L'orecchino

L’aria della sala era fumosa e satura di piacevoli aromi provenienti dalla cucina. Pizze e birre medie volavano trasportate dalle abili braccia dei camerieri, volteggianti tra i tavoli come eleganti toreri, e distraevano per un attimo lo sguardo di Michele che percorreva pigramente le regolari arcate bianche del locale dal vago stile mediterraneo. Riproduzioni in miniatura di folcloristiche barche da pesca, ruote di timone, reti e altre cianfrusaglie dell’abusato repertorio “vecchia marina” decoravano le pareti alternandosi a improbabili stampe di dubbio gusto e fluttuavano nella leggera vertigine del dopo cena. Un chiassoso sottofondo musicale simpaticamente partenopeo, sopraffatto comunque dal chiacchiericcio e dalle risate, completava l’effetto stordimento.
“Qualcos’altro, signore? Un sorbetto? Due cantuccini con un po’ di vin santo?”
La camerierina flessuosa, con lunghi capelli castani e una striminzita  minigonna sotto la quale sgambettavano due belle coscette tentatrici, gli apparve davanti all’improvviso, sorridendo in maniera professionale.
“Mah… no… portami un caffè. E un amaro con qualche cubetto di ghiaccio.”
Guardò la ragazzina sculettare mentre si allontanava e pensò che era meglio fare una scappatina alla toilette , in attesa del caffè. Si alzò lentamente, non troppo sicuro sulle gambe, e si avviò verso la porta sul fondo della sala.
L’immancabile odore di ammoniaca, mescolato a quello di sapone da poco prezzo, lo colse impreparato, cancellando per un attimo la gradevole euforia prodotta dalla cena gustosa. Lo specchio gli rimandò l’immagine di un viso leggermente congestionato, con un sorriso un po’ melenso che gli atteggiava le labbra e con i capelli arruffati a far da cornice. La luce radente evidenziava impietosa qualche brufolo e qualche grinza.
“Madonna, come sei messo male vecchio mio!” si disse affettuosamente a mezza voce, mentre si liberava con soddisfazione di un bel po’ di liquidi in eccesso. Tirò su la lampo e azionò lo scarico, controllando bene di aver lasciato tutto pulito. Qualcosa attirò la sua attenzione sul fondo. Guardò meglio e una specie di luccicore si ripeté. Si chinò, vinse un attimo di ripugnanza e, con la mano grondante, tirò fuori dall’acqua quello che sembrava un orecchino. Anzi era un orecchino e molto bello per giunta: aveva la forma di una fascetta d’oro e recava incastonate, sulla superficie esterna, alcune pietre azzurro chiaro, luminose e trasparenti, al centro di rosette finemente lavorate. Una cosa di pregio, pensò tra sé e sé, forse antica, così come il sistema di chiusura, elegante ed elaborato, con uno spillone ricurvo che, dopo essere stato verosimilmente infilato nel foro del lobo auricolare, veniva bloccato da un meccanismo a scatto sull’altro lato.
Lo appoggiò al lavandino mentre si lavava accuratamente le mani e se le asciugava: chi aveva potuto lasciar cadere un orecchino in quello strano posto? Sarebbe stato logico trovarlo in fondo al lavandino, sfilato, a bella posta per non bagnarlo, da parte di qualche signora che si era rinfrescato il viso. Oppure per terra. O forse si era sfilato in seguito alle effusioni un po’ troppo focose di qualche innamorato.  Possibile però che la proprietaria non se ne fosse accorta e non fosse tornata a cercarlo?
Si rammentò all’improvviso del caffè, mise l’orecchino nella tasca della giacca e tornò rapidamente nella sala, dirigendosi al suo tavolo con circospezione. Guardandosi intorno sorprese lo sguardo della graziosa cameriera: c’era un lampo di ironia in quegli occhi o era solo una sua impressione? Le fece un cenno vago e si sedette. Il caffè era freddo ma non ne sentì nemmeno il sapore: l’orecchino nella sua tasca assorbiva tutte le sue sensazioni.
Sorseggiò l’amaro e si guardò intorno mentre faceva tintinnare i cubetti di ghiaccio sul fondo del bicchiere. Forse la donna era ancora lì. Chi poteva essere?
Ispezionò lentamente la sala con lo sguardo. Sperò che non lo giudicassero indiscreto, mentre scrutava con intenzione, ad uno ad uno, i visi delle donne presenti. Se almeno fosse stato un fumatore… una sigaretta gli avrebbe offerto l’alibi per guardarsi intorno con disinvoltura. Una donna bionda, un po’ troppo formosa, rideva sguaiatamente. No, non era lei: al suo tavolo c’erano due bambini e un ometto malinconico che probabilmente era il marito e… sì, aveva ambedue gli orecchini.
Forse la ragazza magra con la frangetta nera. Teneva gli occhi bassi, ombreggiati da lunghe ciglia, mentre ascoltava con evidente disinteresse il giovane occhialuto e loquace che sedeva di fronte a lei. No, aveva un aspetto così… così… normale, ecco, normale. Invece doveva trattarsi di una donna particolare, dal suo aspetto doveva trapelare per forza un non so che di diverso… doveva comunque apparire contrariata per aver perso l’orecchino. Da scartare quindi il rumoroso tavolo d’angolo con alcune ragazze che festeggiavano chissà cosa, da scartare le due coppie attempate vicino al forno a legna, da scartare sicuramente anche…
Improvvisamente la vide! Appena la guardò negli occhi seppe che era lei. Come aveva fatto a sfuggirgli fino a quel momento? Era seminascosta da una colonna, sola al tavolo, di fronte a una tazzina di caffè vuota. Accarezzava con dita lunghe e sottili lo stelo di un piccolo bicchiere a calice con dentro quello che sembrava essere un liquore ambrato. Si fece coraggio e la guardò negli occhi per un rapido istante: incrociò uno sguardo incredibilmente ammaliante, profondo, brillante come una luce in fondo a un pozzo, ma, soprattutto, …beffardo. Quello sguardo era diretto esplicitamente a lui. E rideva di lui.
Distolse il viso, sentendosi avvampare, e cercò un diversivo nel bicchiere di amaro, ma le dita gli tremavano e non osò portare il liquore alla bocca. Fissò per un po’ il pavimento, ma per un attimo restò paralizzato: sul suo raggio visivo venivano a trovarsi le gambe della donna, che il tavolo non riusciva a nascondere perché lei sedeva di traverso sulla sedia, venendo così a trovarsi esattamente di faccia  a lui. Tentò di distogliere gli occhi ma essi venivano irresistibilmente attratti da quelle gambe, gambe bianchissime, che sfumavano nella penombra di una gonna prodigalmente corta, mentre la punta di un piede dondolava da un lato all’altro, con lentezza, come la testa di un serpente pronto a gettarsi sulla preda dopo averla ipnotizzata.
“Ma porca vacca! Cosa mi succede… devo stare calmo. Chi vuoi che sia questa… una che va in cerca, e allora? Mi sto comportando come uno stronzo. Sicuramente l’orecchino lasciato nel bagno è un’esca. Glielo dico che l’ho trovato io? E se non è suo? Bella figura!”
Si fece coraggio, guardò di nuovo la donna e di nuovo incontrò quegli occhi da presa in giro. Poi accadde l’inaspettato: lei si alzò lentamente, sempre fissandolo, girò con grazia su se stessa e si avviò verso la toilette , lasciando dietro di sé lo sfolgorio di una cascata di capelli scuri, la visione morbida e rotonda della stoffa leggera tesa sul di dietro, il biancore delle tenere fossette che occhieggiavano dietro le ginocchia.
Michele era incollato alla sedia, inondato di sudore e con la bocca arida: non era possibile equivocare quella serie di messaggi. L’orecchino, i sorrisetti ambigui, l’esplicito invito a seguirla.
“Una volta nella vita… no, dico, una volta nella vita, non fare l’imbecille! Alzati e seguila. Alzati e seguila! Porca puttana!”
Non seppe neanche lui come riuscì a trovare il coraggio. Si alzò di colpo, mentre le orecchie gli ronzavano e la circolazione impazzita gli martellava il petto e le tempie. Seguì la donna in quella che aveva tutto l’aspetto di una splendida trappola dall’esca troppo appetitosa.

Di nuovo quel bagno dalla luce troppo bianca e troppo fredda: ma stavolta c’era lei, di spalle, con le mani appoggiate al lavandino. Si girò lentamente, incrociando le braccia, come un’insegnante che stesse per rimproverarlo. Michele avvertì di nuovo l’imbarazzo che provocava quello sguardo indagatore.
“Immagino che lei abbia trovato il mio orecchino,” disse la donna piano, facendo scivolare la voce su toni gradevolmente bassi.
“Sì… ecco… io effettivamente…” riuscì a farfugliare Michele mentre si toglieva dalla tasca l’orecchino e lo porgeva alla donna, che fece due passi verso di lui, sorrise, prese delicatamente il piccolo gioiello con due dita e… se lo mise tra le labbra.
Ormai Michele non si stupiva più di nulla, era totalmente incapace di dire o fare qualsiasi cosa. Riusciva solo a guardare con crescente stupore la sconosciuta che si avvicinava fino a sfiorarlo, accentuava il suo sorriso ipnotico e …gli faceva scorrere abilmente la lampo dei pantaloni!
Lo stupore lasciò via via il posto ad un panico primitivo mentre lei, con sorprendente velocità, gli metteva a nudo il pene, lo afferrava per la punta e lo tirava facendolo diventare lungo e sottile… Poi, con movimento rapido e sicuro, eseguì un sorprendente gioco di prestigio: prese l’orecchino dalle labbra e lo infilò quasi fino a metà di quel povero membro umiliato.
“Ma… che cazzo fai… porca puttana! Chi sei, cosa vuoi?” strillò piano, con voce strozzata e lamentosa. Ma lei aveva già cambiato atteggiamento, sembrava essere d’un tratto divenuta dolce e affettuosa. Con mani sapienti aveva cominciato ad accarezzarlo dappertutto, gli si strusciava contro, gli dava piccoli baci umidi con le labbra socchiuse.
Michele non sapeva più cosa pensare, era evidentemente capitato nelle mani di una pazza perversa ma non riusciva a reagire, sentiva solo un rombo continuo nelle orecchie e sperava che la cosa, qualunque cosa fosse, finisse presto. Improvvisamente avvertì un cambiamento: le carezze della donna si erano fatte più precise, lo stavano stimolando per bene… lo stavano eccitando e… oh, accidenti! Gli si stava indurendo di brutto. Guardò in basso con rinnovato terrore: il suo povero pisello si stava inesorabilmente ingrossando nonostante l’orecchino che lo stringeva e lo martoriava come un assurdo strumento di castità o di tortura. Fu a questo punto che lei, sempre più eccitata ed eccitante, fece scattare con violenta e precisa determinazione, il meccanismo a scatto che chiudeva il gioiello. Michele emise un grugnito disperato, guardò incredulo il glande divenire sempre più grosso e paonazzo, animato da una sua volontà indomabile e autodistruttiva: e con esso cresceva anche la paura, la paura allucinata che dà il veder minacciata la propria integrità fisica. Era al limite della sopportazione e stava per urlare quando lei si fece di colpo seria e distaccata. Si rassettò alla meglio gli abiti, gli lanciò un’occhiata gelida e scomparve.
Se n’era andata, se n’era andata, dio! Che dolore! Si precipitò al lavandino e mise il pene sfigurato sotto l’acqua fredda. Lentamente si calmò e divenne cosciente della situazione: poteva entrare qualcuno, che vergogna! L’organo martoriato era tornato quasi normale. Tentò di far scattare il meccanismo di apertura dell’orecchino, ma i movimenti frenetici e imprecisi delle dita gli impedivano di afferrarne il funzionamento. Cominciò allora a sfilare con mille precauzioni il cerchietto d’oro e quando finalmente se ne fu liberato lo scagliò violentemente a terra con un mugolio di rabbia.

 

Uscì boccheggiando nell’aria fresca della strada come un ubriaco. Quel sibilo assordante nelle orecchie non voleva saperne di smetterla.
Non era stato facile pagare il conto, sorridendo alla cassiera e rispondendo con un altro sorriso alle smorfiette della cameriera. Sicuramente pensavano che non reggeva il vino, quelle due fessacchiotte. Chi se ne frega! Voleva solo ritrovare il proprio letto e sprofondare nel buio del sonno per mettere più tempo e spazio possibile tra sé e il dolore della carne, tra sé e l’incubo che gli si aggirava nel cervello come un pipistrello impazzito.

 

Molto tempo dopo, ripensando alla vicenda, continuava a non trovare una spiegazione logica dell’accaduto. Una sadica vendicativa? Una che odiava gli uomini e voleva umiliarli? Mille pensieri e mille fantasmi gli si proponevano, ma nessuno di essi avrebbe mai potuto avere il conforto di una verifica, nessuno portava su un terreno accettabile la delirante esperienza. Per molti giorni si era guardato intorno, timoroso e desideroso insieme di incontrare la sua compagna di orrori, ma inutilmente. Non la vide mai più. Eppure quella donna lo aveva segnato per sempre: non si sarebbe mai liberato di quella struggente passione di pochi attimi, di quel desiderio così intenso e così drammaticamente frustrato.
Né, purtroppo, sarebbe mai guarito da quell’insensato, incontrollabile, animalesco terrore ogni volta che incontrava per strada una figura femminile.

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