Il manoscritto

L’ampio e lungo corridoio deserto si perdeva nell’oscurità inquietante di un fondo indistinto. Dai finestroni altissimi, con i vetri offuscati da una polvere compatta che evidentemente nessuno toccava da mesi, pioveva una debole luce biancastra. Dall’esterno non provenivano suoni, anche i più forti sarebbero rimasti intrappolati nel muro che si intuiva massiccio come quello di una fortezza, e il silenzio faceva risaltare i passi che echeggiavano come i rintocchi di una campana smorzata dalla nebbia.

Guido faticava a tener dietro all’andatura di Padre Martinez, che sembrava non risentire dell’età avanzata e procedeva risoluto ed energico, facendo frusciare la lunga veste nera da gesuita.

«Ecco, è qui», disse il sacerdote arrestandosi davanti a una vecchia porta di noce scuro a due battenti. Scelse una chiave da un ingombrante mazzo e aprì la porta lasciando intravedere l’inizio di una scala. «Si tratta di una cantina, dove abbiamo accumulato negli anni i libri che non trovavano più posto in biblioteca. Stia attento a non sporcarsi: ci sono ragnatele dappertutto».

Girò un antiquato interruttore di porcellana e una fioca lampada illuminò una breve rampa di scale, con i gradini sbrecciati, in fondo alla quale si apriva uno stanzone ingombro di casse e scaffalature vuote. Guido seguì Padre Martinez e si ritrovò di fronte a un’altra porta che aveva nella serratura una grossa chiave di ferro nero. La serratura squittì come un pipistrello impazzito quando il religioso aprì, facendo cigolare i cardini inattivi da tempo ed entrando in una stanza dove centinaia di libri erano ammucchiati alla rinfusa su vecchi tavoli, mentre altri coprivano quasi interamente le vecchie pareti, ordinati alla meno peggio su una serie di scaffali in legno, e altri ancora occhieggiavano da alcuni scatoloni sul pavimento. Grandi volumi dalle legature in pelle e incisioni in oro, libri con copertine decorate, manoscritti, fogli raccolti e legati con nastri colorati, che il tempo aveva corroso rendendoli tutti ugualmente grigiastri e fragili.

«Ecco il nostro tesoro», disse Padre Martinez indicando la stanza con un gesto circolare. «Sono libri che i miei predecessori hanno salvato dalla requisizione del 1870 e che provenivano da diverse case dell’ordine. Siamo costretti a venderli…» aggiunse in tono di scusa, «lei non immagina quanti debiti abbiamo: il restauro del collegio costa un mucchio di soldi e non sempre il Vaticano ci aiuta. Anche lo Stato non ci dà più finanziamenti».

Guido si guardò intorno: gli occhi gli brillavano per la meraviglia e la curiosità.

«E’ bellissimo qui…», disse con un’intensa emozione nella voce. E inspirò quasi voluttuosamente quell’aria morta, impregnata di un intenso odore di vecchie carte, pellami inariditi, inchiostri disseccati.

La lampadina incrostata di sporco disegnava un grande cerchio di luce giallastra sul pavimento e i tavoli, lasciando in penombra le pareti: qualche furtivo e veloce movimento lasciò intuire che insetti e ragni, disturbati dall’intrusione, si rifugiavano nelle crepe o si nascondevano dietro i libri.

«Fortunatamente questa stanza è molto asciutta. La muffa sarebbe stata una vera tragedia… Faccia attenzione però alla polvere, è molto sporco».

Guido ascoltava distrattamente le chiacchiere del Padre, mentre con estrema cautela aveva cominciato a prendere in mano alcuni libri, studiandone i titoli e la fattura: sfiorava con l’occhio appassionato dell’amante rarissime edizioni del Cinquecento, rilegature preziose, pagine deturpate da macchie brune, miniature che conservavano la brillantezza dell’oro e dei colori.

«Ci metterò un po’ a individuare i libri che mi interessano», disse Guido.

«Lei ha tutto il tempo che vuole… Io la lascio qui, se non ha paura di questo ambiente un po’ lugubre, e torno nel tardo pomeriggio. L’importante è che lei dimentichi la provenienza dei libri che acquisterà: non dovrà mai dire che li ha avuti dai gesuiti».

«Certo, non si preoccupi: ricordo bene i termini del nostro accordo».

Guido Berardi era riuscito ad entrare nelle simpatie di Padre Martinez molto tempo prima, aveva conquistato la sua fiducia ed era riuscito con molta pazienza a portare il discorso sull’eventuale acquisto di libri antichi. Berardi era l’anima della piccola biblioteca di provincia che dirigeva e che aveva reso importante con alcune acquisizioni frutto di ricerche accurate o, spesso, di colpi di fortuna. Ed era proprio il lavoro delle acquisizioni che lo attirava, che lo trasformava in indagatore della storia e lo portava fuori dall’ufficio, dove si sentiva una specie di recluso nonostante gli arredi d’epoca e i soffitti affrescati che rendevano splendido il palazzo nobiliare che ospitava la biblioteca. Preferiva di gran lunga girare in lungo e in largo per l’Italia alla scoperta di vecchi conventi, soffitte che celavano tesori, parlare con librai gentili dai capelli bianchi e dagli occhi penetranti che dietro un sorriso celavano il segreto di qualche volume importante, che custodivano essi stessi o che sapevano dove trovare.

Ora l’emozione lo stava sopraffacendo. Lasciato solo da Padre Martinez, si era potuto finalmente permettere qualche esclamazione di meraviglia e si era messo subito ad esaminare minuziosamente il vecchio deposito di libri, ammucchiando in un angolo libero quelli che avrebbe voluto portar via e calcolando mentalmente il valore di ogni pezzo: avrebbe cercato di far rendere al massimo la somma che si poteva permettere di spendere.

«E questo che cos’è?» disse ad alta voce prendendo in mano un libretto minuscolo e insignificante, dalla copertina nera e anonima, che sembrava volutamente nascosto dietro una raccolta di classici della filosofia, visto che non era in fila con gli altri libri ma appoggiato di piatto sul fondo della parete. Lo aprì incuriosito ad una pagina qualsiasi: era ricoperto da una grafia minuta, fitta e ordinata, un corsivo elegante che ad una prima occhiata gli sembrò di poter datare al sei o settecento.

Lo posò con cautela sul tavolo, aprì la copertina e girò un primo foglio bianco fino a mettere allo scoperto il frontespizio.

L’apparizione dello stemma riccamente miniato sembrò illuminare per una attimo la stanza e creò in Guido un attimo di sconcerto subito annullato da un’intensa meraviglia. Le chiavi incrociate e la tiara non lasciavano dubbi: si trattava di un’insegna papale. Le cinque palle rosse in cerchio e quella azzurra con i tre gigli erano parimenti ben riconoscibili: era un papa della famiglia dei Medici. Lesse a bassa voce, lentamente, la didascalia che completava il frontespizio:

Alexander Octaviani de’ Medicis - Leo XI Pont. Max. – Sacrae meditationes atque argumentationes – Mense Aprili 1605.

 

Guido si lasciò sfuggire un sibilo di soddisfazione: aveva trovato un manoscritto del Seicento, apparentemente autentico, ma avrebbe controllato meglio e con gli strumenti adeguati. Rivide con la mente la tomba scolpita da Alessandro Algardi che aveva ammirato molte volte nella Basilica di San Pietro, il nobile volto di vecchio dall’espressione  malinconica… Leone XI, il papa ammalatosi  e morto dopo appena ventisette giorni dalla sua elezione… Come era finito lì quella specie di libretto di appunti personali? Aprì di nuovo il volumetto ad una pagina qualsiasi. La lingua utilizzata, il volgare in luogo del latino, lasciava intendere che si trattava di una cosa non ufficiale. C’erano delle date, come in un diario: forse il  papa aveva sentito la necessità, magari durante la malattia, di fermare giornalmente qualche considerazione molto intima, da tenere per sé ma da fermare comunque con lo scritto.

Lesse alcune righe. Sotto la data del 12 aprile Leone XI scriveva:

“La  notte passata me cagionò gravi travagli lo male mio. Ma poco pavento il patire, è la veglia  l’inimica peggiore imperocché tornano a trovarme tutti li gravi pensieri de li ultimi anni. Quale Dio ci consiglia queste persecuzioni verso coloro che dubitano la nostra fede? Il Nostro Signore Iddio? Come posso crederlo se esso è puro Amore? E se il Santo Padre istesso è tormentato dal dubbio?”

E più avanti, sotto la data del 15 aprile:

“Biasimo fortemente l’uso che tiene Santa Madre Chiesa per conservare il popolo cristiano nella via del Signore. Chi non vuol esser catolico bisogna che provi il castigo, si procede contro de lui non con amore ma con forza. Il nostro viver non è conforme a quello degli Apostoli, che facevano più con la loro vita e predicazione.”

Berardi era allibito: Alessandro di Ottaviano dei Medici, uomo di chiesa dalla condotta irreprensibile, ricordato come un instancabile riformatore, promotore di restauri e abbellimenti in alcune chiese e tra gli arcivescovi che più lasciarono un segno nella diocesi di Firenze, asceso addirittura al soglio papale, era in realtà tormentato dai dubbi circa la condotta della Chiesa! Le sue parole si riferivano evidentemente all’Inquisizione, ma la congregazione di Cardinali incaricati di difendere l’integrità della fede era alle sue stesse dipendenze! E Giordano Bruno era stato bruciato da pochi anni sul rogo di Campo dei Fiori! Che storia era mai quella?

Per un attimo pensò gli fosse capitato per le mani un falso colossale. Ma il suo istinto gli gridava che il manoscritto che aveva davanti era una delle più importanti scoperte nel campo della storia delle religioni. Forse anche qualcosa di più, qualcosa in grado di sovvertire un ordine sociale consolidatosi nei secoli…

Incapace di staccare gli occhi dalla elegante grafia del papa, girò ancora alcune pagine e, sotto la data del 24 aprile, a pochi giorni dalla morte, lesse ancora:

“Predichiamo non poter mai la Sacra Scrittura mentire o errare. Potrebbe nondimeno errare talvolta la sua interpretazione: sarebbe gravissimo errore fermarsi nel puro significato delle parole, poiché così vi apparirebbono non solo diverse contraddizioni ma gravi eresie. Nella Scrittura si trovano molte proposizioni poste in cotal guisa per accomodarsi all’incapacità del vulgo. La verità nuda e scoperta, che la sensata esperienza ci pone innanzi agli occhi o che le argomentazioni ci concludono, non deve in alcun conto essere revocata in dubbio per luoghi della Sacra Scrittura ch’abbiano diverso sembiante.”

Dio mio, questo papa ragiona già come Galileo, pensò Berardi. Quello che aveva in mano non era un semplice manoscritto, era un ordigno innescato, una rivelazione clamorosa capace di scompaginare la chiesa cattolica.

Si guardò intorno, istintivamente allarmato, come se qualcuno avesse potuto sorprenderlo mentre faceva qualcosa di losco. Mise d’impulso il manoscritto nell’ampia tasca interna del giubbotto: qualcosa gli suggeriva che era meglio non farne parola con nessuno. Ordinò rapidamente in uno scatolone vuoto i volumi che aveva accantonato per acquistarli e si diresse verso la scaletta da cui erano arrivati per cercare Padre Martinez, concludere l’affare e allontanarsi il più in fretta possibile da quel posto.

 

 

 

Per poco non inciampò nel grosso fagotto scuro che giaceva ai piedi della scala. Imprecò, sorpreso, e cercò istintivamente l’antiquato interruttore che aveva notato  quando erano scesi. La luce scialba della vecchia lampadina illuminò meglio l’ostacolo e Berardi provò un attimo di vertigine. Padre Martinez era riverso sugli ultimi gradini, con il capo appoggiato in modo innaturale sul pavimento della cantina, al centro di una larga macchia, densa e scura. Un orrendo squarcio gli attraversava la gola e questo particolare si imponeva immediatamente allo sguardo insieme agli occhi grandi e biancastri, rovesciati all’indietro. Berardi sentì una irresistibile nausea salirgli dallo stomaco e deglutì più volte, cercando di dominarsi. Fissava quel viso stravolto, i capelli bianchi imbrattati di sangue, incapace di muoversi. Poi il terrore gli serpeggiò nelle membra e si riscosse: si sentiva come un animale in trappola. Che diavolo stava succedendo? In che orribile storia era incappato? Si guardò intorno inquieto. Doveva andarsene di lì, e subito. Recuperò lo scatolone con i libri che aveva preparato sul tavolo, scavalcò il cadavere e si diresse su per la scala. Il cuore gli batteva all’impazzata. Socchiuse la porta che dava sul corridoio: nessuno in vista…

Si diresse all’uscita aspettandosi di essere scoperto da un momento all’altro, ma nessuna voce gridò, nessuno apparve, il convento sembrava abbandonato.

La sua macchina era parcheggiata nel piazzale antistante, anch’esso deserto.

Aprì il bagagliaio e vi depositò lo scatolone, sentendosi un ladro. Si guardò intorno prima di salire in macchina, percorse con lo sguardo le file di finestre dell’austera facciata e gli parve di scorgere un movimento, o una figura, in una di esse. Maledizione… e se qualcuno lo aveva visto? Lo avrebbero ricollegato al cadavere… Ma nessuno sapeva che lui aveva appuntamento con Padre Martinez, il gesuita aveva insistito molto sulla segretezza del loro incontro…

Aveva in parte riacquistato la sua freddezza. Salì in macchina e si allontanò con cautela: non doveva attirare l’attenzione di eventuali passanti. La guida e lo scorrere del paesaggio ai lati della strada ebbero il potere di assopire lentamente l’adrenalina impazzita che gli correva nelle vene. Cominciò a ragionare con il sistema dei pro e dei contro, com’era sua abitudine. Di positivo c’era che era in possesso di un discreto numero di pregevoli volumi senza aver speso un euro. Aveva fatto una scoperta che qualsiasi antiquario o ricercatore gli avrebbe invidiato e soprattutto, per quanto si sforzasse di ripercorrere i suoi movimenti, non aveva lasciato tracce. Il lato negativo era sconvolgente: era stato coinvolto in un atroce omicidio. Per quale motivo avessero soppresso con tanta violenza Padre Martinez non lo avrebbe mai saputo… a meno che… leggendo i giornali, non fosse emersa qualche spiegazione. Oppure…

Oppure c’entrava qualcosa il manoscritto che aveva trovato… ma no! Sorrise tra sé e sé: non era mica un thriller a buon mercato ambientato tra i misteri del Vaticano!

 

 

 

La ragazza dal tailleur rosso sedeva con noncuranza davanti alla pila di libri che aveva preso a prestito, sembrava in attesa, probabilmente si chiedeva da dove incominciare. Guido Berardi, che doveva attraversare una delle sale di consultazione della Biblioteca per raggiungere il suo studio, non aveva potuto fare a meno di notarla. Non indossava i soliti abiti casual delle studentesse che vedeva di solito ma portava con eleganza la giacca attillata dal colore squillante. Aveva un gomito appoggiato al tavolo e mordicchiava l’estremità di una matita, mentre due occhi grandi e luminosi guardavano con aria interrogativa i grossi volumi davanti a lei. Berardi indugiò un attimo, finse di studiare i titoli dei libri in una credenza: era stato colpito da un particolare che voleva esaminare meglio.

La ragazza stava tutta appoggiata di lato sulla poltroncina e invece di tenere le gambe sotto il tavolo le lasciava sporgere all’esterno. La gonna rossa era risalita lungo le gambe accavallate scoprendo una coscia snella e levigata, aggressiva, quasi volesse protestare perché era troppo lunga per stare sotto lo spazio angusto della scrivania.

Berardi si ricordò improvvisamente che, oltre alla storia e ai libri,  gli piacevano anche le donne. E questa non era per niente male. Cercò di studiarla più approfonditamente senza dare nell’occhio. Aveva una bellissima cascata di capelli neri e occhi altrettanto scuri ma brillanti, che davano luce a una  pelle dal colore bruno-olivastro. Sembrava quasi un’orientale, pensò Berardi, se non fosse stato per i tratti squisitamente occidentali. Beh… se mi incuriosisce tanto, perché non ci parlo? In fondo sono il Direttore. Tra l’altro l’atteggiamento della donna sembrava chiedere aiuto. E dài, muoviti, prima che qualche studente te la freghi…

«Buongiorno. Sono il Direttore della Biblioteca. Mi scusi, ma l’ho vista un po’ indecisa… Posso aiutarla?»

«Grazie… lei è molto gentile… non so se posso approfittare…». Gli aveva piantato in faccia quegli occhi splendenti, di un profondo nero in cui ci si smarriva e Berardi si era sentito perduto. Era molto sensibile al fascino ipnotico sprigionato dallo sguardo di una bella donna, ma questa esagerava: sembrava che i suoi occhi fossero fatti di una materia solida, una specie di porcellana ricoperta di una vernice vetrosa, un abisso scuro in cui si poteva precipitare se il riflesso delle luci ambientali non avessero creato tanti punti luminosi cui aggrapparsi.

«Non si faccia scrupoli», disse liberandosi a fatica dall’imbarazzo, «sono qui per questo. Di cosa si occupa?»

«Devo fare una tesina per l’esame di storia moderna. Su Giordano Bruno. Ho preso tutte le sue opere ma… sono illeggibili! Come fa uno a scrivere in modo così contorto!»

«Beh… è lo stile del tempo. Devo dire però che Bruno ha un linguaggio molto ricco, molto aggettivato, si sente che la sua prosa nasce dalla passione con cui espone le sue idee.»

«Ma io mi perdo già a metà di un periodo. Non ne verrò mai a capo…» disse con un’aria sconsolata che fece sorridere Berardi.

«Non si scoraggi. Le darò qualche indicazione per aggirare gli ostacoli. Innanzitutto si deve formare un quadro generale. Se le piace navigare in Internet si metta a uno dei nostri computer e le indicherò un sito interessante, una specie di sito ufficiale dei seguaci del filosofo dove troverà più o meno tutte le notizie che le servono. Mi sembra un modo rapido e indolore di affrontare l’argomento in luogo della vecchia ricerca. E poi non c’è bisogno che si misuri con tutta l’opera», disse indicando ironicamente la pila di libri che la ragazza aveva davanti,« è un’impresa pazzesca! Le procurerò un’antologia dei brani più rilevanti.»

La ragazza si profuse in ringraziamenti, appariva veramente commossa, come se qualcuno l’avesse aiutata a scampare da un grave pericolo. A un invito di Berardi si alzò e lo seguì fino alla sala dove erano state attrezzate alcune postazioni per l’uso del computer.

Lui si scostò per lasciarla passare ed ebbe modo di ammirare l’attraente figura dalle gambe slanciate, messe in evidenza dalla gonna audace. Era alta quasi quanto lui e si muoveva in modo ritmico e sinuoso: Berardi si doveva sforzare di non guardarle il sedere, per mantenere un minimo di autorevolezza.

Mentre le mostrava il sito internet promesso pensò che non sarebbe stata una cattiva idea approfondire la conoscenza. Intellettualmente… beh, intellettualmente, ad un primo esame, appariva un po’ sciocchina, però aveva qualcosa… qualcosa di indefinibile. E comunque, che gran bel pezzo di femmina!

 

 

 

Berardi rientrò di buon umore quella sera. Aveva consumato una frugale cena in uno dei tanti bar del centro, ormai tutti attrezzati per i pasti di chi come lui non aveva né tempo né voglia di mangiare in casa. Aveva cenato distrattamente, ignorando sia le smorfie della cameriera, sia il televisore a tutto volume, riandando con la mente  alle varie fasi dell’incontro con l’avvenente studentessa. Mentre l’aiutava con la ricerca, la ragazza aveva chiacchierato molto: aveva precisato che il colorito esotico le veniva dalla madre araba, impiegata dell’ambasciata libanese, che aveva sposato un italiano, funzionario del Ministero degli Esteri. Gli aveva detto che era stata sua madre a scegliere il suo nome, Aisha, affascinante suono di terre lontane.  Gli aveva spiegato con orgoglio che Aisha era la moglie preferita di Maometto, che il significato del nome era “prosperità” e che c’era anche una canzone di Khaled con questo titolo. Chi è Khaled, aveva chiesto lui, e lei aveva riso di gusto della sua impreparazione, scoprendo dei denti bianchissimi, regolari come un filo di perle.

Ma rientrando in casa il giovane ricercatore aveva subito dimenticato tutto: quella sera niente film in televisione, il manoscritto di Leone XI lo attraeva più di qualsiasi altra cosa. L’aveva esaminato in lungo e in largo, senza trovare alcun particolare in grado di destare sospetti e si era convinto della sua autenticità. Aveva poi iniziato la lettura, prendendo appunti, rimuginando a lungo su alcuni passi e convincendosi sempre più, man mano che  procedeva con l’esegesi del testo, di essere di fronte a qualcosa di importante, un passo fondamentale nella storia della cultura… E l’aveva trovato lui! Sarebbe stato lui a farlo conoscere al mondo. Ma… il mondo era maturo per quella rivelazione? Quando si poneva questa domanda sprofondava in mille dubbi. Perché le parole del papa erano inequivocabili: l’autorità più alta della Chiesa aveva perduto la fede, rinnegava l’opera del Santo Uffizio, metteva in discussione i dogmi, criticava le Sacre Scritture, aveva raggiunto una visione del mondo assai poco cristiana e men che meno cattolica, un credo panteista in una sostanza immanente a tutto l’universo che l’uomo non avrebbe mai saputo né potuto spiegare.

Sarebbe stato sufficiente a scardinare l’ordine e le gerarchie ecclesiastiche? O il Vaticano, con la sua insuperabile maestria in queste cose, avrebbe comunque saputo incassare il colpo uscendone magari rafforzato?

Berardi scosse il capo. Impossibile prevedere le reazioni dopo l’annuncio al mondo accademico e la pubblicazione del manoscritto. E comunque  a lui non interessava: il suo compito di ricercatore era l’esposizione dei fatti, la minuziosa ricostruzione del passato per offrirla all’ammirazione, allo stupore dei contemporanei.

Si sedette alla scrivania dello studio, aprì il cassetto in cui custodiva il suo tesoro e si chinò ancora una volta, pazientemente, sulle parole di Leone XI, decifrandole una ad una, seguendo con ansia, sempre più attonito, la trama avvincente di quel diario di un’anima in pena.

Al dì 20 de Aprile.

Sento la vita lassarme giorno dopo giorno. Sarà grande letizia per quelli cardinali che vonno la morte mea: troppo tardi me addunai che dessi fanno attossicare ogne vivanda che me viene servita. Frate Andreuccio, que habet omne mea fiducia, porrà questo libello in luogo securo e quando sarà tempo lo mostrerà al mondo. Li assessini mei hanno morto il corpo meo ma non la mente e li pensieri sui.

Berardi fece un salto sulla sedia: dunque il papa era stato avvelenato! Verosimilmente da un gruppo di cardinali che erano a conoscenza delle sue idee sovversive e temevano che durante il pontificato fossero manifestate, magari con un’enciclica, danneggiando irreparabilmente l’immagine della Chiesa. Ma il vero danno era proprio questa condotta criminale di alcuni religiosi: il manoscritto, con queste dichiarazioni nelle ultime pagine, mostrava di essere non solo un’arma filosofica, che si poteva anche contestare, ma un tremendo atto d’accusa nei confronti di coloro che si ergevano a custodi della morale e calpestavano senza ritegno uno dei comandamenti più importanti.

E chi era mai Frate Andreuccio?  Nonostante la quantità impressionante di documenti storici che aveva visto nel corso dei suoi studi, non si era mai imbattuto in questo personaggio. Sicuramente un uomo di fiducia del papa, qualcuno che condivideva i suoi dubbi, che per qualche motivo aveva fallito il compito di far conoscere il manoscritto di Leone XI, ma che era comunque riuscito a metterlo in salvo, anzi, a tramandarlo addirittura fino al Duemila.

 

 

 

“Lutto e orrore nella comunità ecclesiastica. Padre Martinez, stimato rettore del Collegio dei Gesuiti, barbaramente trucidato. La macabra scoperta fatta da un confratello nei sotterranei del collegio”

L’anticipazione sulla prima pagina aveva avuto su Guido Berardi l’effetto di un colpo improvviso al torace. Aveva sfogliato febbrilmente le pagine interne alla ricerca dell’intero articolo, guardando con ansia la porta del suo ufficio come se qualcuno potesse sorprenderlo in fallo.

“Il corpo giaceva sul pavimento in un lago di sangue. Qualcuno lo aveva spinto malamente giù per una scala che portava ad un sotterraneo da molto tempo in disuso, gli aveva fatto sbattere il capo sul pavimento e gli aveva poi aperto la gola, da parte a parte, con un’arma tagliente. Padre Giustino, mite appartenente alla ormai modesta comunità che abita tuttora il Collegio dei Gesuiti, è ancora sotto shock dopo aver trovato il cadavere di Padre Martinez, che aveva cercato in ogni angolo dell’immenso fabbricato, insospettito dalla sua assenza.”

Berardi chiuse gli occhi e deglutì. L’immagine raccapricciante del cadavere gli appariva nitida come il riflesso di una realtà attuale ed immediata. Ma chiudere gli occhi non serviva a scacciarla. Si fece forza e continuò a leggere: doveva essere certo che non vi fosse il benché minimo collegamento alla sua persona.

“L’efferato delitto, le cui modalità sono in questo momento al vaglio delle forze di polizia, presenta molti lati oscuri: che cosa cercava Padre Martinez nel sotterraneo? Chi poteva avere interesse ad uccidere un uomo di chiesa? Domande probabilmente destinate a restare senza risposta, vista l’assoluta mancanza di testimoni e l’apparente assenza di qualsiasi movente.”

Continuò la lettura fino in fondo: l’articolo, non avendo altri elementi da aggiungere, ripercorreva la storia del Collegio, fornendo anche qualche notizia di tipo scolastico sulla Compagnia di Gesù, l’ordine fondato dal nobile basco Sant’Ignazio di Loyola nel 1540. Una foto piccola ritraeva la maestosa facciata del collegio e da una più grande, in bianco e nero, un Padre Martinez ancora giovane guardava sorridente ma pensoso l’obiettivo.

Berardi ripiegò il giornale e appoggiò il capo sospirando all’alto schienale della sedia ottocentesca. Forse gli era andata bene… ma i dubbi, le incertezze, i sospetti gli creavano un fastidioso sottofondo di inquietudine che non si sarebbe facilmente acquietato. Avrebbe dovuto imparare a conviverci per un bel po’.

I due colpi alla porta erano gentili ma decisi.

«Avanti!» disse cercando di ritrovare velocemente un atteggiamento disinvolto.

«La disturbo?» Il bel viso di Aisha si affacciò sorridendo alla porta, vivacizzando immediatamente l’atmosfera. «Lei mi ha abbandonato, Direttore.»

«Ah, è lei… la prego, entri. Non l’ho affatto abbandonata. Non ha idea di quanti grattacapi mi procuri la gestione di questa baracca… Si accomodi.»

La ragazza era entrata richiudendosi la porta alle spalle. Si sedette disinvolta sulla poltrona davanti a lui, perfettamente a suo agio, accavallò le lunghe gambe fasciate da eleganti jeans, decorati con strass e perline, i quali, invece di nasconderle, mettevano ancor più in evidenza le cosce lunghe  e ben tornite che lui ricordava bene.

Ma qualcosa metteva in mostra anche stavolta: sotto una maglia sbottonata si apriva il profondo scollo di una camicetta bianca che lasciava intravedere la grossa sfera ambrata di un seno.

Berardi perse anche stavolta parte della sua sicurezza. Accidenti. quella donna aveva il potere di metterlo a disagio. O forse era lui a essere troppo indifeso di fronte ad un evidente tentativo di seduzione.

Aisha si sporse verso di lui come se volesse fargli una confidenza .

«Mi aveva promesso un’antologia delle opere di Giordano Bruno, ricorda?»

La richiesta era banale, ma fatta col tono di chi sollecita qualcosa di peccaminoso. Berardi si schiarì la voce.

«Certo… certo: mi ricordo. Dunque… mi faccia pensare…»

La ragazza appoggiò un gomito sulla scrivania e si sporse ancora di più verso di lui, restando in attesa. Il movimento ebbe l’effetto di spostare in avanti le esuberanti rotondità del seno che tesero lo scollo della camicetta e disegnarono un morbido solco che si perdeva nell’ombra.

Berardi si alzò di scatto, come per sfuggire a una trappola. Andò alla parete di fondo dello studio, interamente ricoperta da una libreria, e cominciò una laboriosa ricerca. Accidenti, devo riprendere il controllo… Su, respira. Questa donna mi sconvolge… Ancora una volta dovette schiarirsi la voce prima di parlare.

«Allora… vediamo… avevo una bella raccolta dei passi più importanti… il pensiero di Giordano Bruno appariva accessibile ed evidente… Eccola!» disse estraendo un volume da una fila ordinata.

La ragazza si era alzata e attendeva composta come una scolaretta. Berardi le consegnò il volume.

«Può tenerlo finché le serve. Può leggerlo qui o a casa, come preferisce.»

«Grazie, grazie veramente. Lei è molto gentile. Penso che mi fermerò qui a studiare, l’atmosfera della biblioteca mi aiuta a concentrarmi.»

Finalmente se n’era andata. Berardi tirò un sospiro di sollievo. Ma insomma, che ti succede? Di donne ne hai avute tante, e qualcuna anche piuttosto notevole… cos’ha questa di speciale? Beh, qualcosa aveva… qualcosa che…sì, lo eccitava… ecco, finalmente aveva avuto il coraggio di non mentire a se stesso.

La mattina trascorse nervosamente. Dimenticò subito la faccenda di Padre Martinez e non fece altro che pensare ad Aisha. Le gambe, il seno, gli occhi, soprattutto gli occhi, quegli occhi densi, nerissimi, ipnotici…

 

 

 

«Allora? Come andiamo?»

Non aveva resistito. Era andato nella sala di lettura per fare quella stupida domanda.

«Bene, grazie, molto bene. Questo testo è veramente chiaro, credo di essere sulla buona strada per capire tutto di Giordano Bruno. Anche se ho ancora qualche dubbio…»

La fatica della lettura le aveva arrossato lievemente il viso e gli occhi. Dio, era ancora più bella… Berardi sentì se stesso dire:

«Se non ha altri impegni possiamo parlarne a pranzo…»

«Oh… sarebbe magnifico! Ma davvero non la disturbo?»

«Nooo… ma quale disturbo!»

 

 

 

Due o tre sguardi, incuriositi e ammirati, si girarono verso di loro quando entrarono nel ristorantino dal soffitto basso e con le pareti ricoperte di perlinato scuro, vivacizzate dai colori aggressivi di numerosi quadri astratti. Guido Berardi provò un certo imbarazzo… impossibile passare inosservati al fianco di quella donna incantevole.

Beh, a pensarci bene, anche lui non era male… rivide in un rapido flash la propria immagine nello specchio dell’ingresso, in alcune istantanee scattate durante qualche cerimonia o qualche viaggio: la postura indolente, che non riusciva a nascondere un fisico forte e scattante, e lo sguardo ironico, dietro gli occhiali dalla sottile montatura metallica, abbozzavano il ritratto tipico dell’intellettuale che si trovava a proprio agio nelle biblioteche ma che rimpiangeva gli ampi spazi e l’avventura. Insomma erano una bella coppia, pensò in un attimo di autocompiacimento.

Pilotò Aisha verso un tavolo appartato, chiedendo conferma  con uno sguardo al cameriere, che fu lesto ad avvicinarsi, a farli accomodare  e a porgere loro un paio di menù, esibendo un gran sorriso all’indirizzo della ragazza ed indugiando un po’ più del dovuto sulla sua attraente figura.

«Lei cosa prende?»

«Qualcosa di leggero… oggi pomeriggio voglio continuare a studiare…»

«Qui fanno un carpaccio di pesce spada veramente squisito. E anche degli involtini di pesce e pancetta affumicata che…»

«Ehi! Non immaginavo che lei fosse anche un buongustaio. Va bene: accetto entrambi i consigli.» disse chiudendo il menù.

«E per lei?» chiese il cameriere rivolto a Berardi.

«Per me lo stesso. E da bere una bottiglia di Greco di tufo ben ghiacciata.»

Aisha rifiutò poi l’acqua, dicendo che il vino andava benissimo e meravigliando una volta di più il suo accompagnatore. In attesa di essere serviti Berardi portò subito il discorso su Giordano Bruno.

«Allora, che impressione le ha fatto il nostro filosofo eretico?»

«Mi ha semplicemente affascinato. Mi piace il suo carattere ribelle, la sua vita in continuo esilio, quell’essere scomunicato e scacciato da tutti perché le sue idee sono troppo nuove per tutti. Ma, secondo lei…»

«Senti, smettiamola col lei. Se una mangia e beve insieme a me ormai è un’amica…»

«Va bene, ti do del tu. Però mi devo far forza: sei una persona importante…»

«Ma dài, non prendermi in giro!»

Nel frattempo avevano portato i piatti che avevano chiesto. Aisha mangiava con eleganza ma anche con entusiasmo, bevendo parecchio e alzando il bicchiere con disinvoltura. Berardi la guardava di soppiatto, gustandosi quella bella bocca che si muoveva voluttuosa come fosse uno spettacolo offerto dal locale e compreso nel menù.

«Scusa, prima ti ho interrotto. Cosa mi stavi chiedendo?»

«Sì, volevo sapere, secondo te, qual è l’idea più innovativa di Bruno?»

«Beh, sicuramente la concezione di un universo infinito, che sarà poi quella che lo porterà al patibolo. Questa idea comportava infatti  che il motore dell’universo non è estrinseco ad esso ma dentro l’universo medesimo ed essendo l’universo un’emanazione di Dio, esso è di conseguenza l’unico mediatore tra l’uomo e la divinità. La vera eucarestia, a questo punto, è la comunione con la Divinità attraverso la contemplazione dell’Universo: Cristo e la redenzione non hanno più senso…»

«Accidenti! Capisco perché la Chiesa volle sbarazzarsi di lui.»

«Beh… non tutta la Chiesa…»

«Come sarebbe?»

Berardi esitò.

«Anche all’interno delle istituzioni qualcuno cominciava a pensare in questo modo…»

«Ma… non ho mai sentito una cosa simile…»

«Ci credo… è… è una novità. Una grossa novità.»

In seguito Berardi si chiese spesso perché si era lasciato andare a quella confidenza. Voleva far colpo sulla ragazza? Cercava una scusa per portarsela a casa? Voleva coinvolgerla, legarla a sé in qualche modo? La risposta era probabilmente sì a tutte le domande.

I  profondi occhi neri di Aisha avevano assunto un’aria indagatrice.

Berardi abbassò la voce, si sporse leggermente verso di lei.

«Puoi venire a casa mia questa sera? Voglio mostrarti una cosa.»

Aisha si fece esitante, il suo sguardo appariva velato dal dubbio. Poi sorrise.

«Ma certo! Sono incuriosita come un gatto! E poi… penso proprio di potermi fidare di uno come te!»

 

 

 

La donna inarcò la schiena e si lasciò sfuggire un gemito. Guido stava esplorando con delicatezza il suo tepore tra le cosce tese per il piacere, mentre con le labbra e con tutto il viso strisciava lungo la pelle bruciante del seno, del torace, dell’incavo profumato tra la spalla e il collo. Lei lo afferrò alla vita con due mani forti e impazienti, costringendolo a mettersi sopra di lei, aprì le gambe lentamente, come un’onda sinuosa che apre un solco irresistibile nel mare, ed emise un piccolo grido quando lui la penetrò. Si immobilizzarono per un attimo, sorpresi e spaventati dall’incredibile dolcezza che emanava da quel contatto profondo, poi lei cominciò a muoversi con un ritmo forte e disperato. Guido faticava a tenerle dietro ma poi l’eccitazione divenne incontrollabile e rispose ai suoi strattoni con altrettanta forza, chiudendo gli occhi per non vedere il grande seno che si sollevava e fremeva protendendosi verso di lui, una visione dallo splendore intollerabile. Poi lei lo strinse con tutte le sue forze, si bloccò e lui sentì distintamente le contrazioni ritmiche della sua vagina. Sentì sul collo il dolore di un morso col quale la donna tentava convulsamente di soffocare un grido e in quel momento qualcosa esplose nel suo cervello e in tutto il corpo. Restarono avvinghiati a lungo, aspettando che il cuore e il respiro si placassero, che le raffiche di piacere che li avevano travolti si spegnessero e si allontanassero lasciandoli esausti.

Guido si lasciò cadere sul dorso, di fianco a lei, guardando il soffitto. Era inevitabile che accadesse. Forse l’aveva capito già la prima volta che era sprofondato nei suoi occhi. Sicuramente lo sapeva quando l’aveva invitata a casa con la scusa di mostrarle il manoscritto. E sicuramente anche lei lo sapeva.

All’inizio era stato tutto molto tranquillo, a parte la leggera emozione di condividere un segreto, la scoperta di una passione comune per il passato. Aisha sembrava affascinata ancor più di lui dal libretto di Leone XI, l’aveva accarezzato, aveva ammirato con stupore lo stemma miniato, aveva annusato le pagine… proprio come aveva fatto lui.

E proprio come lui era rimasta colpita da alcune frasi che Guido le aveva indicato e che avevano letto sedendo vicinissimi, coi corpi che si sfioravano.

Poi la cenetta improvvisata, lui che pescava dal frigo un pacchetto di tagliatelle fresche surgelate, lei che si metteva ai fornelli promettendo un sugo eccezionale, la bottiglia di rosso di un amico contadino che si svuotava rapidamente…

«E’ stato bellissimo…» disse Aisha interrompendo i suoi pensieri, lasciando la frase in sospeso, come chiedendosi quale fosse la causa, il segreto, di quell’amplesso così appagante.

Guido si alzò su un gomito, guardò con ammirazione il viso sublimato dal piacere e le posò un bacio delicatissimo sulle labbra ancora infuocate.

«Sei tu che sei bellissima. E questo spiega tutto.»

Si alzò, andò alla finestra e la aprì per accostare le persiane, consapevole che lei stava ammirando il suo dorso e i suoi glutei. Respirò un attimo l’aria fresca della sera e gli venne spontanea una manifestazione stupida, adolescenziale.

«Aisha, sei bellissimaaa!» gridò con quanto fiato aveva in gola. Ma l’eco, invidiosa, non rispose e si addormentò come ogni notte sui tetti della città.

 

 

 

Guido Berardi, aprì la cassaforte della biblioteca e vi depositò il manoscritto di Leone XI, mimetizzato dentro un’anonima busta gialla. Per precauzione lo mise sotto una pila di documenti contabili e poi richiuse, girandosi e accertandosi che la porta dell’ufficio fosse ancora ben chiusa.

Con il nuovo giorno e l’inizio consueto dell’attività lavorativa, aveva ritrovato la freddezza e la padronanza di se stesso, lasciandosi alle spalle la notte ardente con Aisha. Forse era un eccesso di prudenza, ma non si sentiva sicuro con il manoscritto a casa. Soprattutto adesso che ne aveva condiviso l’esistenza con un’altra persona. Anche se della ragazza si poteva fidare. Gli aveva dimostrato di essere tutt’altro che sempliciotta, come l’aveva giudicata in un primo momento. Anzi, aveva trovato una persona sensibile, innamorata come lui dei libri e della storia e forse… mah, chissà, era la donna della sua vita? Troppo presto per dirlo. Anche se tutto il suo corpo gridava importuno la sua attrazione per quella donna.

A un certo punto gli venne improvviso e irresistibile l’impulso di rivederla. Andò nella sala di lettura, doveva essere là per forza. Nulla. Guardò nella stanza dei computer, nella sala consultazione, nella vecchia stanzetta degli schedari… Una delle inservienti lo guardò interrogativamente. Accidenti, che fine aveva fatto? Ritornò nel suo ufficio e fece il numero del cellulare che lei gli aveva dato. Niente da fare: utente non raggiungibile. E dài, datti un calmata, no? Lasciale un minimo di privacy… dopo una giornata, e una notte, come quella di ieri… avrà bisogno di un po’ di tempo per pensare, per raccogliere le idee…

Ma non era tranquillo. Fece ancora qualche tentativo al cellulare, durante l’intera giornata, ma ogni volta il suo malumore aumentava. Si lasciò assorbire dal lavoro, pranzò in fretta e di malavoglia… possibile che anche lei non sentisse il bisogno di scambiare almeno qualche parola con lui?

Scrollò le spalle e si liberò dei cattivi pensieri, come era nel suo carattere. Domani vedremo… Salutò i dipendenti della biblioteca e se ne andò a casa.

 

 

 

La porta d’ingresso era socchiusa. I segni dello scasso evidenti. Maledizione, pensò Berardi, i ladri erano già stati in altri appartamenti del palazzo, stavolta era toccato a lui. Che scocciatura! Carabinieri, denuncia… e pensare che lui non aveva niente di valore. Spalancò la porta. Le luci erano accese in tutte le stanze. Qualcosa non quadrava… Si aspettava i soliti sportelli spalancati, i cassetti svuotati sul pavimento, ma il disordine era totale. Non c’era una cosa al proprio posto, sembrava fosse stata fatta una perquisizione minuziosa e professionale. Un sospetto cominciava ad abbozzarsi nella sua mente quando udì un gemito provenire dalla camera da letto.

La ragazza era di là. Raggomitolata sul pavimento, con le caviglie e i polsi strettamente legati con un paio di cinture che avevano evidentemente preso dal suo armadio. Che diavolo stava succedendo? Si precipitò su di lei e cominciò a slegarla.

Era semisvenuta e aveva i vestiti strappati malamente. Le allontanò i capelli disordinatamente sparsi sul viso e scoprì una ferita all’angolo della bocca, da cui scendeva un rivolo di sangue raggrumato. Dio mio, ma che ci faceva lì in casa? La prese in braccio e la mise sul letto con ogni cautela, adagiandole il capo sul cuscino.

Aveva il viso tumefatto, un occhio era gonfio e arrossato, un sopracciglio spaccato.

«Aisha, Aisha!» chiamò.

La ragazza aprì finalmente gli occhi. Impiegò un po’ a metterlo a fuoco, sbatté le palpebre e poi gli occhi le si riempirono di lacrime.

«Dio mio, come ti hanno ridotto… Dobbiamo andare al pronto soccorso.»

«No! No, ti prego: niente pronto soccorso.»

«Ma…»

«Non ho niente di grave… davvero…»

«Ma mi vuoi spiegare cos’è successo?»

«Erano in due… mi hanno legato e hanno cominciato a rovistare dappertutto… poi hanno cominciato a picchiarmi e a chiedermi…» Aisha esitò e chiuse gli occhi.

«A chiederti cosa?»

«Dov’era il manoscritto…»

«Il manoscritto?» La spiegazione, anche se già intuita, fu una trafittura dolorosa.

«Ti prego… dammi un bicchier d’acqua…» mormorò la ragazza.

Guido corse in cucina. Poveretta! La faceva parlare invece di soccorrerla. Tornò con l’acqua e la sorresse aiutandola a bere. Poi andò nel bagno, prese un asciugamano pulito, riempì un catino d’acqua e si accinse a ripulirle le ferite.

«Hai un aspetto orribile… ma sei bella lo stesso», disse tentando di sdrammatizzare per farle superare lo shock. Lei sorrise debolmente ma il viso si contrasse in una smorfia di dolore. Guido cominciò a tamponarle con delicatezza i grumi di sangue, sciacquando più volte l’asciugamano e cambiando spesso l’acqua. Dopo molta amorevole pazienza, il viso cominciò ad acquistare un aspetto normale. Lui andò di nuovo in bagno e tornò con un flacone verde e del cotone.

«Adesso ti disinfetto, non dovrebbe bruciare molto. Una volta pulito il sangue i danni non sembrano poi così gravi. Certo hai due brutte spaccature al labbro e al sopracciglio, ma dovrebbero rimarginarsi da sole. Hai anche un bel livido sopra lo zigomo, ma in qualche giorno se ne andrà.»

Chiacchierava per distrarla, ma anche perché rimandava la domanda che, chissà come, non aveva il coraggio di fare. La fece infine con studiata noncuranza.

«Ma tu… cosa ci facevi qui?»

Aisha distolse lo sguardo. Chiuse gli occhi e sospirò. Sembrava che la risposta le costasse molta fatica.

«Cercavo anch’io il manoscritto…»

 

 

 

«Mi faccio un caffè. Tu ne vuoi uno?»

«Magari… mi ci vorrebbe proprio…»

Guido aveva lasciato trascorrere qualche minuto per assimilare l’inattesa rivelazione.

C’era poco da illudersi, la ragazza aveva tentato di derubarlo. E lui che aveva pensato che fosse la donna della sua vita… Che stupido! Si era fatta scopare per entrargli in casa… Ma… perché? Come sapeva?

Ritornò in camera da letto con i caffè fumanti. Aisha si era tirata su e si appoggiava alla spalliera del letto, il suo sguardo si perdeva lontano.

«Penso che tu mi debba qualche spiegazione…»

La ragazza sorseggiò il caffè, stringeva le labbra come se si sforzasse di non piangere.

Quando si decise a parlare la sua voce era ferma e incolore.

«Forse non te ne fregherà niente, ma mi dispiace. Mi dispiace veramente tanto, non puoi immaginare quanto mi sento infelice, stupida…» Di nuovo le affiorarono le lacrime agli occhi. «Mi hanno promesso molti soldi, i soliti maledetti soldi. Sapevano tutto di te, del manoscritto…»

«Ma di chi stai parlando?»

«Tutto perché sono per metà araba e parlo correntemente l’arabo. Mi hanno contattata due di loro… vestiti occidentali, gentili… per vincere la mia diffidenza hanno detto che avevano avuto dei favori da mia madre, all’ambasciata. Mi hanno detto che avevano un lavoro interessante da offrirmi, che ero la candidata ideale perché conoscevo l’arabo e studiavo lettere. Sì, sto per laurearmi in lettere alla Cattolica, a Roma. Mi sono incuriosita… non è facile lavorare oggi.»

Fece una pausa e lanciò uno sguardo a Guido. Poi i suoi occhi si concentrarono di nuovo su un punto lontano.

«La verità venne fuori a poco a poco. Quei due appartenevano a una rete di cellule dormienti della jihad islamica. Una rete che non aveva compiti terroristici ma di diffusione dell’islamismo tramite la destabilizzazione della fede cristiana. Avevano dei contatti anche in Vaticano: non so come, avevano saputo dell’esistenza del diario di papa Leone XI e volevano trovarlo ad ogni costo. Per questo stavano dietro a Padre Martinez…

«No! Lo hanno ucciso loro!» Berardi era sbalordito.

«Non sono stati loro… sono arrivati troppo tardi. Però ti hanno visto allontanarti dal Collegio… A questo punto sono entrata in scena io. Evidentemente mi tenevano d’occhio da tempo, come un elemento che poteva rivelarsi utile. In poche parole, mi hanno proposto di avvicinarti, accertare che tu avessi il manoscritto e rubartelo.

La mia prima reazione, come puoi immaginare, è stata di paura, anzi ero terrorizzata. Ma proprio a me doveva capitare questa orribile situazione, mi domandavo. Poi le loro maniere educate ebbero il sopravvento. Pensai anche che ero in trappola, che se avessi rifiutato sarebbero passati alle minacce. E poi il colpo finale: i soldi. Me ne hanno promessi un bel mucchio… da tentare un santo…»

«E così ieri sera hai fatto la bella scoperta, il colpo della tua vita! Probabilmente ti sei impadronita di un doppione delle chiavi, erano nell’ingresso… dico bene? E stamattina sei venuta a prenderti il manoscritto. Ma non l’hai trovato! Hai avvertito i tuoi amichetti arabi ma loro non ti hanno creduto. Sono venuti di persona, ti hanno minacciato, hanno buttato tutto sottosopra e ti hanno pagato con un mucchio di botte, invece che di soldi… chissà perché? Forse… hanno pensato che li volessi fregare… che volessi giocare al rialzo…»

Aisha stava a testa bassa, senza fiatare, appariva svuotata di  ogni energia. Una silenziosa conferma che la ricostruzione di Berardi era esatta.

«Un momento!» Guido fu colpito da un pensiero improvviso. «Hai detto che non hanno ucciso Padre Martinez, che sono arrivati tardi?! Allora c’è qualcun altro che dà la caccia al manoscritto!»

Balzò in piedi agitatissimo.

«Non muoverti di qui!» gridò.

In un attimo era nell’ingresso, afferrò le chiavi, il giubbotto, si precipitò giù per le scale sbattendo la porta dietro di sé.

 

 

 

Abbandonò la macchina sulla strada senza parcheggiare. Aveva corso come un pazzo, ma fortunatamente le strade a quell’ora erano deserte. Aprì il portone della biblioteca in preda a un’agitazione febbrile. Senza accendere le luci salì i gradini a due a due, il cuore gli percuoteva il petto e la gola con un battito fragoroso. Con le dita che gli tremavano per l’agitazione, cercò la chiave della sala di lettura, l’attraversò di corsa, entrò nel suo ufficio.

Il chiarore dei lampioni che filtrava dalle finestre faceva risaltare la rassicurante superficie della cassaforte, solida e ben chiusa. Sorrise nel buio e allungò una mano per accendere la luce.

Il colpo alla nuca arrivò fulmineo e inaspettato. La sua mente non fece in tempo a registrare che un dolore atroce e poi si spense.

 

 

 

Quanto era rimasto svenuto? Alla finestra l’alba cominciava già ad insinuarsi lentamente e a scoprire i contorni delle cose. Berardi si tirò su con fatica e si sedette sul pavimento con le membra doloranti. La nuca gli mandava delle fitte violente e dovette massaggiarsi con una mano per alleviare almeno un po’ il dolore. Si afferrò a un mobile per mettersi in piedi, attese un momento che la stanza smettesse di girargli intorno. Finalmente si diresse barcollando verso la cassaforte.

Lo sportello era spalancato, come si aspettava, numerose carte erano sparse sul pavimento, della busta gialla nessuna traccia.

Crollò sconsolato sulla sua poltrona. In un attimo gli si presentò alla mente tutta quella brutta storia, rapide come in un sogno si sovrapposero le immagini di Padre Martinez, del manoscritto, di Aisha… Dio! Che sofferenza! L’amarezza era più intollerabile del dolore fisico… Derubato, tradito… il sogno di un grande successo accademico svanito… Capì subito che non c’era più niente da fare. Aveva perso. Non valeva neanche la pena di fare una denuncia… contro chi? Per il furto di che cosa?

Doveva mettere in ordine e andarsene, prima che arrivasse il personale.

Sistemò il contenuto della cassaforte alla bell’e meglio, chiuse tutto e se ne andò.

Guidò in modo meccanico, con la mente offuscata e un insistente sibilo alle orecchie. Si ricordò che aveva lasciato la ragazza a casa… la ragazza… un motivo in più di umiliazione.

Salì stancamente le scale, aprì la porta, fece il giro della casa. Aisha non c’era più. Ma in fondo se lo aspettava. L’avrebbe cercata poi. Adesso voleva dormire. Solo  dormire.

 

 

 

«Allora? Che notizie mi porta?»

«Ce l’abbiamo fatta, Eminenza. Il manoscritto è nostro. Eccolo!»

L’anziano prelato, alto, magrissimo,  fasciato strettamente nella splendida tonaca color porpora, guardò con ribrezzo l’involto che gli porgeva l’uomo ossequioso, umile e anonimo nel suo clergyman nero.

«Non voglio nemmeno vederlo! Né tanto meno toccarlo!» disse stizzosamente il religioso in tenuta cardinalizia, facendo brillare per un attimo gli occhi chiarissimi, penetranti, minacciosi. «Lo porti da qualche parte e gli dia fuoco, come dovrebbero bruciare tutti i nemici della nostra fede!»

L’uomo in clergyman si inchinò in segno di assenso, senza parlare.

«Per quanto riguarda il suo compenso, si rivolga domattina al mio segretario particolare. Le farò avere una busta. Naturalmente non si aspetti il compenso pattuito. Le cose non sono andate lisce come dovevano.»

«Cerchi di capire, Eminenza, con tutto il rispetto. Ci sono stati degli imprevisti.»

«Gli imprevisti fanno parte della vita. C’era bisogno di uccidere Padre Martinez?»

Lo sguardo del piccolo uomo in nero ebbe un lampo, per un attimo ebbe l’ardire di guardare il cardinale dritto negli occhi: forse era meno inoffensivo di quanto potesse sembrare…

«Padre Martinez se l’è cercata. Ha fatto resistenza, non voleva parlare. Ha anche proferito delle oscure minacce nei confronti del Vaticano…»

«Basta così! Il nostro colloquio è terminato! E spero di non aver più bisogno dei suoi servizi. Lei non mi piace, non mi piace per niente… padre.»

«Domando perdono  …eminenza. Chi fa il lavoro sporco non piace a nessuno. Ma spesso è necessario, come lei sa bene.»

«Adesso sta diventando irriverente! Se ne vada! E faccia quello che le ho detto: faccia attenzione che il libro bruci bene, che non restino tracce.»

Porse l’anello da baciare al modesto sacerdote, che si inchinò e arretrò, sempre a capo chino, fino alla porta. Non tanto per rispetto quanto per nascondere il torvo bagliore di odio che si era acceso nei suoi occhi.

 

 

 

Il mare invernale esibiva discretamente il suo fascino fuori stagione. Il grigio del cielo si rifletteva sulla lucida superficie dell’acqua, appena increspata da ondine scherzose, illuminata dalla fredda luce radente di un sole basso, appena visibile dietro il velo lattiginoso delle nuvole.

Aisha e Guido camminavano lentamente, a rispettosa distanza, lasciando lievi impronte umide sulla rena compatta e bagnata, seguendo attentamente con lo sguardo la lunga scia di conchiglie spezzate, alghe morte, candide chele di granchi smembrati.

Ormai non c’erano più parole da dire. I pochi mesi trascorsi dalle drammatiche vicende che li avevano uniti per breve tempo avevano ormai appianato ogni risentimento, ogni recriminazione, ogni rimorso.

Era stato facile per Guido, ricorrendo alle sue conoscenze, sapere in quale materia e con chi si sarebbe laureata Aisha. Aveva assistito da lontano alla cerimonia delle foto e degli abbracci, individuato in un signore distinto dai capelli brizzolati e in una donna attempata, ma ancora bella, i genitori della ragazza. L’aveva spiata ancora, in varie occasioni, sentendosi un perfetto imbecille, ma sembrava che un filo invisibile e fortissimo lo legasse ancora con lei.

Poi Aisha aveva preso l’abitudine di andare fino al mare e camminare sulla spiaggia. Era facile seguirla lungo la provinciale: la sua macchinetta rossa era il punto più colorato del paesaggio. Guido stava per ore a guardarla camminare, nascosto come una spia dietro gli sterpi o dietro le cabine abbandonate che aspettavano l’estate. La guardava mentre disegnava con un bastoncino sulla sabbia, mentre raccoglieva sassi per poi buttarli lontano, in mare, mentre si sedeva raccogliendo le ginocchia tra le braccia e guardando l’orizzonte. Non riusciva a vedere la sua espressione da lontano, ma tutto il suo bel corpo, tutti i movimenti, esprimevano una mesta prostrazione.

Poi un giorno si era fatto coraggio e le aveva detto chiaramente che l’aveva seguita. Lei non era sembrata affatto meravigliata e si era limitata a sorridere. Guido l’aveva trovata più bella che mai.

Da quella volta avevano cominciato a camminare insieme, fianco a fianco, senza bisogno di tante parole, ognuno col segreto percorso dei suoi pensieri, irresistibilmente uniti dai comuni ricordi, quegli stessi ricordi che li separavano e li rendevano ancora incerti e diffidenti.

Fu lei, un mattino, a prendergli la mano, a sfiorarlo con la sua spalla, con una nuova luce nello sguardo: Guido si sentì morire dalla commozione e dal desiderio. Continuarono a camminare in silenzio, mentre tutte le loro apprensioni si disperdevano nell’aria, mescolandosi alla salsedine, e volavano via nella brezza fresca e tesa.

Una macchia nera in lontananza attirò la loro attenzione. Man mano che si avvicinavano, la macchia si ingrandiva e prendeva la forma di un uomo, che cominciò ad andar loro incontro, sorridendo.

«Lei è il professor Berardi vero?»

«Ci conosciamo?»

L’uomo aveva un aspetto modesto, indossava un completo nero, sgualcito, su un maglioncino a giro collo dal quale sporgeva la sottile striscia  di un colletto bianco che lo qualificava come un sacerdote.

«Lei non mi conosce ma io conosco lei di fama…»

L’uomo appariva cordiale, anche se i suoi occhi tradivano una fredda determinazione.

Aisha lo guardava incuriosita. Guido con sospetto.

«So che il suo lavoro» proseguì l’uomo, «la porta alla ricerca di libri antichi, edizioni rare…»

«Allora mi conosce bene!» disse Guido. «Ma… sia sincero: lei ci stava aspettando. Questo incontro non è casuale.»

«E’ vero. Anzi mi scuso per aver fatto ricorso a questo sistema poco educato. Ma volevo chiederle… potrebbe interessarle un manoscritto del Seicento? Una vera rarità, mi creda. Alcuni sarebbero disposti a tutto per averlo…»