Il diritto di morire

Il professor Fabrizio De Francisci si alzò lentamente dalla sedia, appoggiò le mani sulla cattedra e percorse con uno sguardo amichevole il discreto gruppo di studenti che stava seguendo le sue lezioni, soffermandosi su alcuni che sedevano in prima fila e che si distinguevano dagli altri per l’interesse che dimostravano. Aveva già memorizzato, e quindi li individuò facilmente, alcuni visi che avevano un’espressione sempre molto attenta, che la voglia di imparare rendeva curiosi e  vivaci. Una ragazza in particolare, che tra l’altro era piuttosto piacente, lo fissava negli occhi per tutta la durata delle lezioni, come se volesse impadronirsi non solo di tutto ciò che spiegava ma anche di tutto l’amore, la dedizione, la passione che egli tributava alla sua dea personale: la scienza. Lo guardava ammirata, un tantino provocatoria: se fosse stato più giovane, avrebbe pensato che la ragazza volesse addirittura sedurlo…

Si schiarì la voce e cominciò.

 «Abbiamo visto nella precedente lezione come, al momento del concepimento, una cellula germinale maschile, spermatozoo con 23 cromosomi, si fonde con una cellula germinale femminile, uovo con 23 cromosomi, per originare un nuovo individuo con 46 cromosomi. Quindi, ogni individuo è costituito da metà patrimonio genetico  ricevuto del padre biologico e da metà patrimonio genetico  ricevuto della madre biologica. Questo patrimonio, o DNA, rimane invariato per tutta la vita. Abbiamo spiegato come in esso risieda l'informazione genetica che presiede alla sintesi delle proteine che organizzano le cellule. Come sapete, il tratto di DNA che contiene un'informazione genetica viene definito gene,  forme alternative dello stesso gene vengono definite alleli. Un gene che mostra più alleli viene definito polimorfico. Il polimorfismo è importante perché consente di determinare  il profilo genetico, profilo che è praticamente unico per ciascun individuo, come le impronte digitali. Questa caratteristica è alla base della metodologia utilizzata per determinare se due persone sono correlate geneticamente.»

Il professor De Francisci fece una pausa per accertarsi che tutti avessero ben recepito questa breve sintesi degli argomenti già trattati.

«Vedremo oggi come si effettua la  determinazione del profilo genetico di un individuo. Essa si basa sulla genotipizzazione di 9-15 regioni del DNA, altamente polimorfiche, dette “microsatelliti” o STR, acronimo di Short Tandem Repeat.

Dopo un’ apposita reazione di amplificazione enzimatica, che serve ad avere materiale sufficiente per l’esame e che vedremo in seguito più dettagliatamente, il profilo genetico viene determinato automaticamente mediante l'impiego di un sequenziatore automatico a tecnologia fluorescente.
I frammenti di DNA amplificati sono separati per dimensione e il risultato che si ottiene assomiglia a un codice a barre, in cui ogni allele, cioè la variante del gene, è una barra e la differenza di dimensione fra alleli diversi è rappresentata da una distanza variabile fra le barre. Ora vi proietterò una sequenza di immagini e di schemi che vi aiuteranno a visualizzare meglio quanto abbiamo detto.»

 

 

 

Camilla seguiva attentamente la lezione senza prendere appunti: era talmente affascinata dagli argomenti trattati che la sua mente registrava in modo indelebile ogni minimo particolare. Ma c’era anche un incentivo in più a venirle in aiuto. Gli studiosi di tecniche mnemoniche sostengono, fin dall’antichità, che associare ciò che si deve memorizzare a un fenomeno o a un evento che avviene in parallelo costituisce uno dei migliori fissatori del ricordo. Camilla applicava perfettamente e quasi senza rendersene conto questa tecnica: ogni lezione era indissolubilmente legata all’ immagine del professor De Francisci, e questa immagine aveva per lei una fortissima valenza sentimentale. Sapeva bene che si trattava di una grossa sciocchezza: realtà e letteratura erano piene di romantiche fanciulle innamorate del loro insegnante. Ma lei non poteva farci niente: quell’uomo, sia pure molto anziano, rappresentava il suo ideale maschile. Riusciva quasi a non vedere l’enorme differenza di età e si perdeva ad ammirare, mentre seguiva le sue spiegazioni, la signorilità del portamento, il fisico ancora prestante, lo sguardo brillante di acume, i capelli bianchi che scendevano elegantemente sulle spalle.

Accidenti! Si era distratta un attimo... Vide gli altri alzarsi e dirigersi ordinatamente all’uscita. Qualcuno si fermò a chiedere qualcosa al professore e lui rispose come sempre con molta gentilezza. Alle sue spalle i suoi immancabili accompagnatori: due giovani eleganti che lo seguivano dovunque e che ora attendevano pazientemente per scortarlo all’uscita e poi chissà dove. Gli studenti erano stati inizialmente molto incuriositi da questi due personaggi e avevano fatto varie illazioni, alcune maliziose o addirittura malevole, ma avevano poi finito col perdere ogni interesse. Lui aveva detto che erano suoi collaboratori, ma avevano piuttosto l’aspetto di guardie del corpo.

Camilla si decise finalmente ad alzarsi e ad andarsene: l’aula era ormai quasi deserta e la sua presenza si stava facendo imbarazzante. Lanciò un ultimo sguardo a De Francisci, accennando un saluto col capo e lui le rispose con un sorriso.

 

 

 

Alcuni mesi dopo

 

L’aula d’esame era ricavata da una delle tante sale del grande palazzo cinquecentesco che ospitava la facoltà, con le ampie volte a vela e gli affreschi ben conservati che creavano un ambiente di grande suggestione.

«Complimenti signorina Marescalchi, vedo che gli argomenti di questo corso l’hanno appassionata. L’esame è stato molto brillante...»

Camilla era sopraffatta dall’entusiasmo, si sentì avvampare il volto e guardò il professor De Francisci senza trovare la forza di pronunciare qualche parola di ringraziamento, ma lui, perspicace come sempre, intuiva perfettamente il suo imbarazzo e distolse lo sguardo, sfogliando un fascicolo che aveva davanti.

«Ho trovato interessante anche la sua tesina. Ha fatto un buon lavoro, andando anche oltre quello che ragionevolmente si pretendeva da lei. Ho trovato le sue considerazioni sul DNA mitocondriale molto brillanti, anzi direi che alcune idee possono considerarsi piuttosto innovative...»

Camilla guardò gli altri membri della commissione, e vide sul viso di tutti un’analoga espressione di apprezzamento. Deglutì e si sforzò di reagire.

«La ringrazio professore... lei è troppo buono... Ma questa materia mi affascina e mi è venuto spontaneo approfondirla.»

«Lei ha già deciso con chi fare la tesi?»

«No... non ancora...»

«Bene! Se le interessa venga a trovarmi nel mio orario di ricevimento e ne parliamo. Mi piacerebbe che una persona brillante come lei collaborasse con me.»

Camilla si sentì soffocare dall’emozione. Era veramente troppo. Prima l’esame e i complimenti della commissione. Poi questa inattesa proposta da colui che ammirava di più in assoluto, come docente e come uomo. Si alzò malferma sulle gambe, riuscì a borbottare un incomprensibile “va bene”, strinse le mani a tutti e finalmente uscì nel corridoio affollato. Il variopinto baccano degli esaminandi si confuse nella sua testa col sibilo insistente che stava aumentando di intensità nelle sue orecchie. Doveva uscire in fretta, aveva bisogno d’aria. Si liberò a fatica di alcuni compagni che le chiedevano informazioni sull’esame e sulle domande che le erano state poste, abbracciò frettolosamente un paio di amiche, scese le scale di corsa e si ritrovò infine nel cortile della facoltà. Tirò un sospiro di sollievo. La felicità la faceva sentire leggera. Dio mio, pensò, non ci credo... lavorerò insieme al professor De Francisci! Non è possibile che tutto questo stia accadendo... è troppo bello!

 

 

 

«Buon giorno professore. E’ qui per la terapia?»

«Purtroppo sì...»

«Purtroppo?  Come mai oggi è così di malumore?»

«Caro Grimaldi... questa storia comincia a stancarmi. E mi piace sempre meno.»

«No, non dica così. Cosa potrebbe desiderare di meglio? Ha ottant’anni e non ne dimostra neanche settanta, ha il fisico di un giovane e gode di una salute invidiabile. E poi è stato proprio lei a scoprire che bloccando il gene P66 si sarebbe allungata la vita.»

«Sono già pentito di questa scoperta... e non siamo che all’inizio...»

Grimaldi, un uomo elegante, con un impeccabile abito grigio che non riusciva a nascondere uno stomaco prominente, guardò il professor De Francisci con attenzione. Il suo sguardo si era improvvisamente indurito dietro le lenti dalla leggera montatura d’oro. Prese gentilmente, ma con fermezza, il gomito del suo interlocutore.

«Venga un attimo nel mio studio. Voglio scambiare due parole con lei.»

Lanciò un’occhiata penetrante ai due giovani che come sempre accompagnavano il professore.

«Voi aspettate qui.»

Grimaldi fece accomodare De Francisci in un luminoso studio arredato con pregevoli mobili d’antiquariato e lo invitò a prendere posto su una delle sedie poste di fronte a una monumentale scrivania. Prese una sigaretta da una scatola in cuoio, se la accese con calma, aggirò il tavolo e si decise a sedersi a sua volta su una severa poltrona dall’alto schienale.

«Non voglio farle perdere tempo professore... i nostri medici l’aspettano per il consueto appuntamento settimanale. Ma... comincio a preoccuparmi: non è la prima volta che la vedo titubante, scoraggiato...»

«Caro Grimaldi, lei è una persona intelligente... non penserà che io mi sottoponga a questi esperimenti in modo allegro e sconsiderato. Sono vecchio, stanco... la mia forzata vitalità si scontra con la mia coscienza, ogni volta il mio istinto mi grida  che è ora di farla finita.»

Grimaldi appoggiò un gomito sul bordo del tavolo e si sporse leggermente in avanti.

«Professore, devo ricordarle che lei ha preso un impegno con noi. La Fondazione che io dirigo ha investito un mucchio di denaro in questa operazione e dovrà ricavarne prima o poi un utile. Lei sa che i nostri soci, svizzeri e soprattutto americani, dirottano un’ingente quantità di fondi nelle nostre casse. Questo perché credono nell’importanza degli esperimenti che vengono condotti in questa struttura, ma soprattutto perché credono in lei.»

«Non mi faccia ridere! Credono nell’importanza dei soldi! E  vedono luccicare molto oro alla fine di questa storia...»

Grimaldi si agitò a disagio sulla poltrona.

«Non mi fraintenda professore. Non sono un ingenuo. Ma lei sa come me che gli investitori sono quelli che consentono a scienziati eccezionali come lei di avere fondi illimitati per le apparecchiature, per il personale, per realizzare progetti che resterebbero solo sogni.

Le sue intuizioni sul blocco del gene P66 non avrebbero portato da nessuna parte senza quei fondi e lei stesso se ne avvale prolungando il suo lavoro, la sua carriera, la sua fama per anni, anni che la natura non le avrebbe concesso.»

«Già... la mia scoperta si ritorce contro di me...»

«Via professore! Lasci perdere questa amarezza. Noi dobbiamo tenerla in vita. Abbiamo bisogno di lei. Non voglio adularla ma lei è l’unico in grado di portare avanti il nostro lavoro sull’invecchiamento.

Due anni fa, quando lei scoprì i polifenoli che allungavano la vita dei topi e di altri animali, tutti si buttarono sulla scoperta ma non vennero a capo di niente. Solo lei arrivò alla conclusione  che questi polifenoli  funzionavano attivando il gene SIRTI 1: non ha certo bisogno che io le rammenti che questo gene, oltre a rallentare l’invecchiamento, evita alcune malattie collegate, come il cancro e le cardiopatie. Dopo questo annuncio, come ricorderà, un anziano filantropo calforniano ci donò cinque milioni di dollari!

Questo ci consentì di fondare la Sirti Biofarma, che nel maggio scorso ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto che ha raccolto altri 62 milioni di euro. Il valore azionario è salito velocemente e anche lei, che detiene meno dell’1 per cento del pacchetto azionario, ha avuto una cospicua aggiunta al suo stipendio di professore universitario.»

«Grimaldi! Per favore! Lo sa che non mi importa niente dei soldi! E poi? Come vuole che me li goda? La vita ha ben poco da offrirmi... i viaggi, la buona tavola, le opere d’arte... ho perso interesse per tutto. Le donne? Mi sono sempre piaciute, non è un mistero, e mi piacciono ancora… ma non so cosa farmene! L’unico vero interesse che mi è rimasto è la ricerca.»

«Ma è proprio questo che vogliamo da lei! Che continui a fare quello che le piace di più. Nessuno dei suoi concorrenti è riuscito a riprodurre il lavoro che lei ha svolto in laboratorio. Solo lei ha le capacità e le intuizioni per arrivare alla fine di questo percorso...»

«La pillola dell’eterna giovinezza? Siamo seri! Sono riuscito a modificare alcune proteine mitocondriali associate alla produzione di energia. Niente di più. E a che prezzo? Mi tenete in vita come uno zombie, tra l’altro utilizzando una mia scoperta! Conduco una vita blindata, con due guardie del corpo che non mi abbandonano mai. Per la mia sicurezza, dice lei. Per la vostra, dico io, perché avete paura che vi scappi la gallina dalle uova d’oro.»

Grimaldi schiacciò il mozzicone di sigaretta in un lussuoso posacenere di cristallo. Controllava benissimo i suoi sentimenti. Si concesse una pausa.

«Facciamo così, professore: lei si impegni a trovarci qualcuno del suo valore, qualcuno in grado di proseguire in maniera autonoma i suoi esperimenti, lo allevi, gli insegni tutto quello che lei sa... a quel punto lei sarà libero di fare della sua vita ciò che vuole.»

De Francisci restò un attimo disorientato. Sapeva che quelli della Fondazione lo ritenevano insostituibile e che quindi la promessa di Grimaldi era puramente retorica. Però, chissà come, nell’esatto momento in cui il Direttore pronunciava quelle parole, si era accesa nella sua mente l’immagine della sua nuova collaboratrice, la neodottoressa Camilla Marescalchi. Sorrise tra sé: quell’immagina gli procurava uno strano calore. Fissò Grimaldi con rinnovata energia.

«Va bene. Accetto la scommessa. Si prepari a restituirmi la libertà.»

 

 

 

La dottoressa Marescalchi, seduta di fronte a un sofisticato modello di microscopio elettronico a scansione, era assorbita totalmente dalla manovra di innumerevoli pulsanti, interruttori, manopole e non sentì entrare il professor De Francisci.

Dava le spalle alla porta e il professore ebbe modo di indugiare un attimo ad ammirare le spalle erette, fasciate dal camice bianco, su cui scendevano morbidi e sinuosi i capelli di un biondo dorato che, come lei gli aveva assicurato una volta, era del tutto naturale. Dio, quella ragazza gli piaceva troppo! Doveva stare attento a mantenere le distanze, conosceva bene i pericoli delle infatuazioni senili... Ah, se solo avesse avuto trent’anni di meno... sarebbe stata la donna della sua vita... la donna che con uno sguardo ti riduce in sua schiavitù, ti prende per mano e tu la segui… non importa dove…

«Camilla! Ancora al lavoro?»

«Ah, professore... scatto un paio di foto e poi ho finito. Non sapevo che lei fosse ancora qui...»

«Ancora con questo “lei”... ma ti riesce tanto difficile darmi del tu?»

«Be’... sì, ho troppo rispetto per lei...»

«Ma, scusa, daresti del lei a tuo nonno?»

«Ancora con questa storia della vecchiaia... facciamo così: lei... tu la smetti di darti le arie da vecchio e io mi sforzo di darti del tu.»

«Affare fatto. Ma non sarà facile.»

«Ma no... perché? Io ti vedo giovane. Certo, i primi giorni... ma poi, lavorando insieme, prendendo confidenza, non mi sono più accorta della differenza di età. In fondo non sono solo i nostri corpi che si relazionano, c’è un incontro di idee, di modi di fare, di parlare, di filosofie di vita... Tu... sei molto più giovane di tanti ragazzi che io conosco...»

Parlando aveva scostato la sedia, si era alzata e gli aveva piantato addosso i suoi grandi occhi chiari. Era alta come lui, longilinea, ma il camice bianco si tendeva provocatorio su alcune curve dando alla figura un aspetto dolce e tenero. Per il professore era troppo, abbassò lo sguardo imbarazzato e finse un atteggiamento scostante che era ben lungi dal provare.

«Adesso basta dire sciocchezze! Spegni quell’aggeggio e andiamocene. Ti offro la cena.»

 

 

 

La cameriera in gonna nera attillata e camicetta bianca sistemò accanto al tavolo il secchiello del ghiaccio, stappò un’affusolata bottiglia di vino e ne versò una piccola quantità nel bicchiere di De Francisci. Il professore sorseggiò il vino, fece un segno di conferma alla cameriera, che riempì i bicchieri, e concentrò di nuovo la sua attenzione su Camilla.

«Il buon vino, insieme alla buona cucina, è una delle poche cose che ancora destano in me un certo entusiasmo: in questo caso un Pinot nero dell’Oltrepo pavese di grande raffinatezza… ti invito ad apprezzarne la freschezza e il delicato profumo floreale…»

Portò il calice alle labbra, annusò il contenuto e bevve a piccoli sorsi. Camilla lo imitò, guardandolo con una certa ironia al di sopra del bicchiere.

«Non avevo dubbi che tu fossi anche un intenditore di vini. Però stasera niente lezioni!»

Camilla sorrise al cerimonioso inchino di assenso del professore e si guardò intorno. Il minuscolo giardino in cui si trovavano e nel quale erano sistemati pochi tavoli di metallo verniciato di bianco, con graziose sedie ricoperte da cuscini, anch’essi bianchi, creava un angolo suggestivo che invitava a conversare a voce bassa. Le luci, sapientemente disposte all’interno di alcuni cespugli e tra le chiome degli alberi, diffondevano una luminosità piacevole ma un po’ irreale.

«Mi piace questo posto…»

«Ti ho portato qui perché ho delle cose da dirti, delle cose personali… e ho bisogno di un po’ di atmosfera che concili la meditazione. E la confessione.»

Camilla si fece seria e lo guardò con gli occhi attenti.

«Ehi… mi stai quasi spaventando… Deve essere qualcosa di molto importante.»

«Si tratta di una storia… deciderai tu se bella o brutta. Inizia con una domanda: quanti anni pensi che io abbia?»

«Ma… non mi sono mai posta il problema… Direi… tra i sessanta e i settanta…»

«Ne ho più di ottanta.»

«Ma… è incredibile… hai fatto un patto col diavolo!» Camilla era sbalordita.

«Già… solo che il diavolo sono io. Ti ricordi quando a lezione abbiamo parlato della P66Shc, la proteina che regola l’invecchiamento delle cellule?»

«Certo, è una tua scoperta. Sta scritto su tutti i libri»

«Come sai il suo funzionamento è semplice. La P66 ha il compito di ordinare la morte delle cellule, agendo dall’interno dei mitocondri durante la respirazione cellulare. Ma al contrario di quello che può sembrare, non si tratta di una proteina propriamente nociva: il suo compito è di regolare i cicli cellulari in modo da portare le cellule a uno stato degenerativo, e quindi di farci invecchiare, quando l’organismo non può più riprodursi. Dopo molte ricerche ho scoperto il modo di arrestare il suo lavoro e interrompere i suoi compiti.

Ma quello che la gente non sa è che io stesso mi sto sottoponendo alla sperimentazione degli inibitori della P66, nuovi farmaci molecolari che ne bloccano l'attivazione.»

Camilla era rimasta senza parole. Continuava a fissare il professore sforzandosi di assimilare quello che aveva appena sentito. Fortunatamente la cameriera si avvicinò per servirli: depositò davanti a ciascuno un invitante piatto in cui minuscole porzioni di pesci e molluschi di vario genere erano artisticamente disposte e decorate con gusto raffinato da verdure multicolori.

Camilla assaggiò un boccone e bevve un lungo sorso di vino per guadagnare tempo.

«Vuoi dire che… questi farmaci funzionano e che tu stai superando i limiti della natura. Le tue cellule sono vive e sane mentre erano condannate a morte…»

«Sì, è un grande successo, dovrei esserne fiero. Ma la storia non è finita. L’imprenditoria farmaceutica si è accorta delle enormi possibilità di questo settore: in un mondo di anziani, chi riuscirà a vendere l’elisir della giovinezza, o meglio, di una vecchiaia in salute, sarà l’uomo più ricco di tutti i tempi.

Un giorno il Dottor Grimaldi, il Direttore della Fondazione che hai visto in un paio di occasioni, mi ha avvicinato e mi ha coinvolto in un’operazione che in un primo tempo mi ha affascinato. Senza rendermene conto mi sono trovato invischiato in un gioco mostruoso. Loro mi hanno chiesto sempre di più, dovevo continuare le mie ricerche e, per farlo, dovevo essere in piena forma. Mi convinsero a fare da cavia per testare le molecole da me stesso scoperte. Nel frattempo il mio lavoro continuava, con successi inaspettati: come sai scoprii il modo di attivare il Sirti 1, un altro passo verso il sogno, o l’illusione, di aver sconfitto il tempo. La storia di Faust e Mefistofele, il Ritratto di Dorian Gray, diventavano favolette per bambini al confronto.»

De Francisci si concesse una pausa. Terminò il suo piatto di antipasti misti con evidente apprezzamento, sorseggiò il vino con soddisfazione: sembrava che ciò che aveva appena raccontato fosse un innocuo pettegolezzo.

Camilla aveva superato lo shock di sapere che il maturo ma ancora prestante signore che le stava davanti era un ottantenne.

«Ma… mi sembra una storia a lieto fine. Una storia di successi scientifici. Perché me la racconti con quel tono pessimista?»

«Perché… perché sono stanco di vivere. Prolungare la vita è una follia. Anche se sei in buona salute, hai perso l’entusiasmo, la curiosità, l’ansia con cui aspetti il domani per vedere che cosa ti porterà… Guarda il sildenafil e i suoi parenti, che promettono una vita sessuale fino a tarda età: ma è inutile che io mi procuri un’erezione quando il calo del testosterone mi ha fatto perdere interesse per le donne, mi ha tolto quell’agitazione, quel desiderio che ti faceva rimescolare solo a vedere un seno scoperto, quel vigore che ti faceva sentire forte come un toro. Ma il testosterone non me lo posso procurare, non posso più costringere l’ipofisi a produrlo, perché innesco una catena di danni collaterali…»

Camilla guardava ora il professore con altri occhi. Il suo sguardo si era intenerito. Il suo commensale non era più il brillante scienziato, era un uomo solo, stanco, oppresso da un dramma che sfuggiva alle comuni valutazioni.

«Ma… perché non smetti semplicemente di fare da cavia, non smetti di lavorare, di ricercare. Sei ancora in tempo per procurarti una vecchiaia tranquilla…»

«Non posso. Mi ricattano continuamente… mi costringono a un’esistenza da schiavo: i due giovani che vedi sempre con me, e che anche in questo momento sono qui fuori in macchina, hanno il compito di non perdermi mai d’occhio. Lo fanno con discrezione, ma hanno ordini precisi: non posso scappare. Devono segnalare a Grimaldi ogni mio comportamento scorretto. Non mi sono mai opposto alla terapia che mi mantiene efficiente, ma penso che se un giorno mi rifiutassi mi costringerebbero con la forza…» La voce del professore si era si era spezzata, abbassò il capo e lo scosse in un gesto sconsolato.

Camilla si era irrigidita sulla sedia, una profonda commozione le opprimeva il respiro, sentiva gli occhi gonfiarsi sotto la pressione delle lacrime che si sforzava di non far uscire.

«Scusami… non volevo rovinarti la serata…» De Francisci allungò una mano e la posò su quella di Camilla, accennando una lieve carezza consolatoria. Camilla posò a sua volta la mano su quella del professore e la strinse con calore, cercando di comunicare con quel gesto tutta la sua comprensione, il suo sostegno, il suo affetto.

«Non importa. Sono contenta che ti sei confidato con me. Sono orgogliosa: se mi hai detto queste cose vuol dire che mi stimi e che ti sono molto vicina.»

«Ehi! Ma qui ci stiamo commuovendo troppo! Dài, un bel sorriso: non è così grave come sembra. Vuoi mangiare qualcos’altro?»

Incredibile! Quell’uomo era oppresso da problemi angosciosi, reso più esposto e più fragile dalle debolezze dell’età e rincuorava lei, si sforzava addirittura di essere brillante.

«Scusa… mi è passato l’appetito. Facciamo due passi, ti va? Ho molte cose da chiederti…»

 

 

 

Il lungo viale alberato di periferia era quasi deserto. Dai giardini delle ville circostanti si spandeva nell’aria della sera il fresco profumo di arbusti e cespugli fioriti.

Camilla si stringeva a Fabrizio De Francisci come un’innamorata e l’anziano professore si sentiva pervadere da uno struggente senso di completa felicità.

Avevano camminato a lungo, senza parlare, rigirandosi nella mente i loro pensieri aggrovigliati.

L’auto scura, con le due guardie del corpo a bordo, li seguiva a rispettosa e discreta distanza, scivolando silenziosa sotto le luci pallide dei lampioni.

«Ma io… come posso aiutarti?» chiese Camilla all’improvviso.

«Lo sapevo che, da buona scienziata, saresti andata subito al lato pratico. In realtà io non mi sento la coscienza tranquilla nei tuoi confronti. E’ un po’ che penso a chi e come potrebbe aiutarmi… E ho quasi finito di elaborare un piano, in cui tu hai la parte principale.»

Camilla provò immediatamente un lieve senso di irritazione.

«Allora è per questo che sono qui. Era già tutto preparato…»

«No, ti prego, non fraintendermi. Era da tempo che avrei voluto uscire insieme a te, passare qualche ora lontani dal lavoro e dai nostri soliti problemi. Mi ha sempre frenato la distanza incolmabile che c’è tra noi…»

«Ma…»

«No, ti prego, non interrompermi, non negare l’evidenza… anche se ammetto di essermi lasciato andare per un attimo a questa fantasia, una storia tra noi… che vecchio pazzo! Adesso però devo farmi coraggio, ho bisogno dell’aiuto di qualcuno e tu sei l’unica persona a cui mi sento legato in questo momento, l’unica che può capire e aiutarmi. Prima, a tavola, quando mi hai preso la mano, mi sono sentito morire, noi anziani siamo molto sensibili... Però ho avuto la conferma che anche tu hai dell’affetto per me e che posso chiederti… qualsiasi cosa.»

Camilla si era sentita attraversare da una violenta corrente di emozione, i sentimenti che anche lei provava erano ricambiati e l’amarezza di dover ammettere che il professore aveva ragione, che la differenza d’età era un insormontabile ostacolo naturale, era solo un fastidioso rumore di sottofondo, non sminuiva l’incredibile esaltazione che per un attimo si era impadronita di lei.

«Cosa vuoi che faccia?» chiese semplicemente, dominando la commozione che le stringeva la gola.

«Ho studiato a lungo la cosa… mi sono sforzato di non tralasciare nulla che potesse mandare a monte il piano e, soprattutto, compromettere te. Ti spiegherò meglio i particolari in seguito, quando e se accetterai. Per ora ti anticipo che si tratta di sostituire gradualmente le molecole che mi iniettano con molecole inattive. Tu hai libero accesso a tutti i laboratori e non ti sarà difficile sostituire i preparati.»

«Ma… e dopo? Cosa succederà?»

«Grimaldi sarà costretto prima o poi a prendere atto che qualcosa non funziona e mi taglierà fuori dal progetto. Io comincerò finalmente a invecchiare in modo naturale, anzi, prevedo che accadrà in modo più rapido del normale: una volta che la natura avrà ripreso il suo ritmo normale penso che me ne andrò in fretta…»

«No! Questo io non lo voglio!» Le parole avevano assunto la forma di un grido di spavento.

«Camilla… sii ragionevole. Non possiamo metterci contro la natura. Io ho il diritto di invecchiare e morire in pace.»

De Francisci posò paternamente un braccio sulle spalle della ragazza, la strinse lievemente, per farle assimilare la sua pacata determinazione. Ma sentì ben presto i sussulti che le provocavano silenziosi e disperati singhiozzi.

Camminarono ancora un po’ in silenzio. Camilla aveva poco a poco riacquistato il controllo, il pianto era cessato lasciando il posto a uno sconfinato avvilimento.

«D’accordo», disse dopo un po’ con voce ferma. «Se hai deciso così non posso far altro che aiutarti. Ma ho una condizione.»

«Va bene. Chiedimi pure quello che vuoi.»

«Voglio avere un tuo ricordo… un ricordo che mi accompagni per sempre…»

«Non capisco…»

«Voglio avere un rapporto con te, un rapporto fisico.»

«Ma… sei pazza! Come ti viene in mente? Non mi sembra… non mi sembra il caso. E poi come faccio?»

«Dài, sei uno scienziato. Non hai bisogno che ti spieghi come fare…»

De Francisci scuoteva la testa incredulo.

«Sei pazza, sei veramente pazza. Io… io sono un vecchio.»

«Questa è la mia condizione. Non puoi tirati indietro.»

Il professore si arrestò un attimo. Pensava intensamente. Poi il suo viso assunse un’espressione divertita. Cominciò a ridere, sempre più forte, contagiando Camilla che non poté fare a meno di cominciare ridacchiare a sua volta. In breve fu anche lei travolta da irresistibili, rumorose sghignazzate.

Le due guardie del corpo, in macchina, li osservavano con aria perplessa.

 

 

 

«Ma… non potremmo almeno chiudere la luce?»

«Smettila, di cosa hai paura?»

«Sicuramente sono impresentabile…»

«Be’, non sei un giovane palestrato, ma questo lo sappiamo. Però ti posso assicurare che hai un fisico gradevole da vedere.»

Camilla in effetti stava osservando con un certo stupore il corpo di De Francisci: il maturo professore non aveva nulla di cui vergognarsi, aveva membra asciutte e ben proporzionate, la pelle tesa su muscoli sottili ma evidenti, un membro apparentemente solido e voglioso, gonfiato per l’occasione da uno dei tanti inibitori del deflusso sanguigno. Sorrise del suo imbarazzo e gli tese le braccia.

«Dài, non stare lì impalato, abbracciami.»

De Francisci si stese accanto a lei senza mai smettere di guardarla negli occhi: non era pronto per tutto il resto, non era pronto per le emozioni forti. Le posò un timido bacio sulle labbra, poi si fece coraggio e il suo sguardo scese ad accarezzare il seno, il ventre soffice, la peluria vellutata del pube, le cosce bianche che si perdevano sotto le lenzuola. La giovane studiosa che tutti ammiravano per sua preparazione e che intimidiva gli uomini con il suo atteggiamento severo, sciolti i lunghi capelli, eliminati gli occhiali, sprigionava un’attrazione e una femminilità che molte donne avrebbero invidiato. Il professore chiuse gli occhi e si abbandonò ad un abbraccio che gli inondò le membra di dolcezza e lo fece precipitare nell’accogliente oscurità di un sogno. Sentì Camilla guidarlo con cauta sapienza alla scoperta del suo corpo e si abbandonò totalmente a lei e alle sue carezze. Era un po’ impacciato dal proprio vigore giovanile preso a prestito, ma il suo amore, il suo sconfinato amore senile, quello sì, quello era vero, quello gli diede la forza di possedere quella donna meravigliosa, di farla gemere e gemere lui stesso, travolto da un’insopportabile felicità.

 

 

 

“Mia adorata Camilla,

spero che questa lettera ti sollevi dall’angoscia che sicuramente provi da qualche giorno. E’ stato molto crudele da parte mia scomparire così all’improvviso, ma, credimi, è meglio così. Sei una donna forte, l’ho capito giorno per giorno, conoscendoti, fin da quella volta che abbiamo giocato quel brutto scherzo a Grimaldi e alla sua maledetta Fondazione. Il nostro piano è riuscito benissimo grazie a te, sei stata una preziosa collaboratrice e una ancor migliore realizzatrice. E io, come previsto, ho riacquistato la mia libertà. Abbiamo trascorso insieme giornate meravigliose, ma ora è opportuno che io scompaia di scena.

Fattene una ragione, la tua vita deve continuare. Sei giovane, hai accettato un incarico prestigioso in una delle più avanzate cliniche universitarie, prevedo un grande avvenire per te. Ma in questo avvenire io non ci sono.

Pensaci bene: puoi chiedermi di assistere ogni giorno, impotente, al declino delle mie facoltà? Subire la decadenza del mio corpo, accanto a te, giovane, bella, famosa?

So che stai piangendo, è logico, ma prendilo come un pianto liberatorio, la fine di un’epoca, e preparati già da domani a vivere una nuova vita.

Ti porrai molte domande: dove sono, quando ritorno, se ritorno…

Anche questa è stata una decisione dolorosa da prendere, ma io non voglio ritornare, non voglio che si pianga la mia morte, voglio che tu mi ricordi vivo. Soprattutto non voglio aspettare che la morte mi scelga: sarò io a scegliere il momento giusto.

Forse non sei in vena di discorsi filosofici ma sai come la penso: siamo troppo attaccati al nostro io, l’esistenza è un atto di vanità che si paga con la morte. Solo la vita non muore mai: sentiamoci parte del tutto e la morte ci toccherà molto meno.

 

Adesso basta con queste tristezze. Ricordami allegro, cinico, scherzoso, come in effetti ero, almeno quando non lavoravo. E ricordami vivo, perché io, da qualche parte, sono ancora vivo.

Ti abbraccio forte forte.

Fabrizio.

 

Un ultimo dettaglio pratico: ti allego il nome di uno studio di avvocati, con indirizzo, numeri di telefono, la persona da contattare. Hanno l’incarico di sbrigare tutte le mie faccende, una delle quali ti riguarda personalmente: una donazione con la quale ti  lascio tutto quello che ho, tranne quello che mi serve per vivere.”

 

 

 

Camilla restò fino a tarda sera sulla poltrona su cui si era seduta di schianto dopo aver aperto la lettera. Guardava lontano, fuori dalla finestra, immobile. Vide la luce del giorno affievolirsi, il breve riflesso rosa di un tramonto, il sopraggiungere della sera, l’accendersi dei lampioni della strada. Ma non si mosse. Il pianto era sceso a lungo, inarrestabile, e si era ormai asciugato sul suo viso, lasciando solo un lieve luccicore.

Il dolore era grande, insopportabile, e le aveva procurato questo stato di inerzia, quasi uno svenimento provvidenziale ad occhi aperti.

Poi la stanchezza aveva preso il sopravvento e si era appisolata.

Si svegliò alle prime luci dell’alba e ci mise solo qualche secondo a rendersi conto della situazione in cui si trovava, ad avvertire di nuovo quella profonda, intollerabile sofferenza. Quel senso di vuoto incolmabile.

Si alzò dolorante per la scomoda posizione in cui aveva trascorso la notte. Sapeva che non sarebbe stato facile uscire da quello stato. Posò la lettera su un tavolo e pensò che era troppo presto per rileggerla: in seguito avrebbe riletto ogni parola mille volte. Ma ora doveva sforzarsi di fare quello che il suo compagno le suggeriva, non doveva condannarlo ma accettare le sue scelte, pensare che era vivo e che aveva solo sospeso la sua esistenza, da qualche parte, per il suo bene.

Pensare a lui le provocò un mesto sorriso.

Andò in bagno, diede un’occhiata all’orologio: doveva prepararsi per andare alla clinica. Il lavoro l’avrebbe aiutata a sopportare quella drammatica svolta della sua vita.

Si spogliò e si guardò al grande specchio che copriva la parete.

La sua pancia stava crescendo vistosamente.

Sorrise di nuovo pensando a cosa avrebbe detto Fabrizio se avesse saputo che i suoi ultimi sforzi virili erano comunque stati utili a procreare. Sicuramente avrebbe nascosto la sua soddisfazione, la sua felicità, dietro qualche battutaccia.

Avrebbe dovuto in qualche modo farglielo sapere? Rivolgendosi a quello studio di avvocati? O loro avevano istruzioni di rispettare ad ogni costo il suo isolamento?

Ci avrebbe pensato. In fondo quello era un altro capitolo della sua vita.