L'esca

Il cadavere giaceva scomposto ai piedi di un grosso albero.
Gianluca si arrestò ansimando, col viso infuocato e il fastidioso ronzio di una mosca che non gli dava pace. Aveva camminato molto, inoltrandosi nel bosco di cerri e seguendo il sentiero appena riconoscibile, facendosi largo tra i cespugli esuberanti e i rami secchi caduti al suolo, liberandosi spesso a fatica dall’abbraccio dei grovigli d’erba che gli si abbarbicavano ai jeans.
Voleva stare solo quella mattina, accolto al risveglio da un nodo di malinconia in fondo alla gola, complice forse la notte passata nella casa di campagna. E aveva fatto bene ad incamminarsi su per la collina: l’esercizio fisico, cui non era abituato, l’aria mite, gli odori del bosco, lo avevano rinvigorito e gli avevano messo allegria, avvertiva la circolazione del sangue in modo nuovo, un liquido vivo e vigoroso come un liquore secco e forte. Poi, improvvisa, dietro la svolta di un sentiero, l’emozione della scoperta. Il particolare incongruo nel paesaggio che cancellava ogni altra sensazione, lanciava al cervello segnali d’allarme e rendeva percettibile il battito cardiaco.
Vinse l’irrazionale senso di paura che per un attimo lo aveva immobilizzato e fece qualche passo incerto verso quella che, in un primo momento, gli era sembrata una donna che dormiva. La posizione abbandonata, quasi disarticolata, e soprattutto una grossa macchia rosso vivo che spiccava in lontananza sulla fronte della persona, non lasciavano però adito a dubbi.
Una spiacevole contrazione gli strinse i muscoli della schiena e lo stomaco. Si guardò intorno con apprensione: forse stava cacciandosi in un guaio, forse c’era un assassino ancora nascosto poco distante. Deglutì suo malgrado, ma il bosco continuava a rimandargli la solita immagine tranquilla e assolata. Allegre strida di uccelli in lontananza.
Si avvicinò con cautela, esaminando attentamente il corpo e soffermandosi sui particolari, che divenivano sempre più evidenti man mano che si avvicinava. La donna era giovane e piacente, con lunghi capelli castani scompigliati tra la corteccia dell’albero e le spalle e con un ciuffo ribelle che era andato a impiastricciarsi sul sangue raggrumato. La vista del buco nero al centro della fronte, sul bordo del quale brillava, rossa, un’ultima goccia di sangue fresco, gli procurò un leggero attacco di nausea e dovette chiudere gli occhi per dominare la vertigine. Si accorse di avere la bocca arida e dovette muovere più volte la lingua e le labbra per recuperare una normale deglutizione. Si sforzò di concentrarsi su altri particolari, spostandosi lentamente e cambiando punto di osservazione. La bocca era socchiusa e lasciava intravedere denti bianchissimi e regolari. Sull’angolo delle labbra, carnose e  naturalmente colorite, risplendeva un filo di saliva.
Si guardò di nuovo intorno, incerto. Che doveva fare? Scappare più in fretta possibile, ignorando quel che aveva visto, non immischiarsi, oppure andare alla stazione dei carabinieri che si trovava in paese? Il suo carattere insicuro e restio a prendere rapide decisioni, come accadeva sempre in tutte le occasioni importanti, gli mise addosso un ben noto senso di inadeguatezza. Guardò di nuovo il cadavere come volesse chiedergli un’ispirazione.
Il collo della camicetta a fiori era slacciato generosamente e lasciava intravedere il solco di un seno gonfio, abbondante, che premeva contro il tessuto e tendeva i bottoni quasi volesse farli saltare a forza dalle loro asole.
“Accidenti” disse Gianluca in tono ammirato, come per farsi coraggio col suono della propria voce, “doveva essere una gran bonazza!” Mentre si passava una mano sulla fronte, un po’ per asciugare il velo di sudore che cominciava a formarsi, un po’ per riprendersi dal turbamento, lo sguardo gli cadde sulla gonna corta e leggera che era risalita lungo le gambe e aveva formato una morbida insenatura sopra la parte più alta delle cosce. Gianluca osservò con più attenzione, e con crescente attrazione, ciò che da lontano il suo cervello aveva registrato in un primo momento come grandi macchie chiare e che poi aveva semplicemente considerato come le gambe della povera morta. Erano in realtà ricche porzioni, prodigalmente scoperte, di una carne che appariva soffice e candida. Sentì immediatamente una fitta all’inguine e una vampata di calore inondargli il basso ventre: per un attimo restò stupito dalla violenza dell’eccitazione, poi, spinto da un impulso irresistibile si chinò e passò le dita incerte della mano sulla pelle liscia di una delle due gambe. Notò, mentre il suo respiro accelerava, che erano leggermente divaricate e che una delle due aveva un ginocchio piegato, suggerendo quasi un atteggiamento indolente e creando uno spazio misterioso che incoraggiava all’esplorazione delle parti più in ombra.
Gianluca si fece coraggio e accarezzò con più decisione e con il palmo aperto della mano la parte interna della coscia piegata. Era caldissima, forse per la lunga esposizione al sole, e questo gli procurò una sensazione di piacere ancora più forte. Risalì lentamente verso la piega formata dalla gonna, entrò nella zona appena ricoperta dal leggero tessuto estivo e avvertì, improvvisa e inattesa, una inconfondibile sensazione tattile: quella di una morbida peluria! Ritrasse di colpo la mano, come se si fosse scottato. Provava un leggero senso di vertigine e sentiva il sangue pulsare con forza contro le tempie. L’erezione, dentro i pantaloni, era divenuta una cosa umida, viva e quasi dolorosa.
Un pensiero limpido e forte, come una volontà estranea e indipendente, cominciò a impadronirsi rapidamente del suo cervello. Si ritrasse inorridito, ma qualcuno cominciò a parlare dentro di lui.
“Perché no? Non fare l’imbecille! Sei solo, eccitato come una bestia, la ragazza è fantastica, è calda, è morbida, sembra viva…dài… scòpatela… sì, perché no… te la puoi scopare e poi andartene indisturbato… meglio di così…”
Si guardò intorno, come se qualcuno avesse potuto sorprenderlo. Era sbalordito: ma cosa gli veniva in mente. Con un cadavere!
“Beh, non è poi una gran novità,” proseguì imperterrita la voce dentro di lui, il fenomeno è noto: chissà quante volte è capitato, in condizioni eccezionali, ad esempio a persone che avevano dovuto sopportare un lungo periodo di astinenza…”
Quasi come lo spettatore di qualcosa che accadeva a qualcun altro, Gianluca vide se stesso, con orrore, strapparsi disordinatamente di dosso la camicia, calare i pantaloni fino alle caviglie, inginocchiarsi tra le gambe della donna e adagiarsi su di lei. Poi le sue due personalità, momentaneamente sdoppiatesi, con suo grande sollievo si riunirono.
Diede una rapida occhiata al membro imperioso e pulsante, poi lo affondò lentamente, aiutandosi con una mano, nella dolce e invitante oscurità che aveva appena intravisto. E subito ebbe l’impressione di annegare nel buio accogliente della vita, sospeso nel tempo, sopraffatto da violente ondate di piacere. Socchiuse gli occhi e vide sotto di sé il delicato gonfiore della camicetta: strappò maldestramente alcuni bottoni in un sol colpo e un grande seno bianco balzò fuori come un animale liberato, ondeggiando e protendendo verso di lui un grosso capezzolo, che reclamava, con lo squillante rosso fuoco, la sua parte di godimento. Gianluca, i cui movimenti avevano nel frattempo assunto un ritmo disordinato e parossistico, fece appena in tempo ad afferrare con i denti quel capezzolo che crollò disfatto, esausto, sopra quel corpo inerte e così accogliente, mentre nella sua mente lampi colorati esplodevano, rivelando per un attimo qualche grande e sfuggente verità.
Aprì gli occhi e si tirò su stordito.
“Presto, devo andarmene.” Ora che tutto era finito, l’aveva preso un pressante senso di fretta e di disagio. Raccolse le sue cose, si pulì alla meglio e cominciò a rivestirsi camminando, inciampando, senza guardarsi indietro: non ebbe  neanche il coraggio di dare un’ultima occhiata al corpo che fino a un attimo prima gli era sembrato così invitante ed era stato generoso dispensatore di tanto piacere.

 

La donna aprì prudentemente gli occhi e si guardò intorno. Si tirò su, appoggiandosi a un gomito, e guardò ancora attentamente intorno a sé, tra un albero e l’altro, tendendo anche l’orecchio a eventuali rumori.
“Mmmh, mica male il ragazzo!” pensò stiracchiandosi e sorridendo soddisfatta. “Anche stavolta mi è andata bene!”
Raccolse la borsetta e ne estrasse un pacchetto di Kleenex. Cominciò a pulirsi accuratamente la fronte dal materiale colorato e appiccicoso che fino a poco tempo prima aveva realisticamente rappresentato una raccapricciante ferita di arma da fuoco. Si alzò in piedi e si pulì a lungo anche tra le gambe, consumando parecchi fazzoletti e infilandosi poi un paio di mutandine, pescate sempre nella borsetta.
“Certo che il gioco comincia a diventare pericoloso” pensò mentre si sistemava alla meglio i vestiti, sbattendo via la polvere e i fili d’erba. “E’ sempre più difficile recitare la parte di un cadavere, creare una messa in scena credibile, restare immobili mentre si vorrebbe urlare di piacere. E soprattutto avere la fortuna di incontrare qualcuno che non rovina tutto, qualcuno di aspetto abbastanza gradevole, interessato al sesso tanto da vincere la paura e la ripugnanza. D’altra parte non riesco a fare altrimenti: i miei rapporti normali con gli uomini chissà perché non funzionano mai! Però la voglia di essere messa sotto da uno di loro… quella funziona sempre, non mi dà pace! Anzi, già mi sto eccitando a pensare alla prossima volta…”
“Bene, possiamo andare” disse ad alta voce, “non vedo l’ora di individuare un altro bel tipo e un altro posto che faccia al caso mio!”
E si incamminò allegramente lungo il sentiero che discendeva la collina.

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