L'infermiera di notte

 L’infermiera alta e magra spingeva con autorevolezza il carrello dei medicinali lungo il corridoio, illuminato da una fastidiosa luce bianco-azzurrina. Si arrestò davanti alla camera contrassegnata dal numero 29, studiò un attimo la scheda del paziente, poi prese due compresse da un flacone ed entrò nella stanza con aria decisa.
“Silvani, le compressine della sera!” disse con ipocrita entusiasmo, alzando la voce come una maestrina in una classe distratta.
L’ingegner Fabio Silvani si alzò su un gomito, prese le pastiglie che l’infermiera aveva posato sul comodino e le inghiottì aiutandosi con un sorso d’acqua.
“Signorina, mi può dare qualcosa anche per dormire? Qualcosa che funzioni però! Ieri notte non ho chiuso occhio… Mi hanno detto di chiedere il Lendormin.”
“Ah, per quello ci vuole l’autorizzazione del dottore. Io comunque sto per staccare: lo chieda alla mia collega che farà il turno di notte.” Diede un’occhiata distratta al livello della flebo e uscì rivolgendogli un mezzo sorriso.
Silvani ricadde pesantemente sul cuscino. Brutta megera, pensò. Tanti sorrisini, tante smancerie e poi se ne fregano di te. Guardò il soffitto e sospirò, passandosi le mani sul viso stanco. Questo ictus non ci voleva, proprio ora che aveva concluso i suoi esperimenti sulla miniaturizzazione delle celle a combustibile, proprio ora che il suo seminario a Bruxelles sulla Free energy aveva finalmente risvegliato la distratta attenzione dei politici creando le premesse per un’intesa globale sulla riduzione dell’inquinamento atmosferico. L’avevano lasciato solo in questa battaglia, gli avevano tagliato i finanziamenti, ma non si era lasciato né scoraggiare, né intimidire, né corrompere da chi voleva mantenere inalterata tutta la fitta rete d’interessi politici ed economici su cui si fonda il mercato energetico. Certo avrebbero potuto farlo eliminare, non sarebbe stato il primo… ma era riuscito a spingersi molto avanti, aveva parlato personalmente con ministri e capi di stato in tutto il mondo: una sua eventuale morte violenta sarebbe stata estremamente compromettente per parecchie multinazionali. Non solo, ne avrebbe fatto un eroe dell’ambientalismo e avrebbe costituito la spinta decisiva alla produzione di energia pulita.
Aprì e chiuse alternativamente le mani, poi piegò le ginocchia, prima la destra poi la sinistra: fortunatamente l’ictus non aveva lasciato conseguenze, almeno in apparenza… Il cuore però era messo male. La fibrillazione atriale, che prima era tenuta sufficientemente sotto controllo, ora si era aggravata. L’operazione di angioplastica cui era stato sottoposto l’anno prima, in seguito all’infarto, non aveva certo risolto la sua cardiopatia coronarica. Era un malato a rischio, e lo sapeva.
Prese dal comodino un volumetto blu dell’editore Sellerio, Il birraio di Preston, e si accinse a ingannare un po’ il tempo con la lettura: Camilleri era l’unico che avesse il potere di distrarlo e farlo sorridere.
Neanche il tempo di finire la pagina e udì bussare alla porta. Entrò un’infermiera che non aveva mai visto, doveva essere quella del turno di notte. Accidenti, che bella donna! Lasciò cadere sul letto la mano che reggeva il libro e la guardò mentre armeggiava con la flebo. Aveva un superbo profilo, messo in risalto dai capelli biondi accuratamente raccolti dietro la nuca, sotto la cuffia bianca e azzurra della divisa. Il camice bianco, che probabilmente si era fatta fare su misura, fasciava armoniosamente un corpo che, ad una prima occhiata sembrava flessuoso, ma, esaminato con più attenzione, suggeriva piacevoli rotondità. Silvani si tirò su e cercò di assumere un portamento più eretto e dignitoso. Si ravviò i capelli con le mani e si schiarì la voce.
“Stanotte niente flebo, la lasciamo in pace” disse l’infermiera.
“La pace mi sta bene, basta che non sia eterna…” replicò lui tirando fuori la prima spiritosaggine che gli era venuta in mente. Chissà perché sentiva d’un tratto il desiderio di far colpo su quella donna.
“No, non dica così…” disse lei facendo brillare con un sorriso una perfetta fila di denti bianchissimi. “Più tardi le porterò il tranquillante che ha richiesto” aggiunse mentre usciva. Che potere hanno le donne su di noi! pensò Silvani lasciando ricadere il capo sul cuscino. Sei mezzo morto, ma, se ne vedi una che ti piace, ti senti un leone. Questa non è male per niente! Speriamo che sia qui tutte le notti… Sì, e poi? Cosa pensi di farci con questa? Vecchio scemo… rimettiti a leggere Camilleri, dài!

 

Scivolò dentro senza fare rumore, ma lui aveva il sonno leggero di un gatto e spalancò subito gli occhi nella penombra.
“Accidenti, l’ ho svegliata… mi dispiace! Ha visto che non aveva bisogno di niente per dormire?”
“Mah… è stato un caso, mi creda. Faccio veramente fatica a riposare di notte. Probabilmente stasera è stato merito suo…”
“Mio?”
“Non mi fraintenda: non voglio fare lo stupido. Potrei essere suo padre. E poi sono malato. Ma devo dirle con sincerità quello che ho pensato prima, quando è entrata per la prima volta. Ho pensato: che meraviglia questa ragazza!”
“D’accordo” disse lei con tono paziente, “non è la prima volta che i pazienti mi fanno un complimento. Adesso però faccia il bravo e si rimetta a dormire.”
“No, aspetti… ha fretta?”
“No, però…”
“Lo so, non è corretto stare qui a farsi corteggiare da un paziente… ma vorrei scambiare ancora qualche parola con lei. In fondo è pagata per assistermi” disse con una buffa espressione e un tono comicamente arrabbiato, con il quale si guadagnò un altro luminoso sorriso della ragazza. “Sa una cosa? Prima mi sono addormentato perché lei ha dato il via a tutta una serie di pensieri gratificanti, mi ha fatto ripensare a tutte le donne che ho avuto: ero un bell’uomo… non ci crede?”
“Ma lo è anche adesso! Perché a una certa età vi buttate giù così… potrei essere suo padre… ero un bell’uomo… Lei ha solo sessant’anni: oggi un sessantenne è giovane e può far colpo anche su una ragazza…”
“Ehi, ma sono guarito di colpo! Dopo queste parole sto benissimo… davvero! Domattina dirò ai dottori che mi mandino a casa!”
“Che pagliaccio!” rise lei. “Adesso però mi lasci andare…”
“A un patto: che lei ritorni puntuale domani notte.”
“Ah… purtroppo questa promessa non mi costa molto: questa settimana ho i turni di notte. Adesso dorma. Arrivederci.”

 “Salve! Bentornata! Lei è ancora più splendida di ieri sera…” Si era fatto cambiare il pigiama, si era sbarbato e inondato di dopobarba, aveva inumidito i capelli per dar loro un aspetto passabile.
“Ehi, piano con i complimenti: altrimenti non vengo più a trovarla.”
“Sarebbe una tragedia! I miei malanni si aggraverebbero e lei sarebbe ritenuta responsabile. Davvero, ” aggiunse in tono più serio, “oggi mi sono sentito meglio. Lo so che la metto in imbarazzo ma non posso fare a meno di dirglielo: il merito è suo. Non ho fatto altro che pensare a lei tutto il giorno, aspettando questo momento.”
La vide irrigidirsi: accidenti, forse aveva esagerato… Ma l’infermiera fece finta di nulla. Lo liberò dalla flebo, gli sistemò il cuscino e le coperte con aria freddamente professionale, predispose le luci per la notte.
“Vuole che le porti un tranquillante?” chiese in tono neutro soffermandosi un attimo ai piedi del letto.
“No, non diamo altro lavoro al mio povero fegato. Conosco un modo migliore per rilassarmi: stia due minuti a parlare con me…”
“Mah… veramente…” Sembrava indecisa.
“Non mi dica che ha da fare: il corridoio è già immerso nel più completo silenzio. Scommetto che se ne va a sonnecchiare nella guardiola… non è meglio approfondire la mia conoscenza? Sono un uomo interessante sa?”
“Questo lo so” disse lei, imitando il tono ironico che lui aveva usato. “Una specie di scienziato, vero? Ma di cosa si occupa esattamente?”
Accidenti, aveva abboccato! Aveva chiuso piano la porta e si era avvicinata al letto appoggiando i gomiti alla sponda posteriore.
“Mah… è complicato da spiegare… non vorrei annoiarla.”
“Invece mi interessa molto.”
“Beh, lei sa che le città stanno soffocando nell’inquinamento da traffico. Eppure esiste un combustibile privo di emissioni nocive: l’idrogeno, che può essere prodotto da materie prime abbondanti come il metano e il carbone. L’idrogeno è sicuramente l’alternativa energetica più valida, poiché il sottoprodotto della sua combustione è un’acqua purissima: quindi niente prodotti inquinanti come il monossido di carbonio né gas serra come l’anidride carbonica.”
“E lei come c’entra?” chiese la ragazza, che sembrava veramente interessata: ascoltava con attenzione e, mentre lui parlava, si era avvicinata e si era seduta sulla sedia posta di fianco al letto.
“L’idrogeno viene immesso in speciali pile chiamate celle a combustibile, capaci di trasformare energia chimica in energia elettrica. E qui intervengono le mie ricerche: ho perfezionato queste pile riducendone le misure e rendendole più funzionali. Ora non ci sono più ostacoli né scuse: possiamo passare dall’economia del petrolio a quella dell’idrogeno.”
“Sono impressionata: lei è veramente uno scienziato importante! Tutti dovrebbero esserle grati…”
“Ah ah! Questa è buona! Non sa invece quanta gente vorrebbe eliminarmi…vede, io vado a scardinare grossi interessi di natura politica ed economica…”
La donna non seppe cosa replicare. Sospirò, chiuse gli occhi e appoggiò il capo al muro contro il quale era accostata la sedia.
“Stanca?”
“Un po’… a quest’ora, con questa luce bassa, gli occhi si chiudono da soli…”
L’ingegner Silvani non osava respirare per non disturbarla. Avrebbe voluto prolungare all’infinito quella piacevole compagnia, quella vicinanza che, a differenza di tutti i farmaci inutili che gli somministravano, metteva in circolo qualche prodigiosa droga che lo faceva sentire nuovamente forte e sicuro di sé. Gli giunse l’impercettibile suono di un respiro regolare: l’infermiera si era evidentemente appisolata. Ne approfittò per studiarla meglio. Purtroppo le palpebre chiuse nascondevano la parte migliore, pensò, quegli occhi di un azzurro intenso, glaciale e impenetrabile, che sembrava sciogliersi quando lei sorrideva o semplicemente ti parlava. Ma non era meno affascinante il viso, disteso nel sonno, con l’ampia fronte, il naso dritto e deciso, il mento aggraziato: si sarebbe detto il viso di una donna determinata, se una bocca naturalmente colorita, dalle linee morbide, non vi avesse capricciosamente messo la sua pennellata di sensualità. In quel momento la bocca appariva leggermente socchiusa e Silvani si sorprese a fissarla: sembrava gli stesse mandando un silenzioso, irresistibile invito… Scese con lo sguardo lungo il camice, accarezzò con lo sguardo la morbida pienezza disegnata dalla curva del seno: accidenti, doveva avere due tette sode e abbondanti, almeno così sembrava dalla forza con cui l’asola tentava di strappare il primo bottone del camice. Una mano dalle linee gentili ma forti era graziosamente posata sul grembo, l’altra era abbandonata sulla sponda del letto: studiava uno per uno questi particolari, soffermandosi a lungo su ciascuno di essi e ricevendone una sensazione estremamente gratificante. Poi lo sguardo gli cadde inevitabilmente sulle gambe. Il corpo della donna era leggermente scivolato verso il basso, con l’effetto di far salire il camice che, per di più, aveva gli ultimi due bottoni slacciati: il risultato era abbagliante. Due cosce soffici e armoniose, quasi splendenti nella penombra della sala, correvano verso di lui, divaricandosi appena, senza alcuna volgarità. L’ingegner Silvani si sorprese, suo malgrado, ad aguzzare gli occhi per vedere meglio cosa nascondeva lo spazio buio tra il chiarore opulento della carne. Fu colto da un pensiero improvviso: qualcuno gli aveva detto che in estate l’aria dell’ospedale era intollerabilmente soffocante e alcune infermiere non portavano alcunché sotto la divisa… L’immagine della donna completamente nuda si accese per un rapido istante nella sua mente e gli fece accelerare il respiro, avvertì chiaramente il battito irregolare del suo cuore malandato farsi più veloce e rintronare nella gola e nelle orecchie. Porca puttana… devo stare calmo… cosa diavolo mi viene in mente… Appoggiò la testa sul cuscino e guardò verso il soffitto, cercando di calmarsi e di controllare il respiro.
“Cosa c’è? Si sente male?” La donna era balzata in piedi e lo guardava con espressione inquieta.
“No, no, non è niente, solo un po’ di affanno…”
“Vuole che chiami il medico di guardia?”
“No… non è il caso. Penso che ora mi metterò a dormire.”
“E’ stato piacevole parlare con lei… anche se temo di essermi addormentata a un certo punto. Mi scusi.”
“Sono io che mi devo scusare: forse l’ ho annoiata. Se resta un po’ con me anche domani sera prometto di essere più divertente. Va bene?”
“Va bene. Ma adesso… buonanotte.”
“Buonanotte!”

“Salve! Come va?” Come sempre l’ingresso della ragazza illuminava la stanza. Silvani però la degnò appena di un’occhiata, era imbronciato. Durante la visita del mattino il medico si era mostrato preoccupato, aveva risposto in modo evasivo alle sue domande, aveva ripetuto l’elettrocardiogramma e cambiato la terapia, così almeno gli era sembrato di capire dalle poche parole brusche che aveva rivolto alla caposala.
“Sembra che i vostri dottori, qua, non riescano a tirarmi fuori dai guai questa volta.”
“Non sia impaziente: è qui da pochi giorni. Dia ai medici il tempo di aggiustare la cura. Lo sa che il nostro reparto è uno dei migliori in Italia?” Così dicendo, con molta naturalezza gli aveva preso la mano, come per comunicargli più efficacemente il suo incoraggiamento. Ma per Silvani quel semplice gesto fu molto di più: avvertì un gradevole sussulto in tutto il corpo, gli sembrò di essere un apparecchio spento che viene acceso. Fu sorpreso dall’intensità del proprio turbamento.
“Ora devo andare” stava dicendo la ragazza. “Tornerò più tardi a darle la buona notte.”
“Un attimo solo… Lo sa che non ho ancora letto il suo nome sul cartellino…”
“Mi chiami pure Angela, il cognome non è importante. Se le fa piacere può anche darmi del tu. Io posso chiamarla Fabio?”
“Ma certo!”
“Però io continuerò a darle del lei: mi mette troppa soggezione… Anche se… anche se mi trovo a mio agio con lei, mi ispira simpatia… lo sa che non sento per niente la differenza di età? Oddio! Ho parlato troppo! Mi scusi… vado via.” E corse alla porta, girandosi per fargli un ultimo sorriso prima di richiuderla.
Silvani aveva subìto quella serie di parole espansive immobile e incredulo. Ma che diavolo stava succedendo? Quella donna gli piaceva… si era eccitato anche solo a guardarla, la sera prima! E adesso? Perché gli faceva tutti quei complimenti? Non era un comportamento da infermiera… Forse… si sentiva attratta anche lei? No… ma cosa andava a pensare? Stava dando corpo a cose inesistenti. Si alzò con cautela a sedere e scese dal letto. Maledizione! Come girava la testa! Era un’imprudenza alzarsi da solo… Andò fino al bagno tenendosi a tutti gli appigli a portata di mano, aprì la porta, accese la luce e si guardò allo specchio. E chi è questo sconosciuto? Guardò con benevola ironia i guasti fatti dall’età e dagli acciacchi. Però non era poi ridotto così male… I capelli erano ingrigiti e diradati ma i suoi occhi chiari avevano ancora quel lampo di acciaio che metteva a disagio i suoi interlocutori. Il volto affilato e volitivo non era cambiato molto… e neanche l’espressione leggermente beffarda creata dalle piccole pieghe ai lati degli occhi e dall’atteggiamento della bocca. Sogghignò apertamente… beh, forse poteva ancora piacere…

 

Angela aprì la porta ed entrò con aria furtiva, accendendo sul pavimento buio una lama di luce che subito si spense. Strano… possibile che l’ingegnere non l’avesse aspettata sveglio… Si avvicinò al letto e lo osservò: era immobile e respirava regolarmente. Si avvicinò alla finestra e la aprì aspirando profondamente l’aria fresca, profumata di resina e di gelsomini, che saliva dal grande parco della clinica. Silvani socchiuse appena le palpebre per controllare la posizione della donna. Non stava dormendo… gli era venuto istintivo improvvisare una specie di gioco. Voleva vedere cosa avrebbe fatto l’infermiera trovandolo addormentato. Beh, un primo risultato lo stava ottenendo: perché non se ne andava? Strano… Poiché lei gli girava le spalle poteva tenerla d’occhio più facilmente: la vide pescare nelle tasche e tirar fuori un pacchetto di sigarette e un accendino. Si accese una sigaretta, inspirò con soddisfazione ed emise una chiara voluta di fumo che si perse nella notte. Ah, ecco perché si era trattenuta… voleva fumarsi una sigaretta in pace. Niente di particolare dunque. Continuò a osservarla: si era appoggiata al davanzale della finestra e guardava lontano nel buio, silenziosa, forse ammirando un dorato spicchio di luna che stava per tramontare. La situazione era stuzzicante: vedere senza essere visti, entrare in punta di piedi nella vita di una persona e spiare i suoi pensieri più nascosti, sorprendere le sue azioni più intime… Gli arrivò il suono di un sommesso canticchiare: Angela stava accennando una canzoncina che lui non conosceva e muoveva impercettibilmente il corpo per sottolinearne il ritmo. Il bacino della ragazza, che, a causa della posizione da lei assunta alla finestra, veniva a trovarsi poco distante dagli occhi di Silvani, iniziò a compiere piccoli movimenti da un lato all’altro, che, nella particolare atmosfera della stanza, semibuia e silenziosa, sprizzarono una stupefacente carica erotica. L’ingegnere ebbe nuovamente la sfolgorante visione del corpo nudo sotto il camice ma si sforzò di allontanarla, voleva restare ancora immobile per prolungare quel gioco che lo divertiva moltissimo. Purtroppo aveva cominciato a sentir premere sugli inguini l’inizio di una prorompente eccitazione e doveva far forza su se stesso per tenerla sotto controllo. Anche la tachicardia aveva cominciato a martellargli il petto, ma cercava di ignorarla.
Chiuse gli occhi di colpo: l’infermiera stava chiudendo la finestra dopo aver lanciato il mozzicone della sigaretta nel vuoto. Silvani non sentiva più alcun movimento. Cosa stava aspettando? Perché non se ne andava, come sarebbe stato logico? Cosa stava facendo? Sentì un fruscio… Non resisteva più… forse se alzava appena appena le palpebre riusciva a vedere qualcosa… si fece coraggio… L’imprevisto gli fece sbarrare di colpo gli occhi, non aveva mai visto un’immagine così provocante. La donna si era seduta e teneva il capo rovesciato all’indietro, si era tolta la cuffia e una massa di lunghi capelli biondi fluiva esuberante dietro le sue spalle. Dalla parte alta del camice, quasi completamente slacciato, usciva la sfera morbida e luminosa di un seno che lei stava accarezzando con il movimento indolente e circolare di una mano. Un ultimo bottone opponeva resistenza all’altezza del bacino, ma non riusciva a impedire l’esibizione sfacciata di una grossa coscia fiorente che, accavallata sull’altra, si dondolava pigramente a destra e a sinistra. L’eccitazione di Silvani era ormai fuori controllo e stava rapidamente prendendo forma, una forma gonfia e pulsante sotto il lenzuolo.
“Dio, quanto sei bella!” riuscì a dire con un filo di voce, impacciato dalla bocca riarsa e da un veloce ansimare.
La ragazza mandò un piccolo grido di sorpresa e si ricompose rapidamente. “Mi scusi… credevo che lei dormisse…” Fingeva un po’ di imbarazzo ma sembrava quasi contenta di essere stata colta in quella posizione, almeno questa era l’impressione dell’ingegnere.
“Non prendermi in giro… lo sapevi bene che ti guardavo! Cosa vuoi da me? Vuoi farmi impazzire?”
“No… io… non vorrei mai farle del male! Non so cosa mi sia successo. Lei mi è piaciuto moltissimo fin dal primo momento: è un uomo così affascinante! Stasera quando ho visto che dormiva mi sono messa a fantasticare. Pensavo che lei è il tipo d’uomo che vorrei avere al mio fianco, sempre… Poi… è vero, ho cercato di provocarla. Speravo che lei aprisse gli occhi e mi vedesse. Perché lei… lei mi attira anche sessualmente…”
Silvani ascoltava incredulo, non sapeva cosa pensare, era vittima di una pazza isterica, oppure…
“Non mi giudichi male, non sono matta… E’ che non mi è mai successa una cosa simile. Mi sento veramente attratta da lei in modo irresistibile…” Mentre parlava gli aveva posato una mano su un braccio e con l’altra stava insinuandosi sotto il lenzuolo, trovò il membro quasi inorgoglito per una ritrovata giovinezza e lo strinse delicatamente in una carezza fresca e consolante. “Oh… guarda cos’ ho combinato! E adesso cosa facciamo per questo poverino…” disse con comica dolcezza.
Silvani non sapeva più cosa dire o cosa fare, era inchiodato al materasso, la tachicardia era divenuta insopportabile, il sibilo alle orecchie lo isolava dal resto del mondo. Nella sua mente si accavallavano mille pensieri, ma uno si stava imponendo sugli altri e lo faceva sentire forte e libero, gli era capitato un colpo di fortuna, uno su mille, era toccato a lui! La ragazza aveva perso la testa, non c’era altra spiegazione… Fece appena in tempo a registrare la sfolgorante visione di Angela che saliva sul letto a cavalcioni sopra di lui, si impadroniva con abilità del suo membro sofferente e lo sprofondava in una vertigine di piacere… poi cadde senza fine nel vuoto. Gli parve di sentire in lontananza l’infermiera che gridava “Dottore! Dottore!”, gli parve di vederla correre, c’erano molte persone intorno a lui… Il suono fastidioso, intermittente del cicalino per chiamare il personale si faceva dolorosamente strada nella sua testa. Udì chiaramente una voce imporsi  sulle altre “Defibrillatore! Presto!” Cosa poteva significare? Che strano sogno… E la ragazza? Dov’era la ragazza? Dio, quant’era bella! “Maledizione! L’ abbiamo perso!” Di nuovo quella voce… Poi, finalmente un po’ di silenzio.

Angela sbatté la portiera dell’auto e si avviò a passo svelto verso l’ingresso del palazzo. La luce dei lampioni scivolava sui pantaloni attillati di sottile pelle nera, che accentuavano la lunghezza delle gambe e l’incedere scattante. Si avvicinò alla grande porta a vetri e frugò nella borsetta alla ricerca delle chiavi. Si girò di scatto: una grossa Mercedes blu si era accostata al marciapiedi. Un uomo corpulento, elegantemente vestito con un abito grigio scuro, camicia bianca perfetta e cravatta dal nodo impeccabile, anch’essa in una tonalità di grigio vicina al nero, scese dalla macchina e si diresse verso di lei sorridendo.
“Buonasera!” disse accennando un inchino che tradiva un misto di rispetto e di simpatia. “Abbiamo già avuto notizia che il lavoro è stato portato a termine con successo. Il signor Ministro desidera farle sapere che è pienamente soddisfatto e si complimenta con lei: la tecnica è stata impeccabile, brillante, insospettabile…” Parlava in modo ricercato, scegliendo le parole, ma le vocali aspirate tradivano le sue origini arabe, così come i baffetti nerissimi e il colore della pelle. Angela lo guardava con freddezza. Lanciò un’occhiata intorno per accertarsi che la notte fosse deserta.
“E il pagamento?” disse. “Spero non abbiate dimenticato una delle mie condizioni: solo dollari, solo contanti.”
Il suo interlocutore accentuò il sorriso. Estrasse dalla tasca interna della giacca una grossa busta e la consegnò ad Angela, che si mise la borsetta a tracolla per avere le mani libere. Aprì la busta e fece scorrere abilmente il pollice sulla voluminosa mazzetta che sprigionò un lungo lampeggiare di biglietti verdi e mandò un sommesso ma nitido fruscio nell’aria silenziosa.
“Ci sono tutti” disse l’arabo. “Si può fidare.”
“Non ne dubito…” Angela gli lanciò uno sguardo sprezzante. “Tentare di fregarmi sarebbe troppo pericoloso…”
Lo salutò con un cenno del capo ed entrò nel palazzo senza più girarsi.

 

 

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