La conchiglia di Venere

“Ha già visto il nostro Centro benessere?”. La ragazza della reception gli sorrideva cordialmente da dietro le lenti grandi e spesse che dilatavano in maniera innaturale i suoi occhi azzurri, già cerchiati da un trucco scuro e pesante.
“No… non sapevo che ne aveste uno.”
“Ci faccia un salto: è molto bello. Quando è in ascensore deve premere il tasto con scritto meno uno.”
“Beh… magari domattina. La cena era eccezionale ma mi ha messo k.o.”
“Intanto può studiarsi il nostro depliant”, disse la ragazza porgendogli un opuscolo lussuoso, di carta lucida e pesante, che catturava immediatamente lo sguardo con l’immagine di un corpo di donna dalle forme gradevoli, completamente nudo, adagiato sul bordo di una grande vasca in cui l’acqua ribolliva e spumeggiava. “Troverà elencati tutti i servizi del Centro con i relativi prezzi”, aggiunse.
“Grazie. Gli darò un’occhiata” rispose senza troppa convinzione, ritirando la chiave della stanza e avviandosi verso l’ascensore. “Buonanotte!”
“Buon riposo, signore! Se ha bisogno di qualcosa mi chiami al telefono: faccio io il turno di notte.”
Bisogno di qualcosa? Cos’era, un’allusione? No, l’albergo era troppo serio, che diavolo andava a pensare. La ragazza cercava solo di mostrarsi professionale. Lui comunque di qualcosa aveva bisogno: una bella dormita. La cena gli aveva dato il colpo di grazia. Una giornata intera di incontri, discussioni, a sorbirsi pazientemente le astruse istruzioni dei capi sulle nuove tecniche di vendita. Il marketing! Parola magica! Aria fritta mimetizzata dietro termini tecnici americani. Ne conosceva solo una di tecniche: azzannare il cliente e non lasciarlo. Finora aveva dato buoni risultati: lui era uno dei migliori, lo sapeva bene. Ma ora l’azienda annusava un pericoloso odore di recessione, le alte sfere erano entrate in fibrillazione e avevano sguinzagliato i capi area con il compito di stimolare quelli che come lui combattevano in prima linea, recuperare i demotivati, aggiornare la vecchia guardia che si era adagiata sul suo mediocre fatturato e, di questo era più che sicuro, individuare chi era scarsamente produttivo, irrecuperabile, per farlo semplicemente fuori. Che ambiente schifoso! L’unica cosa che contava era il profitto, gliel’avevano ripetuta mille volte quella parola. E affinché quegli stronzi del consiglio d’amministrazione non soffrissero troppo esaminando i bilanci, lui doveva vendere, vendere, vendere sempre di più, vendere in un mercato già saturo, dove la concorrenza non aveva ormai più leggi, vendere frigoriferi agli eschimesi: già aveva dovuto sorbirsi anche questa vecchia battuta in risposta alle sue obiezioni. Roba da non credere alle proprie orecchie.
Entrò nella sua stanza e si buttò sul letto. No, non doveva addormentarsi così. Si fece forza e si spogliò. Andò nel bagno, dove si lavò alla meglio e si liberò con grande soddisfazione di un’impressionante quantità di liquidi, indossò il suo pigiama preferito, fresco e setoso, che gli procurò un’immediata sensazione di benessere, e si sdraiò nuovamente sul letto.
Stava allungando una mano verso il telecomando per accendere il televisore e fare un giro di canali quando lo sguardo gli cadde sull’opuscolo del Centro benessere. Indugiò un attimo sulla figura della donna in copertina, ammirando la levigatezza del corpo perfetto, poi sfogliò frettolosamente le pagine. I servizi erano prevalentemente indirizzati alle signore: venivano offerti costosissimi pacchetti settimanali che comprendevano una serie impressionante di trattamenti, dalla visita specialistica dietologica o dermatologica a massaggi di vario genere con applicazione di creme, essenze e altre diavolerie vendute a peso d’oro. In una pagina però c’era anche la foto di un signore dall’aria soddisfatta che prestava il corpo seminudo e non più giovanile alle abili mani di una sorridente massaggiatrice in camice bianco. “Lasciatevi andare al magico contatto dello shiatsu”, recitava la didascalia, “per recuperare l’armonia del corpo e liberare la mente.” Beh… se la massaggiatrice era quella della foto non era una cattiva idea farsi manipolare un po’ da lei, male non poteva fare. Anche se credeva poco in queste terapie alternative, era attirato dall’esperienza del massaggio, che non aveva mai provato, e forse questa era la volta buona: chissà che effetto faceva trovarsi in quella situazione così intima con una ragazza, le sue carezze e i suoi palpeggiamenti sarebbero stati rilassanti o eccitanti? E se non fosse riuscito a controllare un’eventuale erezione, coperto solo da uno slip o da un asciugamano? Che figura avrebbe fatto? Beh, mica poi tanto brutta! Ridacchiò al pensiero della faccia che avrebbe potuto fare la ragazza… ma le immagini erano già sfocate e semicoscienti: il sonno mise fine a una giornata da dimenticare.

 

Ma com’era potuto accadere? A tutto avrebbe pensato fuorché a un licenziamento. Sì, qualcosa nell’aria c’era, ma non pensava toccasse proprio a lui. “Mi dispiace signor Valentini, ma le sue ultime performance e il colloquio di ieri ci hanno forzatamente portato a un giudizio negativo. Si aspetti al più presto una lettera formale dalla Società.” Bang! Colpito e affondato. E adesso? Con che coraggio l’avrebbe raccontato a sua moglie… quella megera… avrebbe riattaccato con le solite lamentele. Possibile che tu non abbia un po’ di iniziativa! Una persona del tuo valore! Vaglielo a spiegare che a una certa età non c’è più l’entusiasmo, l’impeto giovanile, che la stessa forza fisica ti abbandona e non sei più in grado di fare progetti, prendere decisioni importanti, avventurarti in terreni nuovi e ostili dove sono già a migliaia, più bravi, più inseriti e più agguerriti di te. La forza fisica… già… forse facevano bene e liberarsi di lui. Cominciava a essere pieno di malanni: la difficoltà di digestione, le giunture doloranti, l’abbonamento al mal di testa, il cuore che cominciava a perdere i colpi… e quella maledetta stanchezza cronica che lo opprimeva già appena sveglio e lo costringeva a trascinarsi lungo la giornata come un vecchio scaricatore che ha portato troppi pesi.
Si ritrovò quasi senza rendersene conto dentro l’ascensore dell’albergo. Stava per premere il pulsante del suo piano quando notò il luccicore della targhetta esplicativa posta accanto al piano –1. “Centro benessere” lesse ad alta voce, calcando sulle sillabe con un disperato tono sprezzante. Altro che Centro benessere! Anche il più esperto mago del fitness si sarebbe arreso di fronte alla sua desolante situazione. Scosse lentamente il capo fissando la moquette grigia che copriva il fondo dell’ascensore, incerto sul da farsi.  Perché no? Ormai non aveva più niente da perdere. Un’occhiata al piano interrato lo avrebbe distratto. Chissà forse avrebbe incontrato la ragazza dello shiatsu: quella l’avrebbe tirato su di morale anche senza massaggio! Premette il pulsante –1.
Le porte scorrevoli dell’ascensore si aprirono su un ampio ambiente rischiarato da una luce diffusa di tonalità azzurrina. Fece alcuni passi e si ritrovò al centro di un atrio esagonale da cui si dipartivano alcuni corridoi. Porte bianche, dalle cornici bianche, si aprivano sulle pareti, bianche anch’esse, creando una sensazione vagamente irreale, ma il giallo intenso del soffitto e il mosaico azzurro del pavimento, al centro del quale spiccava una grande figura di sirena sorridente, creavano un gradevole effetto di limpida quiete. L’impressione di avere d’un tratto cambiato mondo era accentuata dal fascinoso sottofondo creato da una musica discreta, ariosa, dalle seducenti modulazioni orientali. Il sommesso borbottio di un getto continuo di acqua corrente completava l’effetto straniante. Si guardò intorno per individuare l’origine di questo suono e vide in una nicchia una statua di marmo di gusto estremamente raffinato, una giovane donna, coperta solo di veli, che versava l’acqua da una brocca in una grande conchiglia dal fondo rivestito di uno smalto verde pallido.
“Buon giorno! Posso esserle utile?” La voce della ragazza l’aveva colto di sorpresa. Era giovane e carina, con due fossette ai lati della bocca e due grandi occhi scuri e luminosi che accentuavano il suo atteggiamento cordiale.
“Ma… veramente… volevo solo dare un’occhiata per curiosità… Non avevo mai visto uno di questi centri. E’ molto bello qui.”
“Sì, restano tutti colpiti la prima volta. La signora ha curato tutto di persona, nei minimi particolari. Se vuole le mostro le nostre attrezzature.”
“Beh… devo essere sincero: non volevo solo curiosare”, l’aspetto simpatico della ragazza gli aveva messo coraggio e lo induceva a prolungare la sua permanenza in quel luogo confortevole. “Ero tentato da una seduta di massaggio: lo shiatsu, in particolare.”
“Allora bisogna che la faccia parlare con la signora. Venga.”
“E chi è questa signora?” chiese seguendola.
“E’ la nostra titolare. E’ una donna eccezionale, vedrà. Ha ideato lei questo posto ed è preparatissima in tutti i nostri campi: la dietetica, le cure estetiche, la fisioterapia. Non si faccia scrupolo di esporle tutti i suoi problemi.”

Bussò a una delle porte e lo introdusse in una piccola stanza con un cenno di saluto.
Si aspettava una specie di estetista dal largo sorriso e dal rossetto in tonalità squillante, chissà perché, e quindi la figura di donna, seduta dietro la splendida scrivania in noce, lo trovò impreparato. Restò un attimo a fissarla, senza sapere cosa dire o fare, ma fortunatamente lei prese l’iniziativa.
“Buon giorno!” disse. “Si accomodi. Lei è un cliente dell’albergo?” La tonalità calda e carezzevole della voce coincideva perfettamente con l’aspetto e lo completava, come il tassello finale che dà vita e calore ad una intera composizione. Parlando, con un gesto elegante spostò dal viso i lunghi capelli neri che le fluivano sopra le spalle: la scriminatura netta e chiara che li divideva alla sommità del capo li faceva assomigliare a quelli di una maga o di una regina del passato. L’effetto era accentuato dal profondo bagliore blu degli occhi e dal candore della pelle, su cui spiccava il color prugna con cui aveva evidenziato le labbra piene, leggermente stirate da un sorriso che voleva essere cortese ma restava essenzialmente enigmatico. Valentini si sedette imbarazzato, imponendosi di guardarla in quegli occhi incredibili.
“Sì, sono qui da qualche giorno. Ieri mi hanno dato il vostro opuscolo e mi sono incuriosito…”
“Si tratta solo di curiosità oppure… si è reso conto che ha bisogno di qualcosa per uscire da una situazione spiacevole?”
Accidenti, quella gli leggeva dentro! Aveva smesso di sorridere e ora lo guardava con aria indagatrice.
“Beh… veramente sono un po’ in crisi. Anzi diciamo pure che sto attraversando un brutto momento…”
“Signor Valentini, non abbia timore di aprirsi con me: io posso aiutarla.” Ma come faceva a sapere il suo nome?  Ora lo sguardo della donna si era fatto più morbido. “ Lei è arrivato al capolinea” soggiunse con un sospiro. “Si è guardato allo specchio in modo obiettivo ultimamente? No, vero? Era troppo preso dai suoi impegni. Consenta allora a me di esaminarla e mi permetta di dirle come stanno le cose, anche se dovrò essere un po’ brutale.”
“Va bene…” riuscì a dire con un sorriso forzato, cercando di nascondere il proprio disagio.
“Il suo atteggiamento generale è quello di un uomo sconfitto: spalle curve, testa china, passi trascinati… e questo è solo la spia esteriore di una sofferenza sia fisica che psichica. Il colore della sua pelle, i suoi occhi spenti mi fanno pensare che il suo organismo sta dando fondo alle ultime energie. E su questa base pericolante deve essersi abbattuta anche qualche circostanza fortemente negativa. Sbaglio?”
Valentini si agitò sulla sedia. Che fare? Reagire con una battuta? Mettere quella donna al suo posto con una risata scettica? Perché? Aveva azzeccato in pieno… gli aveva letto dentro come in un libro…forse poteva veramente dargli qualche buon suggerimento…
“Lei è una maga!” disse allargando le braccia con aria rassegnata. “Neanche io avrei potuto descrivere meglio la mia situazione. Naturalmente non voglio annoiarla con i particolari… Passiamo subito alla fase costruttiva invece: cosa posso fare nel vostro Centro per tirarmi un po’ su?”
“Fortunatamente lei ha ancora dello spirito” disse esibendo nuovamente il suo enigmatico sorriso. “Mi sembra di aver sentito che lei era interessato allo shiatsu: non è una cattiva idea, per cominciare. Ma poi dovremo ricorrere a qualcosa che lavori più in profondità, qualcosa di risolutivo, qualcosa di …scioccante, che le dia una stimolazione abbastanza forte da farla uscire da questa penosa situazione. Penso che le farò provare l’esperienza suprema della Conchiglia di Venere.”
“La Conchiglia di Venere? E che cos’è?”
“Non si spaventi” rise lei. “Si tratta solamente di una vasca idromassaggio di mia invenzione. Con l’aggiunta di altri ingredienti benefici: musica, essenze, aromi… vedrà, le piacerà! Ora chiamo Roberta” disse allungando una mano verso il telefono. “E’ una delle nostre migliori massaggiatrici. La affiderò alle sue mani.” Spinse un tasto e accostò il telefono all’orecchio, chinandosi leggermente di lato per scostare i capelli. “Roby? Ti mando un signore… Cosa? Oh no! Me ne ero completamente dimenticata… non preoccuparti… sì, ci penso io… Mi dispiace” disse nuovamente rivolta a lui, “Roberta ha un impegno. Fortunatamente io sono libera e il trattamento potrà farlo con me.”
Si alzò mettendo in mostra una figura snella ed elegante fasciata da una gonna lunga e attillata la cui stoffa imitava i colori caldi e le screziature di un felino non ben definibile. Sulla parte superiore del corpo si drappeggiava invece un’ampia camicetta lucida e nera, con le maniche lunghe fermate da stretti polsini. Sul davanti, una fila di eleganti bottoni per metà slacciati formava una generosa scollatura e permetteva di ammirare, appeso a una spessa catena d’oro, un gioiello di pregevole fattura, un “occhio di Horus” egiziano che gareggiava in splendore con la pelle candida su cui appoggiava. Il movimento della stoffa leggera, discreto ma inequivocabilmente libero e ondeggiante, lasciava intuire l’esistenza di un seno prorompente, non costretto da alcun indumento.
“Venga. Katia, la ragazza che ha già conosciuto, l’accompagnerà in uno dei camerini e le procurerà l’occorrente. Io la raggiungo subito.”
Lui si limitò a sorridere. Stava sicuramente facendo la figura dello stupido, ma quella donna lo aveva affascinato e sembrava avergli tolto la capacità di parlare. Katia accorse premurosa.
“Accompagna il signor Valentini al numero tre. Tra circa un’ora puoi preparare la Conchiglia di Venere.”
Katia gli fece strada e lo introdusse in una stanzetta spoglia con un ampio materasso blu al centro. Dall’alto pioveva la solita luce azzurrina e da un punto non definito si diffondevano, appena percettibili, le piacevoli note di un pianoforte. Sembrerebbe Richard Clyderman, pensò lui, lo stile è inconfondibile. Alle pareti grandi pannelli riproducevano luminosi e sereni paesaggi di carattere vagamente orientale e toglievano alla stanza la sensazione di freddo e angusto. Un aroma dolciastro di spezie esotiche aleggiava nell’aria: dopo poche inspirazioni sembrava già di provare un lieve senso di ebbrezza.
“Può cambiarsi qui dietro” disse Katia indicandogli un ampio paravento di seta bordeaux. “Deve togliersi tutto e indossare lo slip nero e le ciabatte di corda. L’accappatoio le servirà dopo per l’idromassaggio. Le auguro una piacevole seduta.”
Sgusciò fuori con un ultimo sorriso e lo lasciò solo. Lui eseguì scrupolosamente le istruzioni, togliendosi gli abiti e indossando lo slip messo a disposizione dal Centro. Gli stava abbastanza bene ma lo faceva sentire comunque leggermente in imbarazzo. La porta si aprì quasi subito ed entrò la signora. Aveva abbandonato l’elegante tenuta di prima, camminava a piedi scalzi e indossava solamente un corto camice bianco, incrociato sul davanti e stretto da una cintura annodata come quello dei lottatori di judo. Con una sostanziale differenza: questo lasciava scoperta gran parte della coscia, insinuando il sospetto che la nudità continuasse oltre l’orlo del camice e creando un effetto ai limiti della decenza. Valentini deglutì e maledisse se stesso perché non riusciva a produrre altro che il solito mezzo sorriso da deficiente. Oltre tutto non riusciva a staccare lo sguardo dal punto in cui la coscia scompariva invitante sotto il camice e gli occhi della donna sembravano fissarlo con espressione di compassionevole rimprovero.
Ancora una volta fu lei a toglierlo dall’impaccio.
“Venga, si sdrai. Devo dirle prima qualcosa.” Si sedette vicino a lui sul materasso con le gambe raccolte di lato e appoggiandosi su una mano. “Durante il trattamento con lo shiatsu si instaurerà tra di noi un profondo rapporto mediante il contatto. Questo contatto non sarà soltanto fisico, perché, attraverso le mani, il mio sistema energetico entrerà in comunicazione col suo. Nella nostra società siamo poco abituati a sentire con le mani perché l’organo della vista è il privilegiato: se vuole potrà aiutarsi chiudendo gli occhi. Lei mi sentirà effettuare delle pressioni statiche sul suo corpo con varie parti del mio: dita della mano, gomiti, ginocchia. Queste pressioni verranno esercitate su determinati punti che si trovano lungo quelli che la medicina tradizionale cinese chiama canali energetici: in questo momento non mi sembra il caso di darle una spiegazione più approfondita. Qualche domanda?”
“Sì, posso parlarle durante il trattamento?”
“Certo, se questo può aiutarla a stare rilassato. Preferirei però che si concentrasse sulla respirazione. Conosce la respirazione addominale?”
“Mi sembra di sì. Una volta mi hanno spiegato la differenza.” Si concentrò un attimo e cercò di sollevare solo l’addome mentre respirava.
“Bravissimo. Ora si metta in posizione prona.”
Iniziò il trattamento inginocchiandosi accanto a lui e ponendo la mano destra sulla sua zona lombare. Poi scese verso l’osso sacro e contemporaneamente si appoggiò con la sinistra a lato della colonna vertebrale. Valentini sentì la sinistra scendere e il peso della donna spostarsi alternativamente da una mano all’altra. Tutto avveniva molto lentamente e gradualmente, producendo una innegabile sensazione di benessere. Si lasciò andare completamente all’abilità di quelle mani che percorrevano tutto il suo corpo dosando la pressione e i tempi. Dimenticò persino di sbirciare con la coda dell’occhio le cosce nude che, a tratti, si alzavano e premevano contro il suo fianco: circostanza che in un primo momento gli aveva procurato una notevole agitazione. Sentì la mano sinistra continuare il suo percorso lungo la parte posteriore delle gambe, fino alla caviglia e al piede, poi le mani si scambiarono di posto e ripeterono la sequenza. A questo punto, senza mai perdere il contatto fisico, la donna cambiò la sua posizione, portandosi davanti alla sua testa e cominciando a premere con i pollici la zona intorno alle scapole. Aprì gli occhi. Incredibile! La coscia che prima si sforzava di sbirciare era lì, davanti al suo naso, appoggiata contro la sua fronte. Sogghignò: era veramente troppo! Cominciò a vedere la cosa dal lato comico: quella seduta di massaggio si stava rivelando veramente spassosa. Si rilassò ulteriormente e si preparò a godersela fino in fondo.
“Ora mettiamoci in posizione supina.” Accidenti, si stava quasi appisolando! Quel gioco di movimenti e pressioni era talmente gradevole… A parte quando gli aveva pizzicato i glutei e aveva provocato una corrispondente contrazione ai testicoli! Si era trattenuto a stento dal ridere… Si girò ubbidiente a pancia in su. Ora si sentiva più esposto e indifeso. La donna gli prese la testa e la appoggiò sulle proprie ginocchia, esercitando la pressione delle singole dita su tutto il viso, sul cranio, sul collo. Poi si portò di nuovo di fianco a lui e prese a trattargli le mani, le braccia, il torace. Lui si sforzava di tenere gli occhi chiusi: temeva quello che avrebbe potuto vedere aprendoli. Lei era sopra di lui, esposta al suo sguardo, probabilmente quando si chinava per esercitare maggior pressione i loro visi erano a meno di mezzo metro… Devo farmi coraggio… Darò un’occhiata esplorativa, rapida, poi chiuderò di nuovo gli occhi… E dài, cosa ci vuole…
Neanche a farlo apposta si trovò di fronte quell’abbagliante sguardo blu. Lei gli sorrise e lui si sentì puerilmente felice, come dopo un appagato risveglio illuminato dal primo sole. Distolse gli occhi e azzardò un’occhiata verso il basso. Fu come ricevere un colpo in pieno stomaco: la cintura del camice si era allentata e all’incrocio dei due lembi, che si aprivano come una vu rovesciata sulle cosce, lo sguardo sprofondava in una nicchia ombrosa i cui colori e i cui riflessi non lasciavano dubbi. La donna era nuda! Chiuse gli occhi un attimo e li riaprì con cautela. Ora lei stava premendo col palmo delle mani sul suo torace e il seno abbondante dondolava, affacciandosi ritmicamente alla scollatura del camice. Era veramente troppo! Non era mica un santo! Sentì che stava perdendo il controllo del proprio respiro e del suo corpo…
“Oh, no!” disse lei raddrizzando il busto e stringendo automaticamente la cintura. “Lei ha perso la concentrazione! L’ ho sentita improvvisamente irrigidirsi: che cosa è successo?”
“Ma… non saprei… forse mi sono messo a pensare…” Cosa faceva? Lo prendeva in giro? Possibile che non si rendesse conto?
“Peccato! Ero riuscita a sciogliere tutte le sue tensioni, eravamo molto vicini a un riequilibrio energetico. Fortunatamente la seduta era quasi al termine.” Si alzò e si avviò verso la porta. “Si metta l’accappatoio e aspetti un attimo qui: Katia verrà subito e l’accompagnerà alla Conchiglia di Venere.”
“Ma…” Avrebbe voluto dire… chiedere… quando possiamo rivederci, cioè… fare un altro trattamento… Era già uscita, scivolata fuori leggera e graziosa come una ballerina, veloce come un fantasma.


 

“E questa è la famosa Conchiglia di Venere!” disse Katia allegramente, mentre le sue simpatiche fossette ai lati della bocca diventavano ancora più accentuate. Si fece da parte per lasciarlo entrare in un piccolo ambiente che prendeva luce da una grande vetrata, dietro la quale però probabilmente non c’era il sole ma una potente lampada alogena. L’effetto era comunque suggestivo, visto che le ampie lastre di vetro erano dipinte con motivi floreali dai colori vivaci e lavorate in modo da non lasciar trasparire quello che si trovava al di là. Il pavimento era quasi interamente occupato da una grande vasca che imitava perfettamente la conchiglia riprodotta da Botticelli nel famoso quadro degli Uffizi, già ricolma di un’acqua limpida e azzurrina che mille getti d’aria nascosti facevano ribollire in modo invitante. Era collocata ad una certa altezza rispetto al livello del pavimento e alcuni gradini in marmo rosa che le correvano tutt’intorno consentivano di immergersi agevolmente. In un angolo della stanza un tavolinetto ricoperto da una tovaglia bianca era ricolmo di flaconi, vasetti, bottigliette colorate. Su una mensola, a fianco del tavolinetto, un apparecchio color alluminio, dal frontale simile a quello di un grosso impianto stereo, brillava di numerose spie ammiccanti: doveva essere una specie di ponte di comando della conchiglia, evidentemente più complessa di quello che sembrava. Katia infatti vi si accostò e, con gesti rapidi e sicuri, cominciò ad armeggiare con diversi pulsanti.
“Può togliere l’accappatoio ed entrare nella vasca” disse. “E’ meglio che si liberi anche dello slip: non faccia caso a me, ci sono abituata” aggiunse in tono disinvolto.
La temperatura dell’acqua doveva essere molto vicina a quella corporea: si provava una piacevole sensazione di fresco senza rabbrividire. Si immerse quasi completamente, lasciando fuori il capo che appoggiò ad un apposito sostegno. Due maniglie da ambo i lati consentivano di afferrarsi e contrastare il moto vorticoso dell’acqua che tendeva a sollevare il corpo. Intanto Katia, azionando i relativi comandi, aveva abbassato le luci e diffuso nell’aria, da invisibili vaporizzatori, un gradevole aroma che ricordava il gelsomino e altri profumi non ben identificabili. Con un attacco talmente sfumato da essere inavvertibile, aveva avuto inizio anche un brano musicale di grande suggestione, con note basse tenute a lungo, l’assolo toccante e appassionato di uno strumento a corda esotico, probabilmente un sitar, e persino qualche strido di gabbiano. Infine si accese una luce verdastra all’interno della conchiglia, proprio sotto di lui, dando all’acqua una luminosità fosforescente.
“Tutto o.k.?” chiese Katia avvicinandosi. “Sta comodo così?”
“Sì. E’ bellissimo…”
“Bene, ora la lascio solo. Per qualsiasi necessità può chiamarmi azionando questo pulsante” disse indicando un bottone sul bordo della vasca. Poi, abbassando la voce e appoggiandogli una mano sulla spalla, aggiunse: “Si lasci andare completamente.  Non pensi a nulla. Oppure, se non riesce, lasci che i pensieri fluiscano liberamente. Ci vediamo più tardi.”
Beh, tutto sommato era solo una vasca con idromassaggio. Sì, molto bella, ambientata in maniera originale, ma niente di più. Però la signora era notevole… la signora… non gli aveva detto neanche il suo nome. Certo come massaggiatrice sapeva il fatto suo. E come donna… meglio non pensarci se no addio relax! Sicuramente sotto le apparenze ammaliatrici e ambigue, studiate a tavolino, è logico, si nascondeva un’imprenditrice coi fiocchi. Quella sapeva il fatto suo, eccome…
In un primo momento non se ne accorse. La pressione verso l’alto esercitata dai getti d’aria diveniva sempre più forte. Si tenne alle maniglie ma non servì a nulla: sentì il corpo elevarsi irresistibilmente. Porca puttana, cosa stava succedendo? Stava… stava alzandosi nell’aria… stava galleggiando nell’aria. No, non era possibile! Gli si affacciò alla mente una parola: levitazione. Sì era quello il termine giusto, ma, cazzo, non ci aveva mai creduto. Si sentì invadere da un’angoscia spaventosa. Era salito lentamente ma inesorabilmente fin quasi al soffitto… Ma no, doveva stare calmo, c’era sicuramente un trucco. In fondo la signora gli aveva accennato a un’esperienza fuori del comune… Però, che strano… non sentiva nulla che lo sostenesse… dove diavolo stava il maledetto trucco. Si fece coraggio e sporse la testa di lato per guardare in basso. Dio! No!
Aveva sempre considerato la parola orrore come un concetto letterario, come un aggettivo per definire un film, non aveva mai pensato che l’orrore potesse realmente esistere, riguardarlo da vicino e quindi fu colto impreparato quando lo sentì serpeggiare rapidamente sotto la pelle e nelle viscere, togliergli il respiro ed esplodere nel cervello. Serrò gli occhi in un primordiale automatismo di sopravvivenza ma la concitazione che gli scuoteva tutte le membra lo costrinse a guardare nuovamente, forse nell’illusione di aver visto male. E invece no: “lui” era ancora lì. Il suo corpo, lui stesso, in carne e ossa, galleggiava ancora mollemente nell’acqua, sospinto qua e là dall’idromassaggio come una barchetta di carta. Ma allora… chi c’era lassù, nell’aria… Alzò il capo per guardarsi, mosse le dita dei piedi, si tastò le gambe, la pancia… deglutì sconfortato: era tutto molto, molto concreto! Improvvisamente ogni rumore tacque, i getti dell’aria, la musica, il ribollire dell’acqua. Si guardò intorno con rinnovato senso di allarme. Doveva esserci un timer: sicuramente la ragazza aveva impostato un tempo massimo e il timer era scattato mettendo fine al trattamento. Dio ti ringrazio! Forse era terminato anche l’incubo. Il silenzio improvviso era rotto solo da un curioso suono di risucchio. Si fece coraggio e guardò ancora in basso: l’acqua stava rapidamente defluendo dal foro di scarico della vasca. Osservò con attenzione il suo corpo: che strano… man mano che il livello dell’acqua diminuiva sembrava quasi che i contorni del corpo divenissero fluttuanti, che le varie parti perdessero i loro confini precisi, i loro colori, per confluire in una massa informe, non più un corpo definito ma l’abbozzo vago di una figura umana. Non c’era dunque fine all’orrore, pensò disperato, quali altre immagini raccapriccianti doveva tollerare la sua mente già torturata? La figura, la “sua” figura non era ormai più che una poltiglia incolore che, seguendo il flusso dell’acqua e anzi, rimescolandosi con essa, veniva a poco a poco inghiottita dallo scarico, scomparendo infine completamente e lasciando solo l’eco di un ultimo osceno gorgoglio.
“Non stia lassù, scenda! La devo accompagnare dalla signora.”
Il tono allegro di Katia, la naturalezza della sua richiesta, così incongrua, lo lasciarono completamente sconcertato. Da solo non ce l’avrebbe mai fatta, ma quell’ordine dato con sicurezza lo costrinse ad ubbidire automaticamente. Si accorse che con la sola volontà poteva planare elegantemente, mettersi in posizione verticale e depositare se stesso in piedi dentro la vasca. Katia gli tese la mano e lo aiutò a uscire. Poi gli porse l’accappatoio e lo aiutò a infilarlo. Gli diede anche le ciabatte di corda intrecciata, che lui mise ubbidiente. Poi, come un burattino, seguì la ragazza fino alla stanza in cui, quanto tempo prima?, era stato ricevuto dalla signora.

 

La donna indossava di nuovo il sofisticato abbigliamento con cui l’aveva accolto la prima volta e lo fissava con uno sguardo penetrante, in cui sembrava brillare una sfumatura di divertita complicità.
“Allora, come si sente?”
Impossibile rispondere, impossibile articolare le parole o anche semplicemente trovarle nel buio della mente.
“Venga”, disse ancora la donna sorridendo più apertamente. Si alzò e si mise di fianco a un grande specchio appeso alla parete. “Si guardi allo specchio.”
Lui si alzò lentamente, si mise di fronte allo specchio e fissò lo sconosciuto che lo guardava. Notò che nonostante l’espressione un po’ impaurita era un bell’uomo, giovanile, piacente, con il corpo atletico. Guardandolo meglio, si accorse che aveva un’aria vagamente familiare, ma sì, era… incredibile: era lui da giovane!
“Che cosa è successo?” chiese con voce sommessa.
“Apra l’accappatoio”, insistette la donna, senza rispondere.
Lui si slacciò la cintura e mise allo scoperto dei muscoli sodi e guizzanti. La sua attenzione fu subito attirata dal pene di ragguardevoli proporzioni, che se ne stava acquattato minaccioso tra i peli pubici scuri e riccioluti. Non riuscì a trattenere un sogghigno. Si fissò di nuovo e vide che gli occhi avevano perso l’espressione impaurita. Tutta la sua figura si era fatta più eretta e sicura. Dietro di lui, riflessa nello specchio, la donna sorrideva quasi con orgoglio.
“Ho capito” disse richiudendo l’accappatoio, con una voce che aveva riacquistato fermezza. “Si tratta di una magia.”
“Non stia tanto a sforzarsi di trovare una spiegazione. Le avevo promesso che avrei risolto i suoi problemi, le avevo promesso un’esperienza unica… credo che la Conchiglia di Venere non sia stata inferiore alle aspettative.”
“Ma…”
“Niente ma, la prego. Non posso dirle nulla di più, mi creda. Stia bene attento a seguire le mie istruzioni piuttosto.” Il suo tono era divenuto pratico e sbrigativo. Prese una chiave dal cassetto della scrivania e soggiunse: “Il signor Valentini non esiste più. Questa è la chiave della sua nuova camera: vi troverà degli abiti nuovi, della biancheria, dei documenti intestati al signor Guido Gandolfi, la sua attuale identità. Mi sono permessa di scegliere io il nome. Nel suo portafogli troverà anche una carta di credito che le consentirà di accedere a un modesto conto corrente: quanto le basta per le prime spese e per poter iniziare un’attività. Con le sue capacità e le sue rinnovate energie non dubito che saprà rifarsi una vita. Qualche domanda?”
“Ma… che fine ha fatto Valentini… cioè… io”
“Valentini era la sua parte peggiore e noi l’abbiamo eliminata. Ufficialmente sarà dichiarato irreperibile… spero che sua moglie non soffra troppo…”
“Quella vipera! Sarà quasi contenta di essersi liberata di me! E’ già molto se le resta l’appartamento… Adesso che ci penso: dovrà mettersi a lavorare per vivere… Ah, ah! Questo mi diverte moltissimo!” Ritornò improvvisamente serio: “Ma… perché fa tutto questo? Cosa ci guadagna? Io non pago l’albergo, non pago il massaggio e lei invece mi apre addirittura un conto corrente…”
“Eh! Ci risiamo con le domande!” disse lei in tono di rimprovero. “Le ho detto di non preoccuparsi di nulla e di non porsi troppi problemi. Faccia conto che io sia una benefattrice. Per quanto riguarda il conto dell’albergo di Valentini e delle sedute nel Centro, comunque, penso le farà piacere sapere che il conto sarà mandato… alla vedova.”
“No… questo è il particolare più gustoso di tutta la faccenda!”
“Su, se ne vada ora. E se in futuro sentirà il bisogno di un massaggio shiatsu si ricordi del nostro Centro…”
Lui ebbe la rapida e molto realistica visione della donna con l’accappatoio semislacciato, le pallide sfere dei seni che ondeggiavano gonfie e morbide, la zona d’ombra calda e misteriosa tra le cosce.
“Su questo ci può contare” disse con convinzione sprofondando per un attimo negli impossibili occhi blu, che risposero al suo sguardo con un brillio impudente. O era solo un’impressione? 

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