ragazza era andata via piano piano, cercando di non  svegliarlo. Forse quel giorno doveva lavorare... ehi, ma anche lui doveva lavorare! Era tardissimo: avrebbe dovuto inventarsi una scusa! Balzò dal letto e corse nel bagno. Il ricordo della notte passata con Daniela lo rendeva euforico. Si preparò in fretta e affrontò con entusiasmo la giornata. Mentre era in macchina la chiamò, doveva sentire la sua voce, verificare che non aveva sognato.

«L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile».

Maledetti telefonini! Pazienza: l’avrebbe richiamata più tardi.

 

 

 

La sofferenza è tanto più crudele quanto più non ne conosciamo le cause. Il dubbio, i tentativi frustrati di comprendere, riaprono continuamente la ferita e ogni volta il dolore è più acuto. Alla fine la spossatezza sommerge la mente in uno stato di nebbiosa confusione e l’esistenza non è che la sopravvivenza ottusa di una pianta arida che non vuole morire.

«L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile».

«Attenzione! Il numero da lei chiamato è inesistente».

«Guardi che la signorina Daniela non abita più qui. No, non ha lasciato un recapito.»

Queste frasi gli risuonavano ormai dentro come un’eco fastidiosa. Ogni domanda, ogni tentativo di ricerca cadevano nel vuoto più crudele. Gianluca si accorse di sapere ben poco di quella ragazza che lo aveva intossicato con un eccesso di fascinazione e di amore e sul più bello lo aveva ammazzato con l’arma più diabolica: scomparire nel nulla, senza lasciare tracce.

Inutile tentare spiegazioni logiche. Forse, poiché non poteva offrirgli un rapporto normale, gli aveva fatto il regalo più bello e poi si era condannata a scomparire. O forse era semplicemente una pazza e doveva ringraziare di essere ancora vivo. No, non c’era un’ipotesi che quadrasse. Daniela era adorabile, di intelligenza brillante, non c’era un particolare fuori posto in lei. A parte il segreto mostruoso che custodiva.

Però avevano avuto un rapporto completo... più di una volta... anche se al buio e con la mente un po’ offuscata.

Non ne veniva fuori. Questa era la sua condanna. Questa sarebbe stata probabilmente la sua vita. Un’angosciosa nostalgia permanente, senza la consolazione di un perché.

 

 

 

Si fece viva dopo un anno.

«Sono io. Ho una storia da raccontarti.»

Ormai Gianluca era insensibile a ogni sorpresa. Le vicende trascorse, che si erano a poco a poco stratificate in un sottofondo dolente, lo avevano  reso cinico e imperturbabile. La voce di lei, il suo inaspettato riemergere dal passato, gli procurarono appena un guizzo di interesse. Restò in silenzio aspettando passivamente gli eventi.

«Dobbiamo vederci», aggiunse lei. «Ti do il mio nuovo indirizzo.»

Gianluca si scrisse il nome e il numero della via, cercò di ignorare lo sforzo che gli costava parlare e chiese:

«Va bene se vengo stasera, dopo il lavoro?»

«D’accordo. Ti aspetto».

 

 

 

Il minuscolo appartamento, al primo piano di una casa a schiera in una via modesta,

era arredato con semplice buon gusto. Rivedere Daniela gli procurò un’emozione che credeva scomparsa per sempre: era ancora amore? Impossibile dirlo: troppo tempo, troppe sofferenze... Si guardò intorno imbarazzato e la sua attenzione fu attratta da un angolo dove si trovava un lettino per neonati. Istintivamente si avvicinò per guardare.

Un angelo addormentato, se gli angeli esistevano,  non avrebbe potuto essere più bello: un’incredibile cornice di capelli chiari circondava un piccolo viso dai tratti finissimi e dalla boccuccia che sorrideva nel sonno.

Daniela si avvicinò, sorrise a sua volta:

«È nostra figlia», disse con semplicità.

Gianluca pensò che l’improvvisa commozione fosse troppo forte ed ebbe paura. Sentì la gola chiudersi con un violento spasimo e fissò negli occhi Daniela, per avere  conferma che era tutto vero ma anche per ricevere la forza di superare lo sbalordimento.

Lo sguardo della ragazza, che più di una volta lo aveva sedotto, fu questa volta consolatorio: Gianluca ci si smarrì e trovò finalmente la quiete, la soluzione dei suoi dubbi, luminosa come è sempre la verità, quando si riesce a intravederla.

Lei lo prese per mano e lo condusse a un tavolo:

«Siediti... è una storia lunga...

Dopo il nostro ultimo incontro ero terrorizzata. C’era la possibilità che io rimanessi incinta e questo non me lo potevo permettere... Partii immediatamente.»

«Ma...»

«Aspetta. Lasciami raccontare: capirai tutto. Come tu hai probabilmente intuito io ho una grave malformazione dell’apparato riproduttivo. Fin da bambina i ginecologi che mi hanno visto hanno detto che un parto sarebbe stato impensabile per me. Poi mia madre, che purtroppo era rimasta vedova molto presto, cominciò a proteggermi dalla curiosità dei medici e della scienza. Non mi fece più vedere da nessuno, cambiammo città e cercò di curarmi sempre lei in qualsiasi occasione. Io crebbi ...quasi normalmente. Diventai persino una bella ragazza, tutti si giravano a guardarmi e nessuno avrebbe potuto mai immaginare l’anomalia che nascondevo. Tieni alla larga gli uomini, mi ripeteva mia madre, e vivrai felice. E così fu: quando qualcuno diventava pericoloso, cambiavamo città. Mi fece persino prendere il porto d’armi e mi regalò la pistola che tu hai visto... Non si sa mai, diceva, potresti averne bisogno... Ma io sorridevo delle sue paure e, soprattutto, tanto per rispondere all’interrogativo che ti leggo negli occhi, uomo di poca fede, non ho mai sparato a nessuno».

«Ma... veramente io non ci ho mai creduto...»

«Dài, non mentire... avevi lo sguardo di uno che vede la morte in faccia!» Il tono era furbesco e Gianluca si sentì sollevato: il racconto di Daniela, nonostante la drammaticità, stava diventando leggero.

«E poi? Continua!»

«Qualche giorno dopo la nostra... notte d’amore, chiamiamola così, ebbi conferma delle mie paure. Ero incinta. Lasciai la pensione dove mi ero momentaneamente rifugiata, incaricai un’agenzia di recuperare le mie cose nell’appartamento e custodirle in un box, poi me ne andai dall’unica persona che conosceva la mia situazione: mia zia. Visto che mia madre poveretta è morta qualche anno fa.

Mia zia, un’anziana donna di campagna che vive isolata e che è in grado di far fronte a parecchi problemi medici, sia con gli animali che con gli uomini,  mi ha ospitato senza problemi, anzi mi ha tenuto nascosta senza fare commenti. Io nel frattempo avevo preso un’importante decisione: portare avanti la gravidanza. A tutti i costi, con perfetta incoscienza, incurante dei rischi. Non è stato facile... ho sofferto molto, soprattutto negli ultimi tempi, ero diventata deforme, inguardabile, mi mettevo un camicione per nascondere la mia figura a me stessa, per non piangere... Tu non puoi immaginare come sono fatta dentro...

Poi ho partorito in casa, la bambina più bella del mondo...»

Gianluca non riusciva più a nascondere il suo turbamento. Per non mostrarsi troppo debole si alzò e andò alla finestra, fissando in un punto imprecisato lo sguardo che si era velato di lacrime. Sentì che Daniela lo aveva seguito, si girò e nascose il viso tra i suoi capelli. La dolcezza dell’abbraccio mise finalmente fine ai suoi patimenti, iniziati un anno prima.

«Ma noi... abbiamo fatto l’amore!» disse improvvisamente sciogliendosi dall’abbraccio e guardandola negli occhi.

«Certo! Come dimenticarlo.... quella notte eravamo impazziti!»

«Allora tu puoi... avere dei rapporti?»

«Sì... però al buio...»

«Non scherzare! Voglio dire... tu hai la... la...»

«La, la, la, smettila di balbettare. Certo che ce l’ho! E tu dovresti saperlo...»

«Ma io... non l’ho trovata dove doveva essere...»

«Già, quando mi hai messo le mani in mezzo alle gambe brutto maiale!»

«Insomma dov’è?» gridò Gianluca con comica disperazione.

«Questo non lo saprai mai!»