La maga

La sala d’aspetto era modesta e deprimente. Anzi sarebbe stato meno ipocrita definirla più sbrigativamente squallida. Rammentava l’anticamera di un medico di scarso valore, che non era mai riuscito ad arricchirsi. Le stampe alle pareti, che ambivano essere riproduzioni di quadri famosi, erano in realtà frutto dello smembramento di qualche vecchio calendario, cui le dozzinali cornicette in finto noce, anche a causa dell’abbondante polvere, non riuscivano a conferire la dignità voluta. Il salottino impagliato, che alcuni cuscini a fiori sbiaditi tentavano invano di ravvivare, non invitava certo a sedersi.
Andrea si avvicinò alla porta finestra che immetteva su un terrazzino largo quanto bastava per starci in piedi e guardò in basso: un cortiletto dall’aria umida e desolata ospitava qualche vaso di piante stentate. La cannella di una fontana, che lui non riusciva a vedere, o più probabilmente qualche rubinetto mal chiuso, mandava un solitario suono di acqua corrente.
Ripensò con disappunto a quel deficiente del suo amico Maurizio, che l’aveva cacciato in quella situazione.
“Dammi ascolto, Andrea, non puoi andare avanti così, sei troppo depresso: il lavoro non ti rende, in compagnia non apri bocca, non fai più niente di quello che ti piaceva…”
“E dai, non rompere le scatole anche te!”
“E le donne? Non ti giri neanche più a guardarle come facevi una volta! Senti, ti mando da una che fa i miracoli, una sensitiva…”
“Ma per favore! Dai, piantala!”
“Non sto scherzando. E’ una donna di grande capacità, bravissima, intuisce tutto, solo con qualche seduta ha tirato fuori parecchia gente da situazioni peggiori della tua. Nessuno sa chi sia esattamente, ma conosco uno che mi può dare il recapito: ti prendo io un appuntamento.”
“Maurizio, ma sei diventato cretino tutto in una volta? Mi conosci bene, lo sai che non ci credo a tutte queste balle…”
“Ma cosa ti costa provare? Al limite ci facciamo quattro risate!”
Forse perché sapeva che Maurizio in fondo gli voleva bene, forse perché, come sempre, il nuovo e l’ignoto gli davano quel piccolo brivido vitale della curiosità…insomma adesso era lì, come uno stupido, ad aspettare chissà cosa.
Il trillo smorzato di un campanello lontano lo riscosse. Si girò e vide che quella che era verosimilmente la porta di comunicazione con l’interno, prima maldestramente mimetizzata nella parete biancastra, ora era socchiusa. Si avvicinò, la sospinse e udì una voce dire: “Entri pure: si sieda.”
Non capì subito che cosa lo impressionò: se la voce dai toni profondi e metallici che faceva vibrare le vocali come un’intensa commozione, oppure la figura teatralmente inquietante che stava immobile dietro un tavolino ricoperto di un drappo viola, appena rischiarato da una sinistra lampada di ferro battuto.. Ma fu un attimo, il suo spirito abitualmente scettico e ipercritico si risvegliò subito. “La megera ha veramente creato una bella messa in scena”, pensò, “ ma a me non la dà a bere.” Si guardò intorno un attimo, vide che le pareti erano scure e spoglie e che l’unica finestra della stanza era probabilmente nascosta dietro una pesante tenda di stoffa nera: il tutto, non concedendo allo sguardo possibili appigli o rassicuranti forme geometriche, dava un leggero senso di vertigine. Si avvicinò al tavolo e si sedette sulla poltroncina di fronte ad esso, fissando la donna che continuava a tacere. Ebbe quindi il tempo di esaminarla con comodo: tutto si sarebbe aspettato, dalla classica tenuta zingaresca al velleitario camice bianco, ma non quella elegantissima tunica, ampia e di buon taglio, e quella maschera bianca e levigata che lasciava intravedere solo il luccicore di uno sguardo penetrante.
“Cos’è, uno scherzo?” disse, con voce malferma suo malgrado. Pentendosi comunque subito di essere stato così banale.
“Non sono qui per scherzare” disse la voce profonda con grande serietà, facendolo sentire un po’ sciocco. “E se si riferisce al mio aspetto, le dirò che molti di quelli che ricorrono alla mia opera si aspettano che io sia così. Un’altra cosa: lei è qui per comprare i miei consigli, ma la mia vera immagine non è in vendita.”
Parlava con tono quieto ed equilibrato, ispirando rispetto. Ma anche con arguzia: dietro le ultime parole si intuiva un sorriso.
“Vedo che lei è preda di un fastidioso senso di frustrazione” proseguì dopo una breve pausa ad effetto, “fare qualsiasi cosa, prendere la decisione anche più banale le costa fatica… è per questo che si è rivolto a me? Vuole che troviamo la causa di tutto questo, o preferisce conoscere subito il sistema per uscirne?”
Non aveva smesso di fissarlo un solo attimo. La sua posa altera e immobile aveva qualcosa di innaturale, che la fissità della maschera accentuava. Andrea aveva ascoltato con una certa impressione le ultime parole, ma si era ripreso subito: chiunque poteva valutare il suo atteggiamento malinconico alla prima occhiata ed era risaputo che queste donne erano abilissime nel dire cose banali e generiche, che si adattavano a svariate situazioni; gli sprovveduti ovviamente vi si riconoscevano e ne restavano impressionati.
“Non creda di fare colpo su di me per così poco”, replicò cercando di non apparire troppo scortese. “La diagnosi è fin troppo facile! Ma mi hanno indirizzato a lei promettendo cose prodigiose. Vediamo cosa sa fare.”

 

Rosanna era furiosa. Non le era mai capitato un simile cliente: di solito intimoriva e manovrava tutti dal primo istante. Questo invece aveva qualcosa di particolare. Intanto era bello, cavolo, veramente un bel ragazzo, con quell’aria trasandata, il sorrisino strafottente e il ciuffo biondo ribelle che cadeva sui grandi occhi tristi, grigi e luminosi come quelli di un husky. Però non doveva lasciarsi sviare da queste considerazioni, non era professionale. Quello che più contava adesso era metterlo al suo posto, riprendere il controllo della situazione e, se possibile, impressionarlo veramente.
Sì, ma come? Non era mica una “maga” lei. Era solo una povera neodiplomata che si era inventata un lavoro dopo mesi e mesi passati all’inutile ricerca di un’occupazione seria. Si fece forza e cercò di controllare il tono della voce.
“Questo atteggiamento ostile non la porterà da nessuna parte” disse col tono di voce più neutro e autorevole che riuscì a trovare. “Se vuole che l’aiuti mi deve dare un minimo di collaborazione. E concedermi un po’ di fiducia: anche se non crede in me, mi basta un minimo di disponibilità. Vede, a volte è proprio questo modo combattivo di affrontare le situazioni di ogni giorno, questa rigidità, a incrinare le nostre forze e a instillare i primi germi dello stress.”
Vide il giovane piegare il capo all’indietro e scoppiare in una breve risata: non troppo urtante, leggermente ironica, un po’ triste, proprio come lui e, accidenti !, quella risata… le piaceva!
“Stress!” ripeté, rifacendole il verso. “Che parola stonata con la sua tenuta da fattucchiera! Se il mio problema fosse lo stress mi basterebbe quel fesso del mio medico. O, meglio, una bella vacanza. No,” proseguì dopo un sospiro e ridiventando improvvisamente serio, “i miei guai vengono da lontano. Penso proprio che noi due non abbiamo niente da dirci!”
Ma… ma… Dio mio!… la stava scaricando! Non era possibile… sì, d’accordo, non era un gran che come maga, ma si riconosceva un sano buon senso, una discreta dose di intuito psicologico, era colta e intelligente… come era potuta cadere nella trappola di quel giovane belloccio e strafottente. Doveva assolutamente recuperare terreno, doveva pensare in fretta, doveva fargliela pagare…
“Come desidera lei” si sentì dire con una voce gelida e minacciosa che lei stessa non riconobbe. “il suo caso è più complesso di quanto pensassi. Ma visto che lei mi considera una fattucchiera…”
“Mi scusi, io non volevo…”
“Visto che mi considera una fattucchiera” ripeté in tono ostinato, “l’accontenterò.” No… fermati… cosa stai dicendo… sentì distintamente la voce interna della sua parte più ragionevole che la richiamava all’ordine. Ma niente da fare. Impotente e quasi con orrore sentì se stessa proseguire con determinazione: “Sì, le darò quello che ci si aspetta da me: una… premonizione!”
Lui si agitò sulla sedia e fece un gesto, come per fermarla, ma lei proseguì, dando alla propria voce il tono più profetico e minaccioso che aveva trovato dentro di sé:
“Lei incontrerà una donna, una donna determinante nella sua vita. Sarà un incontro casuale, strano, ma con straordinarie conseguenze.
Di più non posso dire per il momento.
Il colloquio è finito.
Lei non mi deve nulla.”

Rosanna si tolse lentamente la maschera. Si sentiva avvilita e frustrata. Quel ragazzo aveva sconvolto quello che ormai era divenuto il suo piccolo, ordinato mondo di innocue truffe psicologiche. Credeva di aver superato da tempo il problema degli increduli, ma questa volta un imprevisto coinvolgimento emotivo le aveva preso la mano e l’aveva portata fuori strada: cosa diavolo le era saltato in mente di fare quella stupida previsione! Credeva forse di impressionarlo? Bel risultato! Lui si era alzato lentamente, sorridendo e scuotendo la testa, esprimendo così, con molta delicatezza, il giudizio che si era fatto di  quella povera cretina che lei era.
Si tolse il piccolo microfono che le deformava la voce e si massaggiò lentamente il viso, le tempie, i lati del collo. Lo specchio le rimandò l’immagine della donna che era in realtà: non brutta, occhi scuri ed espressivi, capelli corvini a ciuffi ribelli, labbra generose dal colorito naturalmente intenso.
“E adesso?” pensò mentre si sfilava la lunga tunica blu notte. Sapeva benissimo perché lo aveva fatto: nello stesso momento in cui, per uno stupido istinto di rivalsa, le era balenata l’idea, la sua bocca si era messa a parlare, anticipando la sua ragione e il suo autocontrollo. Ma in fondo, perché no? Fargli una previsione che lei stessa avrebbe potuto realizzare, con un po’ di fantasia e organizzandosi bene, e riscattare così la sua dignità di maga davanti a quello sciocco presuntuoso. Certo bisognava fare attenzione. E se l’avesse riconosciuta? Impossibile: la sua trasformazione era perfetta, aveva studiato tutto nei minimi particolari. Sì, era un piano azzardato, ma più ci rimuginava sopra più se ne sentiva attratta, i dettagli le sfilavano già davanti agli occhi uno dopo l’altro. Però non doveva destare il minimo sospetto, non poteva permettersi di sbagliare.

 

La pioggia cadeva a gocce dense e brillanti come le lacrime di una bambina, scavando dei piccoli crateri nella polvere e creando, qua e là, tanti piccoli paesaggi lunari.
Andrea aprì l’ombrello, che fortunatamente aveva portato con sé, e proseguì il suo cammino verso l’ufficio, annusando con soddisfazione l’odore di terra bagnata che si stava già diffondendo nell’aria. Gli piaceva andare al lavoro percorrendo quel tratto di strada che costeggiava il fiume e che per qualche minuto dava l’impressione di essere chissà dove: l’acqua rapida e limacciosa che si intravedeva tra gli alberi e i cespugli richiamava alla memoria indistinti ricordi di paesaggi esotici o di avventure solamente sognate. Di sicuro eclissava per un attimo l’immagine caotica della città e dava quel tanto di coraggio per affrontare un altro giorno di gesti ripetitivi.
Dopo una curva la vide. Lì per lì pensò a un mucchio di stracci ai piedi di un albero, poi a un barbone, o a un ubriaco, ma poi, avvicinandosi, cominciò a notare gli abiti di gusto gradevole e la cascata di capelli neri. Poco distante una bicicletta da donna, rovesciata a terra e col manubrio distorto. Accidenti! La ragazza doveva aver accelerato a causa della pioggia e aver perso il controllo, era caduta malamente e di sicuro aveva battuto la testa contro l’albero. Si chinò su di lei: non sapeva mai cosa fare di fronte a un imprevisto: doveva spostarla? Chiamare qualcuno? Telefonare? Forse spostandola poteva causarle qualche danno, magari aveva una frattura… Maledizione, per quella strada non passava mai nessuno a quell’ora!
Con un gesto automatico le scostò i capelli dal viso. Però! Era veramente una gran bellezza! Restò stupito per un attimo a guardare i lineamenti perfetti, lavati dalla pioggia, e quella bocca grande e morbida da cui era difficile distogliere lo sguardo. Improvvisamente si spalancarono due occhi scuri, dallo sguardo profondo e luccicante, lo misero a fuoco e assunsero subito un’espressione canzonatoria.
“Su, non stia lì impalato, mi aiuti ad alzarmi!” disse con un tono di voce più incollerito che implorante, aggrappandosi alle braccia di Andrea.
Preso alla sprovvista lui la tirò su. Voleva spiegarle che l’aveva trovata svenuta e che si stava chiedendo come soccorrerla nel modo migliore, ma lei lo prevenne.
“Oh no! Guarda come mi sono ridotta il vestito! Madonna che botta che ho dato… Devo aver perso conoscenza per qualche minuto. Al diavolo la bici… mi accompagni, sia gentile: ho un appuntamento di lavoro a cui non posso far tardi. Mi darò una sistemata in una toilette di qualche bar.”
Lo prese a braccetto con naturalezza e cominciò a tirarlo in direzione del centro, stringendosi a lui sotto l’ombrello per ripararsi dalla pioggia, che era cresciuta di intensità. E intanto continuava a parlare: un cinguettio senza tregua, tutto sommato abbastanza spassoso. Malediceva la pioggia, la bicicletta che avevano abbandonato in mezzo alla strada (tanto quella chi la ruba, è così scassata!), il tempo, le pozzanghere. Gli faceva anche mille domande, chi era, cosa faceva, ma senza aspettare risposta, producendo lo stesso chiacchiericcio allegro di un albero pieno di passeri all’ora del tramonto. Lui subiva senza reagire e quasi senza ascoltare quel fluire di parole: tutta la sua attenzione andava invece alla gradevole pressione che un seno caldo e certamente abbondante esercitava sul suo braccio attraverso gli abiti. Certo non era nuovo a queste cose, ma quella sensazione, in quel momento, con quella giovane donna così piena di vitalità, provocava in lui un turbamento che lo metteva a disagio.
Improvvisamente si staccò da lui e corse verso un bar.
“Arrivederci” gli gridò “grazie del passaggio! Spero di rivederla in condizioni migliori!” Si girò un’ultima volta, prima di scomparire dentro il locale, e il suo sorriso illuminò per un attimo tutta la via. Andrea, in piedi sotto la pioggia, sentiva nello stomaco una sensazione di vuoto che non provava più dai tempi dell’adolescenza e non si decideva ad andarsene. Poi il suo sguardo incontrò l’orologio appeso sopra l’ingresso di un negozio e si ricordò della maledetta macchina elettronica che, in ufficio, scandiva i ritmi della sua vita lavorativa: calcolò che quella mattina lo avrebbe penalizzato di una buona mezzora, da recuperare chissà quando. Si avviò rapidamente lungo il marciapiedi. Le note di una vecchia canzone venivano da lontano, facendosi strada a stento tra lo scroscio della pioggia. In realtà erano dentro di lui: ecco perché le sentiva così distintamente.

 

“Vedo che è ritornato…Qualche ripensamento?”
Gli occhi della maga brillavano nel buio più che mai, due stelle appaiate in una notte nera. Il tono di voce era lievemente sprezzante: fu proprio questo tono a mandare all’aria tutte le sue benevole intenzioni. Era tornato più per curiosità che altro e anche perché non gli piaceva lasciare rancori o semplici disaccordi irrisolti dietro di sé. Voleva raccontare alla maga che sì, effettivamente l’incontro con una donna c’era stato, con suo grande e divertito stupore. Che ovviamente lui pensava ad una pura combinazione, ma che comunque gliene era grato e voleva ringraziarla. E far pace.
Il tentativo di riconciliazione fallì immediatamente davanti all’atteggiamento indisponente della donna: tutto il suo buonumore lasciò il campo a una sorda ira che lo faceva quasi tremare. Si rese conto che la stupida e presuntuosa veggente personificava una delle cose che lui odiava maggiormente: la stolta credulità degli ignoranti vergognosamente raggirata dalla meschinità dei piccoli truffatori dell’occulto.
“No… volevo solo dirle che il suo piccolo imbroglio ha avuto fortuna. Ho veramente incontrato una donna…”
La reazione lo colse di sorpresa. La maga balzò in piedi sovrastandolo con una inaspettata altezza. Era infuriata. “Lei è un povero sciocco arrogante!” sibilò con forza, scandendo le parole e scagliandogliele contro ad una ad una. “Crede di aver capito tutto, di essere uno dei pochi privilegiati che possiedono la verità! Cosa ne sa dell’inconoscibile, delle forze oscure che a volte influenzano e determinano la nostra esistenza? Conosco quelli come lei, lei non vede perché ha paura di vedere!”
Andrea, suo malgrado, era intimorito: la rabbia della maga, la sua espressione infervorata, avevano destato in lui un fastidioso senso di disagio. Tentò di dire qualcosa, di recuperare il controllo della situazione, ma lei proseguì senza lasciargli spazio, protendendosi in avanti con aria minacciosa.
“Lei mi ispira una profonda pena: per questo tenterò di aiutarla, facendole un’altra previsione. Si guardi dalla donna che ha incontrato: sarà la sua rovina!”

Lo scontro di opposti sentimenti all’interno di una persona è quanto di più tormentoso possa capitare. Il complesso lavoro dei mediatori chimici, che, in condizioni normali, regola sapientemente nel cervello la circolazione delle emozioni, sembra fuori controllo, diviene il vorticoso disordine di messaggi contrastanti. Un malessere profondo scorre in tutto il corpo, ora investendolo e schiaffeggiandolo come il turbinio di un colpo di vento, ora lasciandolo galleggiare nel vuoto come un naufrago spossato, un burattino caduto fuori dal palco e rimasto appeso ad un filo. Rosanna, maga per burla e per necessità, tolta la lunga tunica color notte, diveniva una comune mortale ed era costretta a subire anch’essa il potere subdolo della coscienza. Dio, che situazione! Il ragazzo le piaceva, eccome! Aveva fatto in modo di incontrarlo ancora e ogni volta aveva sentito crescere dentro di sé un’affinità e un’attrazione che le creavano un leggero senso di piacevole vertigine. E lui con quegli occhi semichiusi e malinconici a guardarla in continuazione, a spiare come un voyeur le sue forme sotto gli abiti, le scollature, il minimo movimento delle gambe, sicuramente doveva essersi preso una bella cotta! Era la felicità, che la coglieva inattesa? Era il limpido risveglio dopo una notte agitata da sogni sgradevoli? Era… l’amore? Forse, ma c’era di mezzo la maga.
Sarebbe stato semplice far finta di niente, seppellire per sempre una maga mai esistita, ma un orgoglio insistente, sempre pronto a balzar fuori da qualche angolo scuro, non le dava tregua. In alcuni momenti odiava fortemente l’uomo che si era rivolto a lei come improbabile cliente e l’aveva beffeggiata con la sua indifferenza e la sua incredulità. La sua ironia sprezzante l’aveva colpita come uno schiaffo. E come uno schiaffo le faceva ancora avvampare il viso.
E poi c’era la premonizione. La prima non aveva fatto sufficientemente breccia nell’animo di Andrea, ma se si avverava anche la seconda… certo sarebbe stato difficile credere a due semplici coincidenze, una dietro l’altra. Ma la seconda volta gli aveva minacciato nientemeno che …la rovina! Che parola grossa, melodrammatica: ma come era potuta cadere così in basso! Che stupida! E poi che razza di piano diabolico doveva studiare per rovinare quel povero giovane che poi in fondo …amava. Sì, la parola giusta era quella, inutile nasconderselo.
Basta tormentarsi. Doveva farlo. Avrebbe potuto farlo innamorare e poi lasciarlo, o farlo ingelosire …no, troppo banale. Doveva ridurlo in uno stato da far pietà, scovare raffinate arti per creare una dipendenza erotica e sentimentale, rendergli impossibile lavorare e fargli perdere la fiducia degli altri: non doveva essere difficile, aveva una personalità così fragile… E poi, una volta ottenuta questa facile soddisfazione, una volta vista sul suo volto insolente l’espressione contrariata e stupita di chi deve accettare una sconfitta, perché no, avrebbe sempre potuto recuperare quel bel legame così promettente. Magari con un’altra premonizione!
Sì era quello il modo, quella la via da seguire. E nel momento in cui prendeva la decisione, o meglio la decisione prendeva lei, si sentì subito meglio: quella maledetta chimica del cervello doveva aver messo in circolazione qualche molecola dal benefico potere rilassante.

 

Qualcosa non andava.
Andrea l’aveva accarezzata e baciata fino a farla sentire esausta, calda, con le membra intorpidite e le orecchie che sibilavano. L’aveva esplorata dappertutto, con le mani e con le labbra, come un disperato, senza una parola, come se cercasse qualcosa che gli sfuggiva. Era convinta che stavolta l’avrebbe trascinata ad un rapporto più profondo e lei, eccitata com’era, quasi fuori di senno, vi si sarebbe abbandonata con tutta l’anima.
E invece eccoli lì, a camminare lungo il marciapiedi che costeggiava il fiume, a mezzo metro di distanza l’uno dall’altra, illividiti dal fresco della notte e dalla luce impietosa dei lampioni.
“Mi dice cosa c’è per favore? Mi vuoi parlare una buona volta?!”
Il tono di lei cominciava a essere incrinato da una nota esasperata. Andrea ebbe un gesto di impazienza, guardò lontano nel buio:
“Non ce la faccio a decidermi. Non ci riesco. Ho paura. Non me la sento di creare un legame stabile, duraturo. Mi dispiace.”
“Mi dispiace?” ripeté Rosanna, incredula e sconcertata. Sentiva le lacrime gonfiarle gli occhi e la rabbia e il dolore chiuderle la gola. “E pensi di cavartela così?” proseguì con la voce resa stridula dal pianto a stento trattenuto. “E io? Cosa faccio io adesso? Mi sembrava che tu fossi innamorato di me… no, tu sei innamorato, perché non hai il coraggio di accettarlo, perché non vuoi lasciarti andare, fare i passi successivi, logici, come tutte le persone normali…”
“Ecco, normali, hai detto bene. Evidentemente non sono normale,” disse con un mezzo sorriso carico di autoironia.
Quei sorrisi a mezza strada tra lo strafottente e il disperato lei non li reggeva più. Scappò nella notte, correndo più forte che poteva, ansimando come una pazza e sentendo l’aria gelida penetrare sempre più in fondo, a bruciare la gola, a invadere lo stomaco e la mente.

 

La figura della maga si stagliava immobile contro il vago chiarore che mandava la finestra nascosta dietro le pesanti cortine blu.
La sua posa, solitamente eretta e altera, appariva china e pensosa. Improvvisamente alzò il capo con grande vivacità al suono inatteso del campanello che annunciava l’arrivo di un cliente. L’enigmatica maschera bianca che le nascondeva il volto catturò un raggio di luce proveniente dalla porta, che veniva socchiusa con circospezione.
Tutti si aspettava fuorché lui. L’inattesa apparizione di Andrea la fece avvampare sotto il costume che fortunatamente nascondeva la sua persona e le sue emozioni.
“Mi scusi se sono tornato. Ho pensato che potesse esserle utile sapere che si è sbagliata. Non è per un puerile desiderio di rivalsa, mi creda, o per deriderla. Lei mi sembra una persona capace, sensibile… la smetta con questa ridicola sceneggiata…Non dice nulla? Strano, mi aspettavo una reazione un po’ più aggressiva… Allora, vuol sapere come è andata? Beh, in effetti ho incontrato una donna importante, ma, come lei aveva… profetizzato, questa donna non è stata la mia rovina, anzi, per un po’ è stato divertente, ma poi me ne sono sbarazzato…”
“Povero sciocco!” urlò la maga drizzandosi con la velocità di un rettile. “Lei non si è sbarazzato di un bel niente!” La furia improvvisa lo fece arretrare di colpo, sbattendo contro lo schienale della sedia. La lunga tunica scura ondeggiava come se al suo interno una rabbiosa creatura diabolica si trattenesse a stento dall’aggredirlo.
“Lei non può liberarsi di quella donna!” proseguì sibilando rauca la maga. “Le ripeto che quella donna sarà la sua rovina, quella donna è legata indissolubilmente alla sua esistenza…” esitò un attimo, raccogliendo le forze per un’ultima, definitiva sentenza” quella donna la ucciderà!”
Pronunciò le ultime parole con una voce intensa, profonda, irriconoscibile, poi chinò la testa tra le spalle, svuotata di energie. La tunica era immobile in modo innaturale, come se all’interno non ci fosse più nessuno. Andrea sentì serpeggiare su per la schiena, fin tra i capelli, un sottile brivido. Restò sconcertato per qualche secondo, poi si alzò e se ne andò, senza dire una parola, con la sgradevole sensazione di essere inseguito da un’ombra.
Rosanna invece restò a lungo immobile. Si sentiva come chi si è faticosamente ripreso da una nottata di febbre alta. Avvertiva soprattutto, con sconvolta meraviglia, la sensazione, ancora fortemente presente, che qualcosa dentro di lei, più potente di lei, si era liberato, aveva parlato al posto suo, aveva deciso al posto suo.

 

Andrea procedeva lentamente nella nebbia lungo la strada che costeggiava il fiume. Come tutte le mattine.
L’aria penetrava nei polmoni con un sapore denso e lattiginoso, non del tutto spiacevole. I rumori attutiti e le gocce di umidità che rigavano di luce i tronchi grigi dei platani completavano una delle atmosfere che si avvicinavano di più al suo abituale stato d’animo.
Sentì solo all’ultimo momento il rumore stridente e penoso della macchina che sopraggiungeva, con una marcia bassa tirata al massimo dei giri. Si voltò ed ebbe appena il tempo di vedere la grossa sagoma scura che si avventava contro di lui. Un urto terrificante esplose dentro la sua testa. Poi, il nulla.
“Dai, riprendi conoscenza, rinvieni almeno per un attimo prima di morire!” sussurrava Rosanna con voce strozzata, tenendogli il capo tra le mani e scuotendolo. “Devi vedere che sono io! Voglio che tu mi veda!” disse ancora, fissandolo con espressione stravolta.
Andrea aprì a metà gli occhi, con grande fatica, sembrò vedere, per prima cosa la grande bocca morbida della donna. Le pupille dilatate si misero a fuoco per un attimo, passò un lampo di comprensione. Sembrava volesse dire qualcosa, ma evidentemente le forze non gli bastavano e si limitò sorridere. Poi chiuse di nuovo gli occhi.
La nebbia, intorno, si stava riempiendo di rumori.   

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